Le Biotecnologie: strumenti millenari e risorse per il futuro

Un tempo eravamo un gruppetto di giovani studenti universitari, ingenui e pieni di belle speranze, e avevamo un sogno: sviluppare una leguminosa con il sapore della porchetta o del pollo allo spiedo.

Insomma, una pianta che fosse succulenta come la carne per risolvere, tutti insieme, una valangata di problemi della Terra: le emissioni di gas serra, il riscaldamento globale, la fame nel mondo, l’emergenza idrica e forse pure per risolvere l’annosa diatriba tra vegani e onnivori.
Se mai ce l’avessimo fatta, avremmo probabilmente vinto qualche Nobel (tipo quello della biochimica e quello della Pace), ma poi, alla fine, abbiamo tutti mollato il colpo.
Siamo finiti a fare ricerca di base all’università o in aziende private o comunque a fare lavori molto distanti da quel nobile ideale che era la “pork-plant“.
Ma quel sogno è ancora lì, in fondo al cassetto tra i calzini e le mutande con l’elastico allentato.
Ma come potremmo, teoricamente, fare? Come sarebbe possibile modificare così profondamente una specie vegetale di largo consumo per darle un tratto distintivo specifico?
Gli unici mezzi per un raggiungere simili obiettivi hanno un nome preciso: le BIOTECNOLOGIE.
La classica foto che viene fuori se cerchi “biotecnologie” e “piante” su Google . Comunque, se utilizzi davvero così un bisturi, l’unica cosa che troverai è un ettolitro di sangue (il tuo) sul pavimento del laboratorio [7].
Ambizioni spropositate e megalomania a parte, l’universo delle opportunità offerte dalle biotecnologie è veramente sconfinato e racchiuderle tutte in unico articolo sarebbe impossibile. Per questo apriamo una nuova rubrica su Missione Scienza -> #MissioneBiotech
A questