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Lunghi viaggi nello spazio: l’esperimento dei gemelli Kelly

I fratelli Kelly sono gemelli e sono entrambi astronauti. Scott è stato nello spazio quasi un anno di fila ed è tornato significativamente cambiato, sia da un punto di vista genetico che metabolico.

La loro è senza ombra di dubbio la più interessante sperimentazione umana dei nostri tempi e la loro vita è teatro di un esperimento scientifico senza precedenti.

Ma andiamo con ordine; per capire l’importanza di questo enorme studio, occorre fare una doverosa premessa che riguarda l’esplorazione spaziale, presente e futura.

Le lunghe permanenze nelle stazioni spaziali

Anche un negazionista del Covid-19 è in grado di capire come il corpo umano non se la passi proprio benissimo trascorrendo mesi in una stazione spaziale.

Ma cosa devono aspettarsi gli astronauti che si apprestano a lunghi viaggi nello spazio?

Agenzie spaziali, pubbliche e private, contano di inviare i primi esseri umani su Marte entro gli anni ’20 o, più verosimilmente, nella decade del 2030.

Un viaggio simile avrà una durata di circa 2 anni, in cui il corpo umano sarà costantemente esposto a condizioni ambientali totalmente differenti da quelle di qualsiasi habitat terrestre. Anche i livelli di stress psicologico saranno estremi e costituiranno un aspetto, affatto secondario, da tenere in considerazione.

Il lockdown di 3 mesi passato nelle nostre case è sembrato interminabile?

Bene, pensate a come potrebbero essere 2 anni spesi in ambienti angusti, esposti a pericoli calcolati ma costanti, sempre a contatto con le stesse 2-3 facce, monitorati h-24 dalla Terra, con una responsabilità gigantesca sulle spalle e a circa 150 milioni di chilometri da casa.

Livello medio di stress nei mesi di viaggio andata/ritorno su Marte

Ad oggi, tra tutti i miliardi di esseri umani mai esistiti sul pianeta, solamente 561 individui sono stati nello spazio e le missioni di “lunga durata”, quelle, cioè, in cui gli astronauti sono rimasti per più di 300 giorni in orbita, sono solamente 8.

Il tema della resistenza ai lunghi viaggi spaziali è, quindi, un argomento del quale sappiamo ancora molto poco.

Il metabolismo, la flora intestinale, le possibilità di prendere il cancro, il rischio di commettere la prima strage di astronauti-colleghi nello spazio: tutti questi rischi potenziali, come possono essere valutati?

L’esperimento dei gemelli Kelly ha cercato di indagare tutti questi aspetti.

Dal Febbraio 2020, l’intera meta-analisi è disponibile sulla rivista scientifica Science [1].

Aspetti generali delle lunghe permanenze nello spazio

Tra i cambiamenti dovuti alla permanenza prolungata in orbita, ricordiamo la perdita del tono muscolare, la ridotta densità del tessuto osseo e, soprattutto, l’aumento dell’altezza dell’astronauta!

L’assenza di gravità, infatti, decomprime i dischi intervertebrali: tornato sulla terra, Scott risultava 5 centimetri più alto rispetto a quando era partito.

Un effetto, però, temporaneo perché la gravità, come lo spigolo del comodino contro il mignoletto del piede, non lascia scampo: ti frega sempre.

Dopo poche settimane, infatti, Scott è tornato alla sua solita statura terrestre.

Ma effetti macroscopici a parte, già abbastanza documentati, una lunga permanenza al di fuori del nostro pianeta come modifica il nostro genoma? Come influenza tutti gli aspetti estremamente più fini, legati al metabolismo e, in generale, all’equilibrio psico-fisico degli individui?

Mark Kelly e Scott Kelly ci hanno dato svariate indicazioni utili, vediamo come.

Essendo gemelli monozigoti, Mark e Scott, sin dalla nascita, hanno un corredo genetico identico. Hanno, cioè, gli stessi alleli per ciascuna coppia di geni e le stesse sequenze di DNA, siano esse quelle espresse o meno.

Se uno dei due commettesse un omicidio e lasciasse tracce biologiche di sé, non sarebbe  possibile  risalire a quale gemello abbia ‘stirato’ la vittima. Avremmo possibilità di capire chi sia stato solo se l’assassino avesse lasciato delle impronte digitali, che sono uniche anche per i gemelli monozigoti.

