Sessualità e Genetica – Are we born this way?
Allora, cominciamo.
Premetto che l’argomento di cui questo articolo tratterà è particolarmente importante per me (persona, autore, Luca). In quanto membro della comunità LGBTQIA+, ho sempre trovato che l’argomento “sessualità e genetica” sia trattato sempre (o quasi) con superficialità, volutamente e non.
Da cosa deriva questa superficialità?
Nella maggior parte dei casi, mancanza di una corretta contestualizzazione delle informazioni condivise.
Ma quindi, qual è questo contesto?
La genetica
La genetica è quella branca della scienza che studia i geni, l’ereditarietà e la variabilità genetica negli organismi viventi. Questa scienza ha fatto molta strada dai “piselli di Mendel”, che sono, infatti, i primi studi pioneristici della materia.
A seguito alla scoperta del codice genetico, e al perfezionamento di strumenti che permettono uno studio approfondito del materiale genetico stesso, la via della “genetica molecolare” è stata spianata. Le famose “leggi di Mendel”, quelle che mettono in relazione un particolare gene con una caratteristica sono insufficienti per lo studio di caratteri “multigenici” (ossia descritti da più di un gene specifico), e sono necessari approcci più fini e complessi.
Insomma, una caratteristica visibile non è collegata a un singolo gene. Non esiste il “gene del colore degli occhi”; il colore degli occhi, infatti, si collega a più di 5 geni, disposti su più di 2 cromosomi differenti.
Decisamente più complesso di quello che si immagina.
Non solo, non tutto è genetica. L’altezza, infatti, che è determinata da più di 700 geni diversi, ha una componente genetica del 80%. Vuol dire che, anche se si ha un patrimonio genetico che descrive specificamente un’altezza di 185 cm, è tranquillamente possibile fermarsi a 180.
Come? Fattori ambientali.
Alimentazione, stile di vita e ambiente influenzano l’altezza di ogni individuo (anche se solo per un mero 20%).
Insomma, per concludere, non tutto ciò che “è genetico” lo è al 100% (anzi), e non tutte le caratteristiche sono connesse a un unico gene.
La sessualità
La sessualità umana è la maniera attraverso la quale un essere umano vive e si esprime attraverso sesso e romanticismo. Coinvolge l’erotismo, ma anche fattori sociali, comportamentali, sentimentali e biologici. Insomma, è una cosa complessa.
Molto spesso, soprattutto nel contesto della correlazione con il genoma, si parla di “sessualità” e “orientamento sessuale” in maniera intercambiabile.
L’orientamento sessuale di un individuo è un pattern ricorrente di attrazione sessuale e/o romantica per un altro individuo (in tutte le possibili combinazioni). Per necessità comunicative e di autodefinizione, lo spettro continuo dell’orientamento sessuale, che varia da individuo a individuo (ma anche per lo stesso individuo all’interno della sua vita), viene suddiviso in “sottocategorie”. Le quattro categorie maggiormente utilizzate sono eterosessualità, omosessualità, bisessualità e asessualità.
La ragione per la quale queste quattro categorie sono le più usate non ha a che fare con la loro “maggiore validità” (assolutamente no!), ma con la superficialissima suddivisione (iper-eterocisnormativa, se chiedete a me) del “gli piacciono le persone del suo stesso genere, del genere opposto, tutti e due o nessuno dei due”.
Cosa incredibilmente semplicistica e discutibilissima. Ma non ne parleremo in questo articolo.
Notate qualcosa?
Orientamento sessuale e sessualità sono cose incredibilmente legate all’autodeterminazione di ogni individuo. Ognuno di noi osserva sé stesso e, con gli strumenti che ha a disposizione, si colloca dove si “sente più a suo agio” nello spettro della sessualità umana.
Questo è un problema.
Perché l’autodeterminazione è un problema?
Lo è perché qualsiasi studio che voglia determinare una correlazione fra una variabile osservabile oggettiva (il genoma) e una non oggettiva e autodeterminata (l’orientamento sessuale) deve partire dal presupposto che alla domanda “Qual è il tuo orientamento sessuale?” il campione in analisi risponda 1) onestamente e 2) in maniera più chiara possibile.
Moltissime persone, soprattutto delle vecchie generazioni ma anche delle nuove, non sono cresciute in ambienti sicuri che hanno permesso una corretta e sana determinazione e comprensione della propria sessualità.
Per questo motivo, gli studi relativi alla connessione fra sessualità e genoma, che comunque soffrono sì di queste problematiche di base, sono operati in campioni ristretti, limitandosi a “casi particolari”. Ad esempio, esistono molti studi che si limitano allo studio della sessualità di gemelli omozigoti di sesso maschile, anche se con campioni molto ridotti.
Recentemente, sono stati messi in atto studi su gruppi molto più numerosi, nei quali l’incertezza o la poca consapevolezza di un individuo si “diluisce” all’interno della dimensione del campione, con il problema, però, di avere molte più variabili da considerare.
Ma quindi, cosa ne sappiamo?
Abbastanza poco, ma meglio di nulla.
Sappiamo, innanzitutto che la maggioranza della popolazione (intorno al 80-90%) si definisce eterosessuale. Chiaramente, a seconda della popolazione a cui si fa riferimento, questa percentuale potrebbe essere largamente sovrastimata. Ricordo a tutti che, ad oggi, 54 stati si oppongono in maniera ufficiale all’ufficializzazione dei diritti LGBTQIA+; in alcuni stati sussiste ancora la pena di morte.
Quindi, l’abbassamento di questa percentuale segna, forse, un miglioramento della condizione umana, più che un “attacco alla famiglia tradizionale” (opinione personale).
Studi degli anni ’90, limitati a individui di sesso maschile, già mettono in evidenza che all’interno di coppie di gemelli omozigoti (che condividono, quindi, il genoma) la probabilità che i gemelli condividano l’orientamento sessuale è maggiore che nelle coppie di gemelli eterozigoti e fratelli non gemelli.
Questo, secondo chi ha operato questi studi, indica “abbastanza chiaramente”, che esiste una componente genetica per la sessualità. Il problema, come abbiamo già detto prima, è che questi studi sono stati eseguiti su campioni molto piccoli e, quindi, statisticamente meno rilevanti.
Studi più recenti ne abbiamo?
Un recentissimo studio del 2019, operato utilizzando campioni delle banche di genoma come quella di “23andMe”, mette in relazione il genoma di quasi mezzo milione di persone per cercare di trovare delle similitudini fra persone di un particolare orientamento sessuale.
Anche in questo caso però, anche se il campione è esteso anche al sesso femminile, la distinzione resta esclusivamente fra omo ed eterosessuali.
È comunque molto interessante osservare il dato che viene riportato, secondo il quale la quantità di persone che dichiarano di avere attrazione sessuale per persone del loro stesso genere sembri aumentare con l’abbassarsi dell’età media.
Come già anticipato prima, l’autodeterminazione è influenzata da molteplici fattori, primo fra tutti il contesto culturale in cui si è cresciuti. Insomma, la risposta alla domanda “qual è la tua sessualità?” non è così diretta e facile per tutti.
Come funziona lo studio e quali sono i risultati?
Lo studio si basa sull’analisi dati di due banche di genoma. A seconda della banca del genoma, le domande poste ai partecipanti sono leggermente differenti. Tutte le domande hanno come obiettivo finale, però, definire in maniera tabulabile la sessualità dei partecipanti (questo, per me, semplifica un po’ lo scenario ma ehi… Ci prendiamo quello che passa il convento).
Ad esempio, può essere valutato il rapporto matematico fra partner dello stesso genere, e partner non dello stesso genere, in relazione al numero di partner totali. Oppure si può offrire al partecipante di autodefinirsi in una scala numerica, aggiungendo domande a riposta multipla che permettano di contestualizzare il risultato.
Una volta che i partecipanti sono suddivisi all’interno di varie categorie, si cercano le somiglianze all’interno del genoma, per capire se queste sottocategorie hanno parti del codice genetico in comune oppure no. In particolare, quello che si va a cercare sono variazioni minime all’interno del genoma (detti, cambiamenti “a singola lettera”, dette SNP), che possono essere facilmente identificabili e meno soggette a sovrapposizioni casuali. Insomma, si cercano caratteristiche in comune fra le persone che condividono le stesse SNP.
Ebbene, lo studio mostra che (e cito direttamente dal testo) “le varianti genetiche testate sono responsabili dall’ 8 al 25% della varianza dei comportamenti non eterosessuali” (con tutti i dovuti “se” e “ma” già menzionati innanzi). In parole povere, la varianza è una misura di quanto un qualcosa si discosti dalla media.
Non è da poco, ma resta un dato basato su una visione abbastanza superficiale.
Ma quindi esiste il “gene gay”?
No, non esiste il gene gay.
Queste varianti geniche sono incredibilmente distribuite, il che vuol dire che non è possibile osservare il genoma di una persona e stabilirne l’orientamento sessuale. Per capirci, non esiste nessun gene o gruppo di geni che può essere soppresso, eliminato o sostituito. Ad oggi, non è possibile predire quale sarà l’orientamento sessuale di un individuo fino a che non sarà lui stesso ad autodeterminarsi.
