Antartide e pannelli solari, un esperimento congelato
L’Antartide potrebbe diventare il banco prova più produttivo per i pannelli solari.
Questi sono una delle principali fonti rinnovabili che abbiamo scelto per la “transizione verde”.
L’idea è quella di sfruttare la luce del sole, che ci viene consegnata ogni giorno gratuitamente, per andare a energizzare i nostri carichi.
Un’idea condivisa dal direttore della Divisione Antartica Australiana della stazione Casey, Kim Ellis, che ha iniziato nel 2019 un progetto di ricerca innovativo.
Installare 30 kW di pannelli verticali per sopperire alle necessità energetiche della stazione.
Ellis ha dichiarato: “Taglierà i costi del carburante e delle emissioni, inoltre aumenterà la capacità della stazione nei periodi di picco”.
Ma che si intende per periodo di picco? E perché sono tutti molto interessati a realizzare pannelli solari resistenti alle condizioni antartiche? Ma, soprattutto, è una buona idea?
Cos’è l’Antartide?
È un continente (titoli di coda).
È uno dei posti più freddi del pianeta, con temperature medie invernali fino a -35 °C (il picco minimo misurato è di quasi -90 °C).
Con queste temperature è impossibile pensare di vivere lì per un lungo periodo. Tuttavia, in Antartide ci sono molte stazioni scientifiche nelle quali scienziati fanno a turno per studiare ghiaccio e fenomeni naturali.
Studiare l’Antartide è, infatti, fondamentale. È uno dei modi più diretti che abbiamo, ad oggi, per studiare gli effetti del cambiamento climatico, valutando gli strati di ghiaccio.
Numerose stazioni scientifiche, di vari paesi, sono situate sulla superficie di questo continente.
Anche l’Italia ne possiede due, la stazione Mario Zucchelli (MZS) e la stazione Enigma Lake.
La prima possiede numerosi laboratori al suo interno, per studi di chimica, geologia, elettronica e biologia. Possiede, inoltre, una sala calcolo, un acquario e un osservatorio astronomico per lo studio del magnetismo terrestre e della ionosfera.
La seconda è una base meteo per la misura della pressione atmosferica, temperatura, umidità relativa e direzione e velocità dei venti.
La “Notte Polare”
L’alternanza di giorno e notte è qualcosa che molti di noi danno per scontato, vivendo in un continente (quasi) equatoriale.
Tuttavia, la durata di giorno e notte varia a seconda della vicinanza ai poli. Più ci si avvicina a essi, maggiore è il periodo che alterna luce e ombra.
La situazione estrema è al polo stesso, dove si ha il sole sopra l’orizzonte per sei mesi e poi sei mesi di oscurità (la notte polare).
Sulle coste dell’Antartide, attorno al giorno di Natale, ci sono un paio di settimane in cui il sole non tramonta.
Alla stazione Casey, che si trova sulla Penisola di Bailey, il periodo di picco dei pannelli corrisponderebbe proprio a queste settimane.
Durante dicembre i pannelli sarebbero sempre investiti di luce solare, producendo energia h24.
I pannelli solari, funzionamento in breve
Giusto per aver chiaro quello di cui si parla, cerchiamo di capire come funziona un pannello solare.
Gli impianti fotovoltaici di produzione di energia elettrica (IFV) sfruttano l’irraggiamento solare come fonte di energia.
Questi impianti riescono a effettuare la conversione tramite le celle fotovoltaiche.
La tecnologia è abbastanza giovane, se si pensa che la prima cella al silicio in grado di generare corrente misurabile è stata realizzata nel 1954.
La cella fotovoltaica è costituita tipicamente da materiali a semiconduttore, come silicio o arseniuro di gallio, con cui si realizza una giunzione P-N.
In breve, una giunzione P-N è una struttura creata con due semiconduttori “drogati” in maniera differente. Un semiconduttore verrà dotato di un eccesso di carica positiva (drogaggio P), mentre l’altro verrà dotato di un eccesso di carica negativa (drogaggio N).
Il termine giunzione si riferisce alla regione di interfaccia tra i due semiconduttori, dove c’è assenza di carica e nasce un campo elettrico interno diretto da N a P.
Quando la cella viene investita dalle radiazioni solari, i fotoni che penetrano nella giunzione possono causare la liberazione di alcuni elettroni. Gli elettroni, ormai liberi, sono spinti dal campo elettrico e creano un flusso.
La cella diventa, a tutti gli effetti, un generatore di corrente, con intensità proporzionale all’irraggiamento solare assorbito.
Posizionare un pannello in Antartide permette di sfruttare l’esposizione solare prolungata per farlo funzionare il più a lungo possibile.
