L’incredibile variabilità dei volti umani

Avete mai fatto caso a come molti animali abbiano “la stessa faccia”?

Mettiamo in fila 10 pinguini, 10 delfini, 10 babbuini, 10 trote. Se ci concentrassimo sulle loro caratteristiche facciali, difficilmente troveremmo differenze sostanziali.

A meno che non ci sia un particolare pattern nel manto, sarebbe molto difficile, per noi, distinguere due individui della stessa specie.

Se mettiamo in fila 10 umani, invece, le cose cambiano radicalmente.

La variabilità nei volti umani è di gran lunga superiore a quella della maggior parte degli altri animali.

E badate bene, non stiamo parlando di caratteristiche fortemente impattanti dal punto di vista visivo, come colore dei capelli e della pelle, ma di misure delle componenti facciali. Ne parliamo in dettaglio fra poco.

Non sorprende, quindi, che gli esseri umani siano anche molto bravi a riconoscere queste differenze e a distinguere le persone sulla base di esse. Abbiamo letteralmente una parte del cervello specializzata per questo.

Aptenodytes patagonicus pinguino reale
Colonia di pinguini reali (Aptenodytes patagonicus) in cui si nota pochissima variabilità nei volti degli individui. © Fonte

La diversità in natura

Quando si parla dell’aspetto di un organismo vivente si usa la parola “fenotipo”.

Il fenotipo è l’insieme delle caratteristiche morfologiche di un individuo e deriva dall’interazione del genotipo (il suo codice genetico) e l’ambiente.

Per esempio, abbiamo diversi fenotipi di mele, distinguibili sia per colore che per dimensioni. Riusciamo a distinguere le razze canine poiché in testa abbiamo in mente i “fenotipi medi” delle varie razze, ossia le loro caratteristiche peculiari.

La nascita di fenotipi “diversi”, in natura, può essere favorita da alcuni fenomeni come la selezione apostatica e sessuale.

La selezione apostatica avviene quando un predatore non riconosce come preda un individuo fenotipicamente “diverso” dal solito.

La selezione sessuale comporta invece la maggior attrazione e, di conseguenza, il maggior tasso di accoppiamento, per i nuovi fenotipi.

Questi due meccanismi sono, per esempio, alla base della grande variabilità di colorazioni in Poecilia reticulata, un piccolo pesce di acqua dolce abbastanza famoso in acquariofilia.

Essi, quindi, assicurano la diffusione e differenziazione di caratteri inizialmente poco frequenti.

Ma questo non spiega, o non del tutto, l’elevata variabilità del volto umano.

È improbabile che le differenze nei volti causino una selezione apostatica e, sebbene le caratteristiche del volto possano avere conseguenze nell’accoppiamento, il riconoscimento facciale gioca un ruolo essenziale fin da piccoli e non solo dopo la maturità sessuale.

poecilia reticulata
Esemplari di Poecilia reticulata in un acquario. © Fonte

Lo studio

Uno studio pubblicato su Nature Communication nel 2014 si è concentrato su questa domanda: l’alta variazione nei volti umani è una conseguenza dell’evoluzione?

Se a prima vista la domanda sembra banale, “ovvio che sì, tutte le nostre caratteristiche sono frutto dell’evoluzione”, lo studio fa nella premessa un importante distinguo.

Ci sono delle variazioni fenotipiche che possono essere usate per distinguere le persone, ma che non necessariamente si sono evolute per questo scopo.

Prendete le impronte digitali, esse consentono il riconoscimento in ambito forense, ma non è che si siano evolute per questo. In senso lato, la stessa cosa si potrebbe dire per il DNA che è unico per ognuno di noi, ma il suo scopo primario non è certo permetterci di riconoscerci.

In questo discorso relativista come ci si orienta?

Possiamo capirlo addentrandoci nella genetica e nei meccanismi di selezione.

I geni sotto selezione

Studi su altri animali mostrano segni genetici di evoluzione per tratti che aiutano la riconoscibilità. Come spesso accade, per molti organismi il senso più sviluppato non è la vista, ma l’olfatto o l’udito.

Questo articolo parla della variabilità dei richiami di pulcini di due specie di rondini, Hirundo pyrrhonota and H. rustica, che condividono lo stesso habitat e che permettono ai genitori di riconoscere la propria prole.

Ma che segni lascia di preciso l’evoluzione nel nostro genoma?

Un gene sotto selezione, di solito, è un gene che accumula, in tempi relativamente brevi, molte mutazioni rispetto ad altri geni dello stesso individuo o allo stesso gene presente in una specie affine.

Ogni organismo possiede geni strutturali essenziali per il funzionamento delle cellule. Questi geni, data la loro importanza, vengono considerati come molto conservati e sono spesso usati per capire quanto siano vicine due specie.

Le differenze fra due geni conservati sono dovute al naturale tasso di mutazioni spontanee che ogni specie ha (molto lento per noi ma molto veloce per i virus, per fare un collegamento di attualità).

Sapendo il tasso di mutazione di una zona del genoma di una specie (spesso una parte non espressa di un gene molto conservato) possiamo andare a ritroso nel tempo e capire quante migliaia di anni la separano da un’altra specie o da un antenato comune.

Se però scopro un gene, o una serie di geni, che ha accumulato molte più differenze di quelle che sarebbero avvenute rispettando il normale tasso di mutazione, allora c’è qualcosa sotto.

Verosimilmente quei geni sono stati, o sono ancora, oggetto di selezione naturale.

Quaranta volti umani © Fonte

I risultati dello studio

Lo studio ha valutato la variabilità facciale umana grazie all’enorme mole di dati raccolta nel database ANSUR (Army Anthropometric Survey) dell’esercito degli Stati Uniti.

I dati riguardano misure corporee del personale maschile e femminile per analisi statistiche legate all’approvvigionamento e alla progettazione di uniformi, indumenti protettivi, veicoli e simili.

Un confronto statistico di tratti come la distanza fronte-mento, l’altezza e dimensioni delle orecchie, la larghezza del naso e la distanza tra le pupille mette in evidenza una variazione più accentuata che in altri tratti, tipo lunghezza dell’avambraccio, altezza della vita, ecc.

Oltre a questo, è stato notato come i tratti del viso siano indipendenti tra loro, a differenza della maggior parte delle misure corporee.

Mi spiego meglio, le persone con braccia più lunghe, ad esempio, hanno tipicamente gambe più lunghe e mani e piedi più grandi.

Questo tipo di correlazioni, però, non si riscontrano nei tratti del volto. Le persone con nasi più larghi non hanno necessariamente orecchie più grandi o nasi più lunghi o occhi più distanziati.

I dati suggeriscono quindi un’evoluzione indipendente di questi tratti.

E a livello genetico?

Anche qui, la disponibilità di un enorme database ha aiutato molto lo studio. I ricercatori hanno infatti usato le sequenze raccolte dal progetto 1000 Genomes, che dal 2008 ha sequenziato più di 1.000 genomi umani.

Esaminando le regioni del genoma identificate come determinanti per la forma del viso, hanno trovato un numero molto elevato di varianti.

Ma anche l’altezza, o la dimensione di mani e piedi, per esempio, sono soggetti a una forte variabilità nella nostra specie. Quindi lo studio ha comparato la variabilità genetica delle regioni del viso con quelle della regione dei geni dell’altezza e con quelle di una regione neutra.

I risultati sembrano non lasciare molti dubbi: le regioni del genoma umano associate alla forma del viso hanno un numero molto più elevato di varianti rispetto ad altre.

E non finisce qui, andando a confrontare questi dati con i genomi di Neanderthal e Denisoviani si riscontrano variazioni genetiche simili, il che indica che la variazione facciale negli esseri umani moderni deve aver avuto origine prima della divisione tra questi diversi lignaggi.

Conclusioni

La variabilità nei volti umani è un tratto sotto selezione, collegato molto probabilmente ai vantaggi del riconoscimento facciale.

Ridurre il rischio di aggressioni involontarie, poter riconoscere il proprio partner e la propria prole, poter riconoscere il proprio “branco” sono solo alcune delle conseguenze positive di questa capacità.

Chiaramente riconosciamo una persona usando anche molti altri tratti, ad esempio l’altezza, l’andatura, il tono della voce, la gestualità, ma questi risultati sostengono che il viso è il modo predominante con cui lo facciamo.

Spero l’articolo vi sia piaciuto e vi abbia dato un piccolo spaccato su come vengano affrontati studi di questo tipo.

Se vi interessa la genetica potete trovare altre letture interessanti nella nostra sezione dedicata!

Giovanni Cagnano

Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby. Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato :)

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