Anche gli ombelichi sono unici, ma è improbabile che un assassino lasci le impronte dell’ombelico; ma, soprattutto, non è questo il punto. I Kelly sono astronauti, non killer, e hanno lo stesso DNA.

Solo che Scott ha trascorso la bellezza di 340 giorni consecutivi sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) mentre Mark è rimasto sulla Terra.

Dal 27 Marzo 2015 al primo Marzo 2016, Scott è rimasto sulla ISS.

Gruppi di ricerca, divisi per aree tematiche, hanno fatto test e analizzato campioni biologici dei 2 gemelli prima durante questa missione, per poi confrontarli. Lo studio è proseguito anche per i sei mesi successivi al rientro di Scott, sempre facendo test in parallelo ai due gemelli.

L’analisi completa delle migliaia di dati utili ha, poi, richiesto un paio d’anni, prima che gli studi fossero conclusi, sottoposti a revisione e, infine, pubblicati.

In poche parole, è stata sfruttata al massimo l’opportunità di avere un esperimento vivente che orbitava attorno al pianeta (Scott), una cavia se vogliamo, ed un “controllo negativo” sulla Terra (Mark), non sottoposto allo stress della vita nello spazio.

Pur non essendo in missione nel senso vero del termine, Mark è stato, comunque, sotto strettissima osservazione medica e psicologica, per confrontare i suoi risultati con quelli del fratello, che gli orbitava nel frattempo sopra la testa. Ficata.

A sinistra Mark “baffetto resto sulla Terra”. A destra Scott, astronauta che avrebbe benissimo potuto fare anche il cosplayer del Professor X degli X-Men

Riassumendo l’Experimental design:
– Durata test = due anni. Di questi, 340 giorni con un soggetto in orbita terrestre bassa (circa 400 km sul livello del mare).
– Scott = stazione spaziale, condizioni di stress
– Mark gemello baffuto= pianeta Terra, vita regolare.

Questa cosa fantastica prende il nome di “The Twins Study” [5].

Modifiche del genoma

Una prima considerazione emersa, e del tutto inaspettata, ha riguardato i telomeri di Scott: si sono allungati dopo un anno nello spazio! Tutto ciò è meraviglioso…. ma che sono i telomeri?

Sono particolari sequenze dei cromosomi, poste alle loro estremità, che li proteggono dagli errori della replicazione del DNA.

Come sappiamo, infatti, il nostro corredo genetico è avvolto e impacchettato in strutture, dette, appunto, cromosomi, che hanno un ruolo centrale nell’espressione dei geni, nella duplicazione cellulare e nella formazione dei gameti (le cellule responsabili della riproduzione sessuale).

Gli esseri umani hanno 23 coppie di cromosomi. Ebbene: tulle le estremità, di ciascun cromosoma, di ogni nucleo, di ogni singola cellula, in tutti i tessuti di tutti gli organi umani, hanno dei telomeri che proteggono il nostro patrimonio genetico.

L’eterna lotta per evitare che i cromosomi si accorcino: grazie di esistere, telomerasi!

Queste estensioni dei cromosomi sono composte da migliaia di ripetizioni della sequenza TAGGG e non codificano per nessun gene.

In prossimità delle regioni terminali del cromosoma, infatti, i complessi enzimatici che si occupano della replicazione del DNA vanno in crisi: avere delle ripetizioni “inutili” serve ad evitare che informazioni genetiche importanti vengano perse. Ecco spiegata l’importanza dei telomeri.

Essi, normalmente, si accorciano nel corso della vita, di pari passo con l’invecchiamento. A Scott Kelly, invece, dopo un anno in orbita, è successo il contrario! Wtf?!

Da un punto di vista cromosomico, quindi, Scott gode di ottima salute dopo un anno nello spazio. Davvero una bella notizia inaspettata.

Quale sia la causa dell’allungamento dei telomeri di Scott Kelly non è ancora chiaro.

La regolare attività fisica, che gli astronauti in missione devono svolgere, il basso apporto calorico giornaliero, dato dalla dieta spaziale, e l’utilizzo prolungato di cibo liofilizzato: sono queste le ipotesi che, per il momento, si stanno valutando.

Il sistema immunitario

Nel corso dell’esperimento, Scott ha eseguito tre vaccinazioni anti-influenzali. Prima del decollo, sulla ISS (primo caso di vaccinazione nello spazio), e poi al rientro. Le reazioni del sistema immunitario non sono state differenti nelle 3 applicazioni e Scott ha reagito molto bene a tutte le somministrazioni. Come Mark.