Sfide ambientali
Mohamed Jameel Al Ramahi, direttore esecutivo di Masdar (azienda che ha investito sul progetto della stazione) ha dichiarato: “Questo progetto aiuterà a costruire competenza rispetto ai sistemi solari, e alle loro performance, in ambienti freddi e remoti. Testerà la durabilità e sostenibilità dei pannelli solari ai forti venti e alle nevicate dell’Antartide, e ci aiuterà a determinare se è un modo efficiente di energizzare la stazione”.
Le celle fotovoltaiche rimangono strumenti delicati. Il freddo, che in prossimità della stazione può arrivare a -7°C, è un fattore limitante sia per la tecnologia che per eventuali interventi di manutenzione.
Anche il vento non va sottovalutato, dato che l’installazione deve arrivare a resistere a venti superiori ai 15 nodi.
L’installazione stabilità è, infatti, inusuale. Siamo abituati a vedere pannelli inclinati, o comunque montati su piattaforme rotanti che “inseguono” la luce solare.
In questo caso, il sistema è montato verticalmente su una parete. In questo modo si interviene sulla resistenza ai venti della struttura. Inoltre, in queste modalità i pannelli sono di facile installazione e manutenzione.
Sviluppo sostenibile e limitazioni
Questi progetti contenuti potrebbero essere la base di studio necessaria a sviluppare una tecnologia che potrebbe permetterci di utilizzare al 100% le risorse dell’Antartide.
Nella comunità scientifica si è manifestata l’idea di poter utilizzare il continente congelato come base per la produzione di energia solare, grazie alle sue caratteristiche meteorologiche particolari.
Il progetto è, sicuramente, audace.
Le limitazioni sono molteplici, sia dal punto di vista tecnologico che logistico, ma anche da un punto di vista legislativo.
Prima di tutto, come abbiamo spiegato nel nostro articolo sugli elettrodotti, la produzione non è l’unica problematica da affrontare quando si pensa all’energia elettrica. Il trasporto di energia dall’Antartide potrebbe rivelarsi più complesso del necessario.
In secondo luogo, come si applicherebbero le regole del mercato elettrico (ormai parte fondamentale dello scambio energetico)?
Il territorio dell’Antartide ha molteplici rivendicazioni territoriali, con una geografia politica decisa dal Trattato Antartico del 1959. L’Antartide non appartiene ad alcun paese, e il suo territorio può essere utilizzato solo per scopi pacifici e non può essere sfruttato per attività economiche.
Segue un video molto divertente e informativo sul processo “coloniale” antartico. C’è da ridere.
Tutto quello che è stato detto, tuttavia, esclude la porzione da 90 °O a 150 °O (nota divertente, questo territorio è stato rivendicato da Travis McHenry, statunitense della Pennsylvania che si è dichiarato Gran Duca di Westarctica nel 2004).
L’impatto del fotovoltaico
L’Antartide rimane una grande risorsa per l’umanità. Sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista climatico.
L’idea di poterla sfruttare al 100% sicuramente è allettante, tuttavia rimane necessario valutare bene gli effetti della nostra azione sul territorio.
L’obiettivo rimane quello di riuscire, entro breve tempo, a ridurre l’impatto ambientale dei nostri processi produttivi. La ricerca deve muoversi in questa direzione.
Rimane da porsi una domanda. Ma i pannelli solari sono una tecnologia sostenibile?
Su questo argomento sono stati effettuati numerosi studi, soprattutto sui rifiuti metallici che si ottengono una volta che l’impianto deve essere dismesso.
Come è stato già detto, il fotovoltaico è una risorsa abbastanza giovane. Possiamo, e dobbiamo, ancora imparare molto.
Studi del Centro Ricerche ENEA (Energia Nucleare ed Energie Alternative) dimostrano che una gestione incontrollata del rifiuto fotovoltaico potrebbe portare a un rilascio di materiali metallici nell’ambiente, quindi la loro installazione va effettuata con lungimiranza e cognizione di causa.
L’argomento meriterebbe di essere approfondito (stay tuned), ma in generale si può rilasciare una dichiarazione di buonsenso.
Tutte le decisioni che prendiamo hanno delle conseguenze. È giusto pensare di rendere delle stazioni scientifiche indipendenti a livello energetico, ma questo non significa che il passo immediatamente successivo debba essere tappezzare l’Antartide di pannelli solari.
Fonti
“Impianti Elettrici, Volume 1” – Fabio Massimo Gatta
“La stazione Mario Zucchelli” – Italia Antartide
“Sunlight hours” – Australian Antartic Program
“Impatto ambientale dei rifiuti fotovoltaici” – Centro Ricerche ENEA
“Grand Duke Travis” – Encyclopedia Westarctica (è tutto vero)