“Ah, ma allora solo il 25% del DNA vuol dire che i ghei lo scelgono di essere ghei!1!! Scacco matto al gender!”
Ecco, no.
Vi prego, no.
Innanzitutto, la percentuale descritta nell’articolo non è una “probabilità assoluta”. Quello che lo studio comunica non è che, il 25% delle persone che condividono determinate varianti condividono l’orientamento sessuale. Come già detto, si tratta di varianza.
Ma ammettiamo anche che la sessualità abbia “una componente genetica del 25%”. La percentuale che verrebbe fuori è comparabile con la percentuale di genetica coinvolta nei casi di depressione grave e la capacità di riconoscere una nota quando la si ascolta (orecchio assoluto), entrambe caratteristiche che sono generalmente considerate legate al genoma, senza alcuno sforzo logico.
Il fatto che la sessualità di un individuo, inoltre, sia determinata per il 70% da fattori non genetici, ossia fattori ambientali, non vuol dire che l’orientamento sessuale sia una scelta.
Esistono studi, ad esempio, che connettono l’espressione della sessualità a fattori “epigenetici”, ossia fattori che cambiano il modo in cui la sequenza di DNA si esprime (senza cambiare la sequenza stessa). Uno di questi fattori potrebbe essere l’esposizione del feto a particolari ormoni, durante la gestazione. Un altro fattore sotto analisi è l’espressione di una particolare proteina (neuroligina), sia nel feto che nella madre.
Insomma, “fattori ambientali” non vuol dire “vedere il poster di Cristiano Ronaldo e rimanere folgorato”.
Ma è così importante?
Sì, lo è.
Ma non per il motivo che si pensa.
Come ogni caratteristica, la sessualità umana, è il risultato di un sistema complesso di fattori. Dire che “eterosessuali si nasce” è semplicistico, esattamente come lo è dire “eterosessuali si diventa”.
Il motto “Siamo nati così” (born this way) è un grido di liberazione che si contrappone a una visione bigotta e oppressiva che vorrebbe la sessualità di una persona unicamente come risultato di una scelta conscia.
Cosa che non è.
In nessun modo questo motto sottintende il fatto che l’approccio di chi non è etero debba essere “rassegnarsi”, perché “ehi, è andata così, sono stato sfortunato…”.
Studiare la connessione fra sessualità e genetica è un modo di acquisire conoscenza su noi stessi, esattamente come lo è capire la connessione fra felicità e genetica o fra capacità atletiche e genetica, un approfondimento fondamentale della conoscenza della natura di noi esseri umani, sotto tutti i punti di vista. Non un modo di dimostrare che non essere eterosessuali sia “normale” o “fuori dalla responsabilità dell’individuo”.
Dimostrare un collegamento fra genoma e sessualità non è un “passaporto di esistenza” per le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ o una “condanna genetica”. Nel momento in cui la comunità scientifica dimostrasse tale connessione, nessuna persona omofoba al mondo si convincerà che anche noi abbiamo diritto a esistere.
Il mio diritto a esistere, scusate tanto, ma io lo do per scontato.
Con i geni, o senza.
Nota conclusiva
L’orientamento sessuale di un individuo, ancora oggi, può essere motivo di discriminazione e violenza. Vorrei ricordare che la non-eterosessualità è stata considerata ufficialmente una malattia mentale fino alla fine del ventesimo secolo, e ancora oggi c’è chi bercia tranquillamente omotransfobia pseudoscientifica, vestendosi da esperto.
Oggi è l’ultimo giorno del pride month: è necessario, a mio avviso, non dimenticarci che un mese all’anno non basta.
Fonti
SNP e sessualità – Science [eng]
SNP e sessualità (SM) – Science [eng]
Biologia e orientamento sessuale – Wikipedia [eng]
No single genetic cause – Scientific American [eng]
Altezza e genetica – Medline Plus [eng]
Sviluppo sessualità – NCTSN [eng]
Orientamento sessuale – Wikipedia [eng]
Eye color and genetics – Medline Plus [eng]
Diritti LGBT nel mondo – Wikipedia [ita]
Polimorfismo a singolo nucleotide – Wikipedia [ita]
Orecchio assoluto e genetica – ScienceDaily [eng]
Sviluppo dei genitali – Missione Scienza
Laurea in chimica-fisica dei sistemi biologici, ottenuta all’università “La Sapienza” di Roma, PhD in Chimica Organica ottenuto all’università di Twente (Paesi Bassi), attualmente parte dell’Editorial Office di Frontiers in Nanotechnology e Frontiers in Sensors, a Bologna. Mi identifico come napoletano (anche se di fatto a Napoli ci sono solo nato). Un ricettacolo di minoranze (queer, vegano, buddista…) con una grande passione per la divulgazione.