Un risultato non da poco se si considera che le agenzie spaziali hanno necessità di ampliare le proprie conoscenze riguardo il funzionamento del sistema immunitario nello spazio. Prima o poi, qualcuno avrà la febbre o la diarrea su Marte. Meglio essere pronti!

Il problema del prurito al naso durante le attività extra veicolari rimane tuttora irrisolto

L’espressione genica in orbita bassa attorno alla Terra

Entrambi i fratelli, nel corso dei 2 anni di test, hanno mostrato cambiamenti nell’espressione genica, ovvero nella frequenza delle trascrizioni di particolari sequenze del genoma, che servono a produrre proteine e a regolare il metabolismo.

I gemelli hanno subito variazioni molto diverse tra loro.

Scott è stato soggetto, infatti, a un danneggiamento del corredo genetico maggiore, a causa dell’esposizione continua alle radiazioni.

Va, però, sottolineato che il 91,3% dei cambiamenti dell’espressione dei geni di Scott sono poi tornate nella norma una volta rientrato sul Pianeta. Questi risultati saranno, sicuramente, ancora indagati a lungo nei prossimi anni, perché confermano, a tutti gli effetti, con estrema chiarezza, quanto sapevamo già: il DNA non è fatto per stare a lungo nello spazio e dobbiamo proteggerlo.

Funzioni cerebrali e intellettive

Le funzioni cognitive di Scott sono rimaste intatte nella sua permanenza nello spazio e assolutamente in linea con quelle del suo gemello. Le loro capacità di mantenere i livelli di attenzione, l’orientamento, la gestione delle emozioni, sono rimasti invariati.

Abbastanza stupefacente, se pensate che a noi, comuni mortali, sono bastate poche settimane rinchiusi in casa per soffrire di claustrofobia, cantare fuori dai balconi come gli scemi, riscrivere agli amori del passato e ai flirt improbabili e provare una qualche attrazione sessuale pure per la lavatrice.

Ad ogni modo, Scott ha subito una perdita considerevole delle sue abilità intellettive, nei 6 mesi successivi al rientro. La sua velocità di reazione e la precisione hanno mostrato dei peggioramenti sensibili.

I neuropsichiatri attribuiscono, però, questo calo all’enorme stress fisico legato al ri-adattamento alla gravità, oltre che ad un’agenda di impegni, pressoché sterminata, che Scott ha dovuto onorare.

Comunque, non è che si sia rincoglionito di colpo. Ha sicuramente perso dei colpi, è stato sballottato parecchio, ma la tenuta delle sue attività neuronali è soddisfacente e dovrebbe, col tempo, tornare ai livelli pre-esperimento.

Il logo ficherrimo del “The Twins Sudy” © nasa.gov

La biochimica si Scott (e l’importanza dell’alimentazione sana)

Lo studio ha messo in luce, poi, una cosa molto chiara: Scott ha mangiato molto meglio a bordo della ISS, di quanto non faccia sulla Terra.

Non è noto se l’astronauta sia uno di quelli che ama sfondarsi ai fast food ma, di certo, un anno sulla ISS gli ha giovato parecchio dal punto di vista della linea:

– ha perso il 7% di massa corporea;
– ha fatto esercizio fisico (necessario) ogni giorno;
– ha consumato il 30% in meno delle calorie che la NASA aveva calcolato per lui;
– i suoi livelli ematici di vitamina B9 (acido folico) erano bassi prima del viaggio ma perfetti durante la permanenza in orbita.

Questo risultato spiegherebbe, in parte, anche l’allungamento dei telomeri poiché la vitamina B9 è cruciale nei processi di duplicazione del DNA. Mangiare sano è importante ovunque, pure nello spazio.

La flora intestinale di Scott ha sofferto lo spazio

Tra i vari campioni che Scott e Mark hanno fornito, ci sono stati anche quelli delle feci.

Il Microbioma intestinale, l’insieme cioè del patrimonio genetico di tutte le specie microbiche che vivono nel nostro intestino, è fondamentale non solo per la digestione ma anche per lo stato di salute complessivo dell’individuo.

Talmente importante, che esistono delle vere e proprie terapie legate al microbioma, dette terapie fecali.

