L’Unicorno – un mistero misterioso
L’unicorno è l’animale nazionale della Scozia.
L’articolo potrebbe anche concludersi qui. La Scozia, infatti, insieme a Repubblica Ceca (che ha un leone a due code), Germania (che ha deciso che la sua aquila non è un’aquila vera, ma, bensì, “l’aquila federale”), Ungheria (che ha il Turul, un uccello mitologico magiaro) e Galles (che ha il drago), è nel gruppo delle cinque nazioni il cui unico animale nazionale è mitologico.
Perché gli unicorni non esistono, no?
No.
Gli unicorni non esistono.
Ma siamo sicuri?
L’origine del mito dell’unicorno
Da dove nasce il mito dell’unicorno? Non lo sappiamo con assoluta certezza.
Tuttavia, possiamo tracciare le prime rappresentazioni di tale animale mitologico a manufatti appartenenti alla civiltà della valle dell’indo.
Questa fu una civiltà antica (una delle più antiche, infatti, insieme a quella mesopotamica e quella egizia), estesa geograficamente lungo i fiumi Indo e Sarasvati (il secondo ormai prosciugato), nel subcontinente indiano, ed estesa temporalmente fra il 7000 e l’8500 EU (3000-1500 a.C.).
Fra i vari artefatti riconducibili a questa antica civiltà, più di una volta è stato possibile identificare (probabilmente in incisioni di natura zoologico-mitologica o sigilli nobiliari) una figura a noi molto familiare.
Ebbene sì, l’unicorno.
Pare, dunque, che il mito dell’unicorno sia nato in India. Ma come ne possiamo essere più sicuri?
Ce lo hanno detto anche gli antichi Greci.
Scrittori di storia naturale, come ad esempio Ctesia, Strabone e Cariasto, (tutti nomi meravigliosi) spesso, parlando dell’india, descrivono come questi territori siano habitat naturale di “asini selvatici cornuti”, dotati di “un solo corno di un cubito e mezzo” (circa 70 cm) e stranamente variopinti “di colore rosso, bianco o nero” (ci avviciniamo lentamente all’arcobaleno).
Ora, è chiaro che (dato che gli unicorni non esistono) le bestie descritte da questi studiosi dovevano essere qualcos’altro. Approfondiremo le possibili origini più avanti, ma tenete presente che due dei nomi greci utilizzati per descrivere l’unicorno erano μονόκερως (monoceros, appunto “unicorno”) e καρτάζωνος (cartazanos, da “karkadann”, che in arabo vuol dire “rinoceronte”).
Dagli antichi Greci, passando per gli antichi Romani, il mito dell’unicorno raggiunse la cultura medievale. Il fatto che molte traduzioni della Bibbia contenessero a loro volta menzioni di unicorni cementificò la figura nella simbologia cristiana.
L’animale, rappresentato spesso come un cavallo monocornuto (ma anche come un asino o una capra), appare nella Bibbia in molte versioni in greco, latino e lingua volgare, come traduzione della parola ebraica רְאֵם (re’em, che però vuol dire “capra selvatica”).
Il motivo di questa traduzione “svolazzante”?
Probabilmente, simbologia.
Nella cultura assira, la capra selvatica (rimu, in assiro) era un simbolo di forza e potenza, una serie di caratteristiche a cui questo animale non era collegato nella cultura di adozione, da cui il cambio di significato (senza contare che la capra, nell’arte mesopotamica, era spesso rappresentata con un corno solo, cosa che ha aiutato a cementificare la transizione).
Un’altra cosa che ha aiutato il mito dell’unicorno a diffondersi e radicarsi così profondamente nella cultura medievale europea è stato l’alicorno.
No, l’alicorno non è un sidekick dell’unicorno (stile Batman e Robin), è proprio il suo corno. Per ragioni non ancora ben chiare, al corno di unicorno (l’alicorno, appunto) venivano attribuite proprietà magiche e medicinali.
