Osservazioni intorno alle vipere – F. Redi
Francesco Redi nella sua vita fu molte cose: un medico, un filosofo, un poeta, uno scrittore, un biologo. Ma forse il termine che più fa giustizia alla sua persona è razionale.
Francesco Redi era una persona profondamente razionale.
E vorrei parlarvene non solo per l’importanza che ha ricoperto nella storia della scienza, ma anche perché, tramite i suoi scritti, possiamo immedesimarci nei panni di un intellettuale dell’11.600 EU (1600 d.C.).
Redi è famoso per aver smentito la teoria della generazione spontanea, ne abbiamo abbondantemente parlato nella prima parte di questo approfondimento a lui dedicato. Ma oggi entreremo nel dettaglio del suo primo testo di argomento scientifico, Osservazioni intorno alle vipere, scritto nel ’64 e dedicato a Lorenzo Magalotti.
Leggendo le prime righe di quest’opera mi sono detto che era troppo bella, nei contenuti e nel lessico, per non darle uno spazio tutto suo. Spero che tramite gli estratti che leggerete la apprezziate anche voi e possiate immedesimarvi nella testa e nel mondo di un italiano del ‘600.
L’opera comunque è interamente consultabile su wikisource.
L’inizio di Osservazioni intorno alle vipere:
Ogni giorno più mi vado confermando nel mio proposito di non voler dar fede, nelle cose naturali, se non a quello che con gli occhi miei propri io vedo, e se dall’iterata e reiterata esperienza non mi venga confermato.
[Nota: in questo articolo, come ormai d’abitudine, utilizziamo la datazione temporale in formato Era Umana, EU, perché riteniamo che permetta di meglio comprendere gli avvenimenti passati come parte della storia umana, la cui data convenzionale di inizio è fissata al 10.000 a.C.]
La premessa
L’incipit della storia è che a Firenze arrivò un carico di vipere per la preparazione della teriaca nella farmacia granducale.
La teriaca è un preparato della medicina tradizionale antica usato come rimedio universale per curare diverse malattie. Il nome “teriaca” deriva dal greco “therion”, che significa “bestia”, in riferimento al fatto che il preparato era considerato utile contro i morsi delle bestie velenose, come i serpenti.
La preparazione era seguita da molte figure di spicco, oltre che da speziali e medici. E proprio fra di essi, raccontandosi quello che era “il sapere comune” sulle vipere, emerse come alcune credenze fossero assurde, a volte anche discordanti fra loro, e frutto di dicerie popolane.
La figura della vipera era avvolta da un’aura esoterico-religiosa che la condannava a essere l’animale del male per antonomasia visto il ruolo del serpente nella cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso.
Era sapere comune che le vipere fossero l’animale del demonio, avevano il potere di avvelenare le persone con il loro sguardo, con il loro respiro o semplicemente sfiorando la vittima, figuriamoci con un morso!
Il solo toccare una ferita causata da una vipera poteva portare alla morte. E guai a provare a farle a pezzi, le vipere erano in grado di rigenerarsi e ogni pezzo sarebbe diventato una nuova vipera. Il suo morso era, ovviamente, considerato incurabile.
I primi esperimenti
Inutile dire quanto queste dicerie lasciassero Redi perplesso. Così come rimaneva perplesso nel constatare che la letteratura riguardo le vipere confermava proprio questi fatti.
Il suo primo esperimento, quindi, riguardò proprio il veleno e, in particolare, Redi cercò di capire dove fosse localizzato.
Molti scritti storici e contemporanei affermavano che esso era contenuto nella cistifellea e che arrivasse alla bocca tramite dei dotti. Redi non ne era convinto, nelle sue autopsie non aveva mai individuato dei canali che portassero del liquido verdastro dal fegato ai denti.