La flora intestinale di Scott è cambiata sensibilmente nei 340 giorni in orbita, salvo poi tornare, nel giro di pochi mesi, ad essere del tutto in linea con quella che aveva prima di partire. Un aspetto di cui dovremo tenere sicuramente conto in futuro.

La terapia fecale spiegata in modo brutale, ma bene. © gutmicrobiotaforhealth.com/

Alcune specie microbiche, quindi, tollerano meno le condizioni estreme dello spazio. Il processo sarà reversibile anche per viaggi di più anni, o esiste un punto di non ritorno?

Che effetti dobbiamo attenderci, nel lungo periodo, sulla salute degli astronauti al variare del loro microbioma? Come possiamo proteggere maggiormente la nostra flora intestinale nello spazio? Dovremo praticarci delle terapie fecali su Marte, per restare in salute?

Insomma, questi risultati hanno lasciato aperte un sacco di questioni non da poco…

Altri risultati in sintesi

Cambiamenti epigenetici (che riguardano sempre il DNA ma non in termini di sequenza): nei primi sei mesi Scott non ha subito grosse modifiche epigenetiche. I suoi globuli bianchi hanno avuto livelli alterati di metilazione del DNA nella seconda fase della missione.

Tornato a terra le modifiche si sono sono, però, rivelate reversibili: ciò ha permesso di capire quali regioni genomiche siano più “soggette” a questo tipo di alterazione.

Proteomica: un focus particolare è stato dato allo scambio di fluidi ed all’omeostasi (bilancio idrico) cellulare, per indagare cosa crea alcuni problemi di vista agli astronauti in orbita; una questione nota sin dalle primissime lunghe permanenze dello spazio.

Scott, nello spazio, ha visto salire parecchio i livelli della proteina AQP2 rispetto a quelli di Mark, sulla Terra. La AQP2 è una proteina che regola, appunto, la ritenzione idrica delle cellule ed è ora una sorvegliata speciale negli studi sulla visione, non ottimale, degli astronauti in orbita.

Conclusione: non siamo fatti per lo spazio… ma volendo ce la possiamo fare

“The Twins Study”, salvo qualche risultato abbastanza inatteso, ha confermato, in generale, quello che immaginavamo già: a noi piace lo spazio ma allo spazio, noi, non andiamo troppo a genio. Tuttavia, la resilienza del corpo umano e il recupero di molte “alterazioni metaboliche”, una volta rientrati sulla Terra, lasciano sperare che ci siano ancora margini per spingerci oltre, verso permanenze fuori dal nostro pianeta sempre più lunghe.

Allo stesso tempo, l’esperimento ha fornito indicazioni per combattere alcune patologie della vista e altre legate all’invecchiamento cellulare, oltre che per riuscire nella riparazione dei danni al materiale genetico.

Il programma di formazione della NASA (e di tutte le agenzie, governative e private, di esplorazione spaziale) deve necessariamente essere super rigido, sia nei mesi pre-lancio che nel periodo post-rientro, per garantire il miglior recupero psico-fisico possibile agli astronauti. La parte in orbita, dunque, non è la sola ad avere importanza.

Prima di spingerci oltre gli attuali limiti dell’esplorazione spaziale, abbiamo fatto un po’ di luce su come questo ambiente ostile influisca sul nostro metabolismo e sul nostro DNA ed abbiamo ottenuto nuove informazioni per ridurre al massimo quei danni inevitabili

Il nostro corpo non si è evoluto per vivere fuori dal pianeta Terra, ma questo non può essere un limite alla nostra voglia di esplorare l’universo. La struttura dei nostri cromosomi, per esempio, reagisce bene alla vita nella ISS: ottima notizia per chi crede nella (Missione) Scienza!

Fonti:

[1] The NASA Twins Study: A multidimensional analysis of a year-long human spaceflight

[2] NASA’s Twins Study Results Published in Science Journal

[3] How Stressful Will a Trip to Mars Be on the Human Body? We Now Have a Peek Into What the NASA Twins Study Will Reveal

[4] Scott Kelly (astronaut)

[5] Human research program 

 

Emanuele Falorio

Laureato in biotecnologie, lavoro da anni nel settore dell'industria alimentare. NERD da molto prima che facesse fico;  appassionato di divulgazione scientifica da quando mi ci sono ritrovato dentro per puro caso. Scrivo per Missione Scienza ad orari improbabili quindi mi scuso per tutti refushi e gli erorri di battitura, è già un miracolo che non mi sia mai addormentato sulla tastieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

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