L’omeopatia è (al massimo) un placebo
L’omeopatia è un grande mucchio di stupidaggini.
L’articolo potrebbe fermarsi anche qui.
Alla base di questa “pratica” non c’è alcun tipo di principio scientifico dimostrato e nessun risultato statisticamente valido a riprova della sua presunta efficacia. L’omeopatia si rivela addirittura dannosa quando (in casi di patologie gravi) i pazienti girano le spalle alle cure tradizionali per affidarsi ai fittizi medicamenti omeopatici, che vedremo essere non più che un banale placebo.
L’omeopatia nasce ufficialmente quando il tedesco Samuel Hahnemann pubblica i suoi due libri “Organon della medicina razionale” (1810) e “Materia Medica” (1811). Il suo “approccio” alla medicina prende piede molto velocemente in Europa, seguendo la scia della corrente “vitalistica” (che intendeva la vita come “forza vitale”) che si opponeva al materialismo illuminista.
Ci sono decine di ragioni per le quali questa pratica possa essere inequivocabilmente bollata come falsa e antiscientifica. In questo articolo voglio concentrarmi su tre specifici concetti cardine dell’omeopatia, sulla base dei quali possiamo capire un po’ di più sulla natura di questa non-scienza e su come questa si riveli essere non altro che una pila di ciarpame.
Numero 1: “La legge dei simili”
La legge dei simili è il principio base dell’omeopatia (dal greco, òmoios “simile” e pàthos “sofferenza”).
In parole povere esprime il concetto che per curare una malattia il medico deve somministrare una medicina che sia in grado di produrre un sintomo artificiale simile a quello che si vuole curare, in modo che il secondo si sostituisca al primo per poi scomparire definitivamente.
Questo concetto è chiaramente assurdo, è come dire che per far passare il dolore di una botta sul ginocchio una possibile soluzione sia accarezzare il ginocchio con grazia.
Non era così assurdo per Hahnemann, che infatti giustapponeva l’innovativo concetto di “similia similibus curantur” (il simile cura il simile) al motto in latino “similia similibus solvuntur” (il simile scioglie il simile) su cui si basava l’alchimia medievale.
L’omeopatia basa le sue radici nella filosofia aristotelica e giudica che il sopraggiungere delle malattia sia un’alterazione della “forza vitale”, una sorta di interferenza. Secondo il buon Samuel la malattia non è riconducibile a fattori anatomici o fisiologici, ma sarebbe invece immateriale o spirituale.
Fortunatamente per noi, grazie agli esperimenti di Louis Pasteur e agli sforzi di molti medici oggi sappiamo che la “forza vitale” non è in alcun modo collegata alle malattie. A causare le malattie sono agenti patogeni (batteri e virus) e/o a sostanze dannose per il nostro organismo, che sono per buona pace degli omeopati decisamente materiali.
Dato che “il simile cura il simile” una buona parte di preparati omeopatici contengono (in teoria) veleni e sostanze nocive.
Il mercurio, ad esempio, è utilizzato in omeopatia come antinfiammatorio. Non è quindi sorprendente che nei suoi iniziali esperimenti Hahnemann riscontrava che i pazienti reagivano in maniera violenta ai suoi “farmaci”, da cui la geniale soluzione: diluire!
Numero 2: Diluizione e “dinamizzazione”.
I medicinali omeopatici non contengono alcun tipo di principio attivo.
Per essere più precisi, i “farmaci” omeopatici non contengono proprio nulla.
Nella logica assurda dell’omeopatia, più una sostanza è diluita più è efficace. In genere, un medicinale omeopatico riporta la sua diluizione in termini di “potenza”.
Ogni grado di potenza significa che la sostanza ha subito un passaggio di diluizione in acqua in un rapporto 1 a 10 (X), 1 a 100 (C) o 1 a 1000 (M). La maggior parte dei medicinali omeopatici viene diluita a potenza 12C, il che vuol dire che il rapporto di diluizione finale è 1 a 1000000000000000000000000.
Tanto per avere un idea: Ammettiamo di voler ottenere soluzione omeopatica 12C di zucchero da cucina. Dovremmo partire da circa 30 grammi di zucchero e scioglierli in 100000000000000000000000 litri d’acqua (litro più litro meno). Su tutto il pianeta Terra ci sono all’incirca 1500000000000000000000 litri d’acqua in totale. L’acqua di tutti i mari, laghi e fiumi sulla Terra sarebbe solo un misero 1% dell’acqua necessaria per arrivare alla “potenza” richiesta.
Avremmo più probabilità di vincere 5 lotterie di seguito che di trovare anche solo una singola molecola di zucchero in una boccetta del prodotto finale.
Ed esistono farmaci a potenza ancora maggiore, cioè ancora più diluiti.
Questa incredibile diluizione porta al fatto che non esiste alcuna tecnica analitica conosciuta all’uomo che possa determinare quale sia il principio attivo presente in un farmaco omeopatico.
Il che vuol dire che se prendete un tot flaconi di medicine omeopatiche, ne eliminate le etichette e li mescolate non esiste nessun essere umano, sia esso anche un rinomato omeopata, che possa rideterminare a quale farmaco appartenga quale etichetta.
Quando parliamo di farmaci omeopatici parliamo di pasticche di zucchero e acqua. Nulla di più.
L’omeopatia è un placebo.
Numero 3: “è il sintomo che conta”
Questo è forse il più pericoloso dei concetti.
Secondo Hahnemann la causa del disequilibrio della forza vitale che causa la malattia non è conoscibile.
La malattia si manifesta in una serie di sintomi mentali e corporei avvertiti dal paziente, da chi lo circonda e dal suo medico. Tutto il resto, dato che non è conoscibile, non conta.
Non importa se la vostra tosse è causata da una broncopolmonite batterica, un’infezione virale o un tumore ai polmoni. Compito dell’omeopata è curare il sintomo non la causa.
Cosa che, soprattutto in caso di patologie gravi come tumori, infezioni e malattie genetiche, può essere fatale.
Non c’è nulla di male ad affidarsi ad un placebo di tanto in tanto, per un raffreddore. Ma è importante essere ben consapevoli che l’omeopatia non è in alcun modo una “medicina alternativa”.
La fede potrà di certo muovere le montagne, ma l’acqua zuccherata non cura il cancro.
Fonte 1 (Definizione e Storia)
Limitazioni e Rischi
Vitalismo (molto interessante)
Approfondimento 1
Approfondimento Video (da non perdere)
Laurea in chimica-fisica dei sistemi biologici, ottenuta all’università “La Sapienza” di Roma, PhD in Chimica Organica ottenuto all’università di Twente (Paesi Bassi), attualmente parte dell’Editorial Office di Frontiers in Nanotechnology e Frontiers in Sensors, a Bologna. Mi identifico come napoletano (anche se di fatto a Napoli ci sono solo nato). Un ricettacolo di minoranze (queer, vegano, buddista…) con una grande passione per la divulgazione.