Mentre Redi esponeva questi dubbi al gruppo di intellettuali radunati per la preparazione della teriaca, a mettere a tacere tutti fu tal “Iacopo Sozzi cacciator di Vipere”, che prese la cistifellea di una vipera, svuotò il contenuto in un bicchiere d’acqua e se lo bevve tutto di un sorso nell’incredulità generale.
Manco fosse tequila sale e limone.
Ma, ovviamente, Redi ritenne di dover testare la cosa più volte per smentirla; quindi diede da bere della bile di vipera anche a due piccioni, un gatto, un pavone, dei galli e a un cane, il quale:
non ebbe un minimo accidente, e sano, e rigoglioso infino al giorno d’oggi è vissuto, e se altro mal non l’ammazza camperà eternamente.
Questa osservazione era supportata anche da quanto osservato in natura. Quando gatti e rapaci si cibavano di serpenti ne mangiavano anche la cistifellea, e non morivano subito dopo.
Assodato che la bile di vipera, bevuta, non fosse tossica, Redi verificò che non lo fosse anche se versata su delle ferite.
Concluse che il veleno non era contenuto nella cistifellea.
Esclusa la bile, passiamo ai morsi
Il passo successivo fu concentrarsi sulla testa e sul morso della vipera. Per primo constatò che le vipere non avessero delle “vesciche” sotto la lingua da cui espellevano il veleno, come si sosteneva.
Piuttosto Redi notò delle “glandule” piene di un liquido del colore e dal sapore dell’olio di mandorle, che si svuotavano dopo i morsi.
Aveva giustamente individuato le ghiandole velenifere.
Altra cosa sorprendente, dimostrata sempre da Iacopo Sozzi, eroe indiscusso del libro:
Prese Iacopo una Vipera delle più grosse, delle più bizzarre, e delle più adirose, e fece a lei schizzare in un mezzo bicchier di vino non solo tutto ’l liquore, che nelle guaine avea, ma ancora tutta la spuma, e tutta la bava, che questo serpentello agitato, percosso, premuto, irritato potè rigettare, e si bevve quel vino, come se fosse stato tanto giulebbo perlato.
Iacopo, di fronte alla platea incredula, aveva bevuto veleno di vipera senza che gli succedesse nulla.
Anche in questo caso il veleno, o meglio, il contenuto delle glandule, fu fatto ingerire a diversi animali e si constatò che nessuno di essi morì.
Come fatto precedentemente, assodato che bere questo liquido non causasse la morte, Redi testò cosa succedeva se esso veniva versato su delle ferite.
Per fortuna, non usò il buon Iacopo come cavia ma dei galletti e dei piccioni, i quali in poche ore morirono.
Redi testò sia il veleno di vipere vive che quello di vipere morte da diversi giorni, constatando che entrambi fossero mortali.
Questo portò Redi a concludere che, prima di tutto, il liquido contenuto nelle glandule fosse effettivamente veleno. Poi che il veleno, se bevuto, non causava la morte.
Redi distruttore di miti e leggende
Date le scoperte appena descritte, la popolare credenza che le vipere trovate nelle cantine e nelle botti avvelenassero il vino nuotandoci dentro, causando malattie e morte a chi lo avesse bevuto, doveva necessariamente essere una cavolata. Se bere veleno puro non causava problemi, come poteva essere mortale bere vino entrato in contatto con una vipera?
Le vipere probabilmente si rifugiavano nelle cantine trovando nello spazio fra le botti un rifugio.
Si accorse anche che le vipere non emettevano veleno a ogni morso, e che un morso secco non causava la morte. Ripetendo molte volte questi esperimenti Redi si convinse che il veleno, per causare la morte, deve entrare nel circolo sanguigno.
Per confermatione di questo vero, quando non vi bastassero tutte le sopradette riprove, ed autorità, sappiate, che diverse persone si son cotti, e mangiati allegramente tutti quanti que’ buoni pollastri, e piccioni, e tutti gli altri animali, che le Vipere aveano morsi, che che si dica il Mattiolo non potersi ciò fare senza manifesto pericolo di veleno
Addirittura smentì che Cleopatra fosse morta a causa del morso di un aspide ma, secondo lui, semplicemente si punse con un ago imbevuto del suo veleno o se ne versò un po’ su una ferita.
E noi che immaginavamo la scena romantica (da lui stesso citata) in cui Cleopatra si fa mordere dall’aspide su un seno… Maledetti falsi storici!
Rimedi contro i morsi
Comunque, dice Redi, succhiare via il sangue da un morso può effettivamente salvare la vita a una persona, se si agisce tempestivamente, ma bisogna essere sicuri di non avere ascessi o ferite in bocca, altrimenti chi soccorre rischia di rimanerci.
Alternativamente Redi raccomanda di scarificare la ferita, di applicare una coppetta per tirare il sangue o di legarsi con un laccio la zona poco distante dalla ferita, in modo da limitare la circolazione del veleno.
Oltre al succhiar le piaghe, utilissimo ancora stimo essere, per consiglio di Galeno, fare una stretta legatura un poco lontana dalla ferita nella parte più alta, acciocchè col moto circolare del sangue non si porti il veleno al cuore, e tutta la sanguigna massa non se n’infetti.
Chiaramente, precisa l’autore, non va dato ascolto a quelle superstizioni che dicono che il laccio debba essere di un certo materiale per essere efficace. Alcuni autori citavano per esempio il cuoio di cervo. Così come non ha nessun effetto mettere la testa recisa della vipera sulla ferita. O il cedro, tanto millantato in alcune storielle, Redi dice che aveva testato questa teoria ma non era andata benissimo per i galletti che avevano partecipato all’esperimento.
Redi contro i guru delle tisane
Stessa storia per tutta una serie di erbe miracolose di cui trovò informazioni nella letteratura di allora:
[…] che per aver le spine del Cappero la segnatura de’ denti della Vipera, per questa ragione il Cappero sia per essere sommo, e possente medicamento da guarire i morsi viperini. Io ne ho fatta esperienza, non già perchè ne sperassi, o ne credessi vero l’effetto, ma per poter con verità scrivere d’averla fatta; e con questa verità medesima vi confesso, che di buon proposito hò esperimentate alcune altre famose erbe, da Dioscoride, e da Plinio descritte, e sempre ne son rimaso deluso, ne mai mi sono imbattuto a veder le gran maraviglie, che a quelle attribuiscono.
Redi contro tutti
Redi ne aveva davvero per tutti, anche per quegli autori che sostenevano che la vipera, in realtà, non produceva il veleno da sé, ma lo assimilava nutrendosi di erbe e insetti velenosi.
Allora, dice il buon Francesco, come mai le vipere tenute a digiuno per mesi sono comunque velenose? E non solo, se anche si estraesse tutto il veleno, fino a quando l’animale morde secco, e poi si aspettasse qualche giorno, affinché ne producano di nuovo, anche il nuovo veleno sarebbe mortale. Lo aveva testato. Se le tossine derivassero dall’alimentazioni questo non dovrebbe essere possibile.
Pensate, persino sul numero di canini delle vipere esistevano leggende. Si sosteneva che le vipere di sesso maschile avessero due zanne, le femmine di più (un numero imprecisato). E pensate che il nostro eroe potesse farsi scappare una blastata anche su questo tema?
Se si trovano vipere con più di due canini la spiegazione è semplice, i denti vecchi sono in procinto di cadere e sono già pronti i due nuovi:
si ponga mente, che uno de’ due tentenna, e dimena, ed è vicino al cascare, vicino al cascar dico, perchè vi sono Autori, che dottamente affermano, che ogni tanto tempo cadono, e rinascono i denti alla Vipera.
Pur avendo osservato i dotti all’interno dei canini, Redi escluse (sbagliando) che il veleno passasse da lì, perché dalle sue numerose osservazioni sembrava che il veleno calasse dalla radice del dente e non dalla punta.
