Scienziati furbi: il problema dell’etica scientifica
Il problema degli scienziati “furbi” e dell’etica scientifica non deve essere sottovalutato.
In un mondo ideale, la scienza sarebbe un lavoro quasi di pura logica, indipendente dalle passioni e dai pregiudizi umani: formuli delle ipotesi, fai un po’ di esperimenti, analizzi i dati e giungi a delle conclusioni basate su questi dati. Se confermano le tue ipotesi, bene; se non le confermano, va bene anche così: abbiamo comunque scoperto qualcosa, cioè che l’ipotesi era incompleta o, magari, del tutto sbagliata. Non c’è niente di male in questa conclusione. Dopo tutto, lo scopo della scienza è di comprendere fenomeni ancora sconosciuti. Se fosse così facile confermare ogni nostra ipotesi, sapremmo già tutto e la scienza non ci servirebbe a un bel niente.
Le tentazioni dello scienziato
Purtroppo, non viviamo in un mondo ideale. Il lavoro dello scienziato è molto competitivo e spesso precario: lo scienziato tipico ha un contratto di un paio di anni e, già nei primi mesi di contratto, deve pensare a come trovare fondi per il prossimo progetto. Anche nei (pochi) casi di contratti a tempo “indeterminato”, se lo scienziato non produce risultati interessanti e non continua ad attrarre finanziamenti, potete stare certi che si troverà ben presto in mezzo a una strada. Chi riuscirà a ottenere questi finanziamenti? Logicamente, quelli che hanno dimostrato i risultati più promettenti e utili.
Produrre scoperte impressionanti e utilizzabili è, dunque, nell’interesse dello scienziato per varie ragioni: per convincere i fondi di ricerca a finanziare la sua ricerca per un paio di altri anni; per soddisfare il proprio ego e sentirsi uno scienziato figo e rispettato; in più, molti esseri umani non amano ammettere di aver toppato completamente le loro ipotesi e preferirebbero che gli esperimenti dimostrassero quello che già credono.
Per queste ragioni, molti scienziati devono convivere con la tentazione di prendere scorciatoie e di mancare di imparzialità.
Stiamo parlando di aggiustare quel paio di dati che rendono il nostro esperimento inconclusivo. Scegliere solo i dati che ci piacciono e “dimenticare” gli altri. Guardare i dati di altri scienziati e poi pubblicarli sotto il proprio nome. Addirittura fabbricare dati da zero e costruire una storia hollywoodiana completamente fittizia.
Chi sono i furbi?
È interessante notare che il mondo degli scienziati furbi è diversificato e multiculturale: uomini, donne, professori, studenti, europei, americani, asiatici, biologi, chimici, fisici sono tutti ben rappresentati nelle “liste nere” degli scienziati che sono stati beccati con le mani nella marmellata [1,2].
Alcuni esempi eclatanti?
Jan Hendrik Schön
Questo fisico tedesco all’Università di Costanza (Germania) era un riciclatore di dati, cioè riutilizzava i dati di un singolo esperimento in vari studi e varie figure. Prima di venire scoperto, il perfezionamento del suo processo di mascherare questi dati e venderli come nuovi gli permise di pubblicare un articolo ogni 8 giorni, spesso nelle più prestigiose riviste scientifiche del mondo.
Bengü Sezen
Per un decennio, Bengü Sezen, una chimica turca alla Columbia University (USA) inventò risultati con il solo uso della sua fantasia e convinse il direttore del suo dipartimento a licenziare vari dottorandi che non riuscirono a replicare le sue “scoperte”.
Annarosa Leri e Piero Anversa
Questi ricercatori italiani lavoravano sulle cellule staminali all’Università di Harvard (USA) pubblicarono vari articoli con figure photoshoppate e grafici in cui vari dati erano stati aggiunti artificialmente.
Andrew Wakefield
Questo medico inglese al Royal Free Hospital di Londra indicò che il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia poteva causare autismo nei bambini. Peccato che, per giungere a questa conclusione, Wakefield scelse di pubblicare solo i dati che gli piacevano, buttando via gli altri e seppellendo i risultati dei suoi studenti che contraddicevano le sue ipotesi. Inoltre, lo studio di Wakefield fu parzialmente finanziato da avvocati di genitori che credevano che i loro figli fossero stati danneggiati dal vaccino. Infine, Wakefield stava da tempo cercando di brevettare un vaccino alternativo, creando così un enorme conflitto d’interesse nello studio in questione [3].
Sono tanti, gli scienziati furbi?
Dipende dal punto di vista. In una ricerca di qualche anno fa [4], il 2% degli scienziati intervistati (anonimamente) ha ammesso di aver falsificato dei dati almeno una volta nella propria carriera. Non è impossibile che alcuni si vergognino ad ammetterlo, anche sapendo di rimanere anonimi, quindi questa percentuale potrebbe essere maggiore. Sono tanti? Troppi? È difficile dirlo, perché dipende da quanto l’opera di falsificazione abbia determinato le conclusioni del loro lavoro.
I casi che vi abbiamo appena riportato sono i più eclatanti. Fabbricare dati a piacimento per “dimostrare” le proprie conclusioni preferite è il reato più grave, perché porta centinaia di altri scienziati sulla strada sbagliata (sprecando fondi pubblici) e, magari, convince i politici a prendere decisioni basate su prove inesistenti. È molto probabile che questi casi estremi siano solo una piccola percentuale del 2% riportato nella ricerca citata sopra. Fortunatamente, i casi eclatanti sono anche i più facili da riconoscere (per capire il perché, vedi sotto).