Probabilmente, una delle ragioni fu che anche gente di un certo calibro ci credeva fermamente.
Ctesia stesso faceva riferimento alle proprietà curative del corno nel suo libro “Indika”. La famosa badessa del dodicesimo secolo, Ildegarda di Bingen, raccomandava unguenti a base di corno di unicorno per curare la lebbra. Leonardo da Vinci, che non era proprio il primo scemo del villaggio, ne scrive in uno dei suoi quaderni, dando addirittura una chiara descrizione su come catturarlo.
“Nonostante la sua intemperanza e la sua difficoltà all’autocontrollo, l’amore che lui porta per le giovani vergini gli fa dimenticar la sua ira. Lasciandosi indietro tutte le paure, si metterà a dormire in seno alla damigella, ed è così che il cacciator potrà afferrarlo”.
Le “prove”
I corni di unicorno, infatti, sono spesso citati nella letteratura medievale come vere e proprie prove della loro esistenza.
Non è raro che, in vari musei reali in giro per l’Europa, si trovino ancora oggi manufatti di “corno di unicorno”.
Il Califfo di Baghdad Harun al-Rashid ne regalò uno a Carlo Magno nel 10.807 EU (807 d.C.) (oggi conservato nel museo nazionale sul medioevo di Cluny), il Papa Clemente VII ne offrì uno al re Franco I di Francia, per celebrare il suo recente matrimonio con Caterina de’ Medici, nel 11.533 EU (1533 d.C.) e, si dice, che anche il grande inquisitore Torquemada non andasse da nessuna parte senza il suo “corno portafortuna”.
Per dire, il trono reale della corona danese (Wikipedia [eng]) è, secondo leggenda, costruito con corna di unicorno.
Ma da dove vengono tutte queste corna? Hanno davvero poteri curativi?
Ovviamente, no.
Sono denti di narvalo, un’altra bestia, totalmente differente da quelle di cui abbiamo parlato fino a ora.
Il narvalo (Monodon monoceros) è un cetaceo, simile al beluga, i cui esemplari maschi hanno un dente che fuoriesce dal labbro superiore per formare una zanna della lunghezza di 2,4-2,7 m (la cui presenza negli esemplari di sesso femminile è molto rara).
È raro che i narvali si allontanino dal Mare Artico. Tuttavia, se ne trovano talvolta esemplari arenati sulle coste della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi. I denti di questi animali, separati dal resto dello scheletro, chiaramente (come dire…) non equino, venivano venduti e mercanteggiati come prodigiosi alicorni, finendo spesso nelle mani di nobili e ricconi vari (che, fra l’altro, vivevano nella paura costante di essere avvelenati).
Ma quindi? Da cosa è nata la leggenda?
Quindi, ricapitoliamo.
Uno strano animale della valle dell’indo, descritto male da studiosi greci, è stato chiamato con lo stesso nome di un’altra bestia di origine assira, anch’essa male interpretata dalla cultura cristiana. Inoltre, denti di un altro animale ancora sono stati usati per cementare il mito nella cultura europea.
Questo strano passa-parola ha come ultimo risultato l’unicorno.
Ma, oltre al narvalo, sappiamo quali siano queste misteriose creature?
Più o meno. Abbiamo dei candidati.
Il Re’em Biblico
Per quanto riguarda il Re’em (la capra selvatica che è diventata unicorno nella Bibbia), gli antichi testi fanno probabilmente riferimento all’orice d’Arabia (Oryx leucoryx). Nonostante, al giorno d’oggi, l’habitat di questo animale sia incredibilmente limitato, se ne ritrovano resti in tutto il Medio Oriente, cosa che ne giustificherebbe la presenza nella mitologia assira e mesopotamica.
Per dire, sia in ebraico moderno che in arabo la categoria a cui questo animale appartiene si chiama ancora “re’em” (o ri’im). Più chiaro di così…
Ci sono varie teorie riguardo all’attribuzione di un corno solo a questa specie (che ne ha palesemente due).
