L’evoluzione di Tibetani, Andini ed Etiopi alle alte quote
Ben ritrovati nella nostra mini-rubrica sull’evoluzione dell’uomo. Siamo al secondo post e come preannunciato nell’articolo sui Bajau, oggi parleremo dell’adattamento alle alte altitudini.
Badate bene, parleremo di adattamenti genetici avvenuti per selezione naturale e scritti nel nostro codice genetico, non adattamenti fisiologici momentanei, come quelli che possono avvenire nel fisico di un escursionista che si allena ad alte altitudini.
E’ pratica comune infatti, per molti atleti, allenarsi ad alta quota (2000-2500 m e anche più). Una condizione di ipossia (ossia di esposizione a una carenza di ossigeno) attiva il gene HIF1 che stimola la produzione di eritropoietina, la famosissima EPO. L’EPO a sua volta stimola il midollo a sintetizzare globuli rossi. O almeno, questo succede nella maggior parte dei casi, poi c’è anche chi non subisce drastici cambiamenti da questo tipo di allenamento [1]. Il mio punto però è un altro. Allenarsi ad alta quota alza la concentrazione di globuli rossi per un paio di settimane, ma dubito fortemente che mio figlio, appena impari ad andare sul triciclo, vinca la maglia rosa. Questi adattamenti fisiologici non riguardano infatti mutazioni del nostro codice genetico e non vengono passati alla generazione successiva.
Ci sono ben tre popolazioni che per millenni hanno vissuto permanentemente sopra i 2500 m e per loro le cose sono ben diverse. Parliamo degli Andini in Sud America, degli Etiopi in Sud Africa e dei Tibetani in Sud Asia. Pensate, a 4000 m un normale respiro introduce il 40% di ossigeno in meno che se fosse fatto al livello del mare [2]. Questo causerebbe, in una persona non adattata, il “mal di montagna” o AMS (dall’inglese acute mountain sickness), una condizione che in media si presenta a partire dai 2500 m. L’AMS causa fiacchezza, cefalea, insonnia, battito cardiaco costantemente accelerato, nausea e, nei casi più gravi, edema polmonare o edema cerebrale da alta quota.
Come fanno queste popolazioni a sopravvivere tranquillamente ad alte quote?
Bene lettori, qui ci troviamo, da un lato, di fronte ad un affascinante caso di quella che viene tecnicamente definita evoluzione convergente [3], dall’altro abbiamo la selezione di caratteristiche diverse per affrontare uno stesso stimolo.
Spieghiamo subito di cosa stiamo parlando.
Tre popolazioni umane isolate geograficamente e con una base genetica relativamente differente (un Tibetano e un Andino sono sicuramente più lontani geneticamente rispetto a un Italiano e un Tedesco), vivono per millenni in un ambiente molto simile, sono quindi sottoposte ad una pressione selettiva paragonabile. Le diverse popolazioni hanno una base genetica diversa, quindi alcune delle caratteristiche selezionate dall’ambiente ipossico sono comuni a tutte e tre le popolazioni, in questo caso parliamo di evoluzione convergente. Altre caratteristiche sono invece peculiari di una o l’altra popolazione e sono frutto proprio delle loro differenze genetiche.
Alcuni di questi adattamenti riguardano il sistema circolatorio
Concentrazione di emoglobina
Abbiamo detto che questo è ciò che succede allenandosi ad alta quota.È facile immaginare che queste popolazioni abbiano un ematocrito più alto del nostro fin dalla nascita. Ed infatti gli Andini mostrano una concentrazione di emoglobina fortemente dipendente dall’altitudine. Sorprendentemente invece Tibetani ed Etiopi hanno concentrazione di EPO e di emoglobina molto inferiori agli Andini e solo di poco superiori a quelle di popolazioni che vivono al livello del mare.
Questo perché avere un’alta concentrazione di emoglobina nel sangue comporta importanti rischi a carico dell’apparato circolatorio ed è un fattore di rischio per lo sviluppo di una sindrome nota come “mal di montagna cronico” (CMS). Per esempio a 4000 m il CMS è abbastanza raro nei Tibetani (0.9%) ma più comune negli Andini (15.6%) [4].
Sembra che la via evolutiva degli Andini abbia scelto la strada più rischiosa, aumentando i livelli di emoglobina e selezionando tutta una serie di mutazioni a carico di geni legati alla morfologia dell’apparato cardiocircolatorio per renderlo più efficiente nel gestire sangue molto più viscoso [5].
Concentrazione di ossigeno nelle arterie
Deriva dalla somma della quantità di ossigeno legato all’emoglobina (saturazione) e di ossigeno disciolto nel sangue arterioso.