Redi Serpeverde
Anche sui denti fece delle prove, facendone ingoiare qualcuno a un cappone e notando che “non solo non morì, ma non diede indizio alcuno di futura morte”.
Anche ferendo dei polletti con dei denti di vipera, notò che non succedeva nulla, screditando la leggenda metropolitana per cui i denti fossero mortali.
Certo, consigliava Redi, di non fare questa prova usando il capo appena mozzato di una vipera, perché “ancora ha qualche residuo di moto, e per così dire, qualche favilluzza di vita, se morde uccide”.
Per la serie don’t try this at home.
Anche la credenza che le vipere nascondessero nella coda un pungiglione era una diceria senza senso, faceva notare l’autore.
Probabilmente nasceva dal fatto che chi le catturava e le mangiava, tagliava via testa e coda, ma non per timore del veleno, che come dimostrato non è dannoso se ingurgitato. Semplicemente perché in queste parti c’è poca carne ed è tutto osso! Ed era chiaramente falsa la diceria per cui mangiare carni di vipere faceva venire una sete perenne.
Per non parlare di quelli che dicevano che il cervello delle vipere fosse nero. È bianco e fidatevi, che lui di cervelli di vipera ne aveva visti tanti!
O che sostenevano che ovunque passassero le vipere lasciassero una puzza indicibile. Redi dice che di vipere ne aveva custodite molte, in scatole più o meno grandi, e non avevano alcun odore particolare.
Redi contro la gente che sputava sulle vipere
Anche la leggenda per cui la saliva dell’uomo ammazzava le vipere o le faceva perdere di velenosità, venne testata da Redi somministrando saliva umana per quindici giorni a sei vipere, e a quanto pare le vipere stavano meglio di prima ed erano rimaste velenose.
Vi cito un ultimo pezzo dell’opera e poi passiamo alle conclusioni:
[…] quest’altra narrata da Aristotile, che alle Bisce se sia troncata la coda, rigermoglia di nuovo, e rinasce, e che ripullulano ancora gli occhi, se sieno a loro cavati; e Rasis, che tra gli Arabi fu pur Medico di alto, e nobil grido racconta, che alla sola vista d’un buono smeraldo gli occhi alle Vipere subito si liquefanno, e schizzano fuor della fronte. Dio buono! E vi sono scrittori solenni quasi in ogni professione, che vogliono a tutti i patti, che queste ciance sien vere, avendole dette la reverenda autorità de gli Antichi […]
Conclusione
In quest’opera Redi sicuramente si toglie molti sassolini dalla scarpa, blastando autori classici e moderni, smontando le loro dicerie con esperimenti e logica.
Va poi sicuramente sottolineata l’onestà intellettuale dell’autore nel dichiarare più volte, nell’opera, quando ciò che dice derivi dal risultato di un esperimento o quando semplicemente si tratta di una sua congettura e che quindi potrebbe sbagliarsi.
Inoltre, ho trovato molto molto belli questi versi circa gli effetti del veleno sugli esseri viventi, e come esso porti alla morte. L’autore dice che non si esprimerà a riguardo perché non è riuscito a trarre nessuna conclusione consistente:
Voi v’ingannate, se ciò da me pretendete, contentandomi, che questa sia una di quelle tante, e tante cose, che non so e che non ispero di sapere, perche dopo molte esperienze fatte a questo sol fine in Cani, Gatti, Pecore, Capre, Pavoni, Colombe, ed altri animali, non ho per ancora trovato cosa stabile, che intieramente mi satisfaccia, e da poterla scrivere per vera.
L’opera si conclude così:
E questo sia il termine di così lunga, e tediosa lettera, non volendo per somiglianti bagattelle portarvi più noia, ne farvi perder più tempo. Che ’l perder tempo, a chi più sa più spiace.
Redi 2. La vendetta.
Pensavate fosse finita?
Illusi.
In un opuscolo scritto successivamente, “Sopra alcune opposizioni fatte alle sue osservazioni intorno alle vipere”, Redi si dice grato della fama che il suo opuscolo aveva raggiunto, ma che aveva letto di alcuni autori francesi che avevano avuto l’ardire di mettere in discussione quanto riportato.
Nello specifico, questi francesini arroganti sostenevano che non esistesse alcuna parte della vipera che fosse velenosa, e che il famoso “veleno” estratto da Redi altro non era che saliva.
A riprova di ciò riportavano che molti animali morsi dalle vipere non morivano.
La morte sopraggiungeva solo quando l’animale, provocato, attaccava con l’intento di vendicarsi, e questo suo desiderio muoveva degli “spiriti” in modo violento e questi infettavano il sangue dell’animale rendendolo velenoso.
Usando le parole di Redi:
[…] affermano per cosa indubitata, vera, ed esperimentata, che la Vipera non ha parte del suo corpo, ne membro, ne umore alcuno abile a potere avvelenare. E che il veleno consiste nella sola immaginazione di essa Vipera irritata, ed incollorita per l’idea della vendetta, che ella si è figurata nella testa, mediante la quale, mossi gli spiriti da un moto violento, sono spinti per i nervi, e per le fibre alla volta delle cavità de’ denti, per le quali cavità son portati essi spiriti ad infettare il sangue dell’animale per l’apertura del morso fatto da essi denti. Ed in somma concludono, che se la Vipera non sia in collera, e non abbia quella immaginazione vendicativa, le sue morsure mai non avvelenano. Anzi sono innocentissime. E non apportano danno alcuno a chi ne sia ferito; e son quest’esse le loro parole.
Pazzi. Avevano provocato il sommo.
La risposta di Redi
A queste esperienze io non posso contrapporre altro, che quelle moltissime, che da me furono fatte nell’anno 1664. E recitate nelle soprammentovate mie Osservazioni intorno alle Vipere, e quelle parimente che scriverò qui appresso, anch’esse da me operate non con desiderio di confermar le prime, ma bensì di venire in chiaro del vero.
A questo punto Redi riprende e ripete una serie di esperimenti su decine di piccioni, polli e altri animali testando il veleno ottenuto da vipere vive, vipere morte, vipere decapitate, denti estratti e intinti nel veleno.
Il risultato era sempre lo stesso, l’animale morso moriva nel giro di qualche ora.
Diverso era se alla vipera venivano fatti mordere in serie dieci polli. I primi tre morivano, il quarto stava male ma non moriva, i restanti polli non accusavano minimamente il morso. Ma il morso secco lo aveva già descritto nei primi esperimenti.
Quindi Redi invitò gentilmente i suoi colleghi francesi ad andarsene a quel paese, ma prima, a ripetere gli esperimenti da lui fatti. Se i risultati ottenuti non fossero stati gli stessi, ma effettivamente gli animali morsi dalle vipere francesi sopravvivevano, allora forse le due specie erano differenti e/o avevano meccanismi diversi dietro la loro velenosità.
Il perchè stimerei profittevole, che i dottissimi Autori del libro delle novelle esperienze Franzesi facessero nuove osservazioni. E se le trovassero conformi a quelle che anno stampate, e veramente contrarie alle mie; allora potremmo dire concordemente di aver rinvenuta una verità stata infino ad ora occulta. Cioè, che il veleno delle Vipere Franzesi consista in un’idea immaginaria di collera diretta alla vendetta. E quello delle Vipere d’Italia abbia il suo seggio in quel liquor giallo da me tante volte mentovato. Ma se pel contrario l’esperienze fatte in Francia non continuassero a verificarsi; allora si potrebbe affermare, che tanto le Vipere Franzesi, quanto le Italiane sono della stessa natura, e che anno lo stesso veleno conforme infin l’anno 1632.
Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby.
Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato 🙂