Esistono, poi, casi più “lievi” (ma comunque deprecabili!!), in cui, magari, la maggior parte degli esperimenti indicherebbe una certa conclusione, ma rimangono ancora dei dati un po’ misteriosi.
Magari l’esperimento non era sufficientemente sotto controllo, magari un uccello ha cagato sul nostro sensore causando un paio di dati pazzerelli. Con ogni probabilità le conclusioni rimangono inalterate, ma non possiamo esserne sicuri.
Quello che lo scienziato dovrebbe fare è ripetere gli esperimenti, considerare possibili cause di errore o chiedere un parere a un esperto esterno, ma tutto ciò richiede ulteriori sforzi, tempo e risorse e, quindi, si limita a chiudere un occhio. Come abbiamo detto prima, tempi stretti, contratti brevi e la necessità di produrre risultati per proseguire nella propria carriera sono possibili cause di questi casi più “lievi”. Purtroppo, anche in questi casi meno eclatanti, c’è sempre la possibilità di disseminare conclusioni errate e, dunque, anch’essi vanno contro l’etica scientifica.
I furbi verranno mai beccati?
Fortunatamente, gli scienziati sanno bene che siamo tutti esseri umani e che i risultati di uno studio non possono mai essere oggettivi al 100%. Per questa ragione, nulla è “scientificamente provato” finchè un numero sufficiente di scienziati non riesce a replicare i risultati di altri scienziati in un altro laboratorio. Chiaramente, i risultati più clamorosi, più inaspettati e più sospetti sono quelli che attireranno più attenzioni, anche solo per ragioni di gelosia!
In questo senso, la comunità scientifica ha un potente sistema di difesa:
qualche scienziato cercherà di riprodurre i risultati ”strani” e, se questi tentativi dovessero fallire miseramente, probabilmente segnalerà i risultati come sospetti. In seguito a varie segnalazioni di questo genere, spesso si aprono investigazioni con richieste di vari tipi agli autori dei risultati originali: i dati non processati, i diari di laboratorio, i contatti degli studenti o dei tecnici di laboratorio ecc… Anche se lo scienziato è stato astutissimo a fabbricare i dati e riesce a non farsi beccare, l’impossibilità nel riprodurre i suoi risultati getterà una lunga ombra sulla sua ricerca. Nel 2010, un gruppo di volontari aprì il blog https://retractionwatch.com/, praticamente un database di tutti gli articoli scientifici che sono stati ritirati a causa di dubbi sulla loro genuinità.
Dobbiamo smettere di avere fiducia nella scienza?
Grazie al metodo di autodifesa basato sulla riproducibilità dei risultati, possiamo concludere che fare i furbi nella scienza non è solo moralmente disdicevole, ma non è nemmeno conveniente nel lungo termine. O vieni beccato, o ben pochi si fideranno ancora di te. In questo senso, falsificare i risultati ha come effetto principale il rallentamento del progresso della scienza, ma non può fermare la vittoria delle scoperte “vere” nel lungo termine. Morale della favola: possiamo dubitare dei singoli scienziati o dei singoli studi, ma le teorie scientifiche che hanno resistito alla prova del tempo sono, con ogni probabilità, corrette.
Di chi ci possiamo fidare?
Non si può mai essere sicuri al 100% che i risultati di un particolare studio scientifico siano completamente genuini e imparziali, tuttavia, alcuni fattori dovrebbero far suonare qualche campanello di allarme:
- Lo studio è finanziato da un ente che ha interesse a “dimostrare” che una particolare conclusione è corretta. Esempio: uno studio sulla tossicità delle celle solari commissionato da un’azienda petrolifera.
- Le conclusioni di uno studio sono perfettamente in linea con precedenti risultati pubblicati dagli stessi scienziati. Questi scienziati tendono a non autocorreggersi.
- Gli scienziati si rifiutano di mostrare ulteriori dati o prove a supporto delle proprie conclusioni.
- Un particolare scienziato produce nuovi risultati a ritmi impressionanti.
Al contrario, ci sono molti casi di scienziati che non esitano ad ammettere di aver sbagliato, che hanno ritirato articoli precedentemente pubblicati a causa di nuove osservazioni contradditorie, che giungono a conclusioni diverse dal proprio credo iniziale e che mettono a disposizione i loro dati su database pubblici. DI questi scienziati ci si può molto probabilmente fidare!
Conclusione
Anche se i furbi nella scienza esistono, i casi di frodi eclatanti sono limitati e, in generale, questi scienziati vengono beccati o, perlomeno, screditati dal test della riproducibilità.
Il messaggio finale dunque è: non fidatevi ciecamente del singolo scienziato, ma fidatevi dei risultati confermati indipendentemente da molti scienziati e generalmente accettati dalla comunità scientifica!
Fonti
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_scientific_misconduct_incidents
[3] https://briandeer.com/mmr/lancet-deer-1.htm
[4] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2685008/
[5] https://retractionwatch.com/
PhD in scienza dei materiali alla Technical University of Denmark e attualmente ricercatore negli USA. Mi occupo della scoperta e prototyping di nuovi materiali per energie rinnovabili.