Innanzitutto, noi esseri umani amiamo “imbellettare” la realtà con dettagli mistici. Gli esemplari di questa specie non sono particolarmente a loro agio con gli esseri umani, tendono a mantenere le distanze. Un orice, vista da lontano, potrebbe avere benissimo un corno solo. Al ritorno da un lungo viaggio attraverso il deserto fa molto più “esploratore” raccontare di aver visto una bestia mistica che una semplice capra.
Inoltre, lottando con altri orici per il territorio, è abbastanza comune che una delle due corna si spezzi. Da bi-corno a uni-corno, quindi, il passo è breve.
Il monocerio indiano
Ecco, per questo dobbiamo scavare leggermente più a fondo.
Sarebbe facile dire che il monocerio indiano è il rinoceronte. Facile e non del tutto sbagliato.
D’altronde, abbiamo già visto che una delle parole greche usate per descrivere l’unicorno in greco antico è cartazanos, ossia rinoceronte. Per non parlare del fatto che anche Marco Polo, quando affermò di aver visto un unicorno a Giava, dà una chiara descrizione del rinoceronte locale (Rhinoceros sondaicus sondaicus), ora a serio rischio di estinzione.
Tuttavia, questi rinoceronti hanno un corno davvero piccolo. Il che non è un problema, insomma, le dimensioni non contano, no? Però questi rinoceronti non collimano per nulla con le descrizioni (a volte particolarmente specifiche) di quanto lunghi fossero i corni di questi animali mitologici.
La soluzione potrebbe trovarsi in qualcosa di molto più vecchio dei rinoceronti a noi conosciuti.
Esistono, infatti, resti fossili di lontani parenti dei rinoceronti attuali che, per certi aspetti assomigliavano, molto di più a equini, ed erano dotati di corna decisamente più lunghi, alcuni dei quali nativi proprio delle zone “native” del mitologico monocerio indiano.
Parliamo di specie come l’Elasmotherium sibiricum e il Coelodonta antiquitatis.
Nonostante si pensi che queste specie si fossero estinte già centinaia di migliaia di anni fa, esiste la concreta possibilità che alcuni esemplari di questi animali siano sopravvissuti a tempi successivi. Sappiamo che i nostri antenati sono entrati in contatto con animali simili, ne esistono rappresentazioni pittografiche un po’ ovunque.
Ovviamente, esiste la possibilità che i cari Ctesia e compagnia si siano inventati tutto di sana pianta (come abbiamo già detto, noi esseri umani siamo fantasiosi).
Conclusioni
Gli unicorni non esistono (e non sono mai esistiti).
Tuttavia, sono comunque bellissimi.
Fonti
Elasmotherium – fossilworks.org (archiviato dall’originale, non più disponibile) [eng]
Grotte di Chauvet – Ministero della Cultura francese [eng]
Orice d’Arabia – Wikipedia [ita]
Narvalo – Wikipedia [ita]
Rinoceronte di Giava – Wikipedia [ita]
Re’em Biblico secondo il Talmud – Talmudology.com [eng]
Unicorns, West and East – American Museum of Natural History [eng]
Approfondimenti sull’evoluzionismo
Lamarck, il primo evoluzionista – Missione Scienza
Che fine ha fatto il finalismo?!? – Missione Scienza
Laurea in chimica-fisica dei sistemi biologici, ottenuta all’università “La Sapienza” di Roma, PhD in Chimica Organica ottenuto all’università di Twente (Paesi Bassi), attualmente parte dell’Editorial Office di Frontiers in Nanotechnology e Frontiers in Sensors, a Bologna. Mi identifico come napoletano (anche se di fatto a Napoli ci sono solo nato). Un ricettacolo di minoranze (queer, vegano, buddista…) con una grande passione per la divulgazione.