Persone nate da popolazioni adattate alle basse altitudini non hanno variazioni nella quantità di ossigeno che si può legare alle molecole di emoglobina, anche se passassero tutta la vita a 4000 m. È venuto fuori che grazie ad una maggior efficienza dell’emoglobina a legare l’ossigeno, la concentrazione del gas nel sangue Andino è del 16% più alta di quella comune. Lo stesso succederebbe per gli Etiopi, invece per i Tibetani seppur un incremento c’è, non è altrettanto consistente, e in condizioni di riposo i livelli di saturazione dell’emoglobina sono simili ai nostri.
È interessante notare che le donne Tibetane aventi la variante del gene che aumenta la saturazione, sono quelle che mostrano un più basso tasso di mortalità infantile post-parto. Questo indica che tale variante del gene è ancora sotto selezione e nei secoli a venire verosimilmente la sua frequenza fra i tibetani aumenterà [6].
Livelli di monossido di azoto (NO)
E’ un potente vasodilatatore sintetizzato da più tipi di cellule, molti di voi lo conosceranno perché è un intermedio nel processo Ostwald per la preparazione dell’acido nitrico… No scherzo, lo so che lo conoscete per il viagra. Porci!
Comunque, NO è prodotto anche dalle cellule endoteliali vascolari per regolare il flusso sanguigno e risulta che le tre popolazioni ne producano molto più del normale [7]. In particolare i Tibetani hanno livelli più alti degli Andini (sugli Etiopi non ci sono molti dati), per compensare i bassi livelli di ossigeno nel sangue che gli Andini invece hanno grazie ai livelli più alti di EPO ed emoglobina.
Altri adattamenti riguardano il sistema respiratorio
Iperventilazione
Una delle reazioni del corpo quando esposto ad alte altitudini è una forma di iperventilazione nota come HVR (Hypoxic ventilatory response) che può durare qualche giorno per poi tornare a livelli normali.
Mentre le popolazioni Andine, se portate improvvisamente ad alte altitudini, possono soffrire una forma attenuata di HVR, è stato notato come i Tibetani abbiano una forma cronica di HVR che gli consente di respirare più aria per unità di tempo. È come se il meccanismo molecolare che spegnesse la HVR si fosse perso: a riposo un Tibetano ha in media una ventilazione 1.5 volte superiore ad un Andino. Purtroppo, sull’argomento non ci sono dati per quanto riguarda gli Etiopi.
Vasocostrizione polmonare
Avete presente quando abbiamo parlato di mal di montagna acuto e cronico (AMS e CMS)?
Bene, la vasocostrizione a livello polmonare ne è una delle cause, poiché provoca ipertensione polmonare che può evolversi in un edema. Sembra che i Tibetani però, dell’ipertensione polmonare, se ne sbattano altamente gli alveoli, non ne soffrono né in condizioni diriposo né in condizioni di fatica, grazie all’assenza di muscoli lisci nelle piccole arterie polmonari che quindi non si possono contrarre [8].
Ben diversa la situazione è per gli Andini i quali, come abbiamo detto, hanno subito una serie di adattamenti all’apparato circolatorio, come l’ispessimento dei vasi arteriosi, e soffrono di questo problema.
Come ultimo adattamento citiamo il fatto che, nelle donne gravide, l’alta quota provoca una limitazione della crescita intrauterina che si traduce in un basso peso del neonato alla nascita. I bambini nati da donne Andine e Tibetane sono relativamente protetti dalle riduzioni del peso alla nascita associate all’altitudine, le differenze rispetto ai bambini nati ad alta quota da donne di popolazioni diverse sono state statisticamente provate.
Riassuntone e conclusioni
Riassumendo possiamo dire che:
- gli Andini hanno un adattamento che si basa principalmente sul sistema circolatorio: respirano allo stesso ritmo nostro ma trasportando più ossigeno nei globuli rossi e lo distribuiscono più efficacemente;
- le popolazioni Tibetane, pur non trasportando tanto ossigeno quanto gli Andini, hanno incrementato il ritmo della propria respirazione e possono contare su una maggiore vasodilatazione data dal monossido di azoto;
- le popolazioni Etiopi sono quelle su cui si hanno meno dati e presentano un quadro abbastanza complicato poiché non sono isolate come le precedenti. Non hanno alte concentrazioni di emoglobina e hanno una respirazione paragonabile alla nostra ma non soffrono di ipossia e di mal di montagna acuto o cronico [9]. Ergo, oltre al monossido di azoto, ci sono altri meccanismi che devono essere ancora messi alla luce e noi non vediamo l’ora di raccontarveli!
Cosa ne pensate? Ci ho messo quasi una settimana per scrivere questo articolo perché la bibliografia era abbastanza corposa e difficile da leggere.
Spero di essere stato chiaro nei concetti e, come al solito, se volete chiarimenti sono qui a disposizione. Fatecelo sapere nei commenti, e se vi va condividete questo articolo con altri appassionati di Scienza.
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Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby.
Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato 🙂
Complimenti, molto chiaro!
Grazie mille Vincenzo, felice di aver raggiunto lo scopo della chiarezza, che è una delle cose che ci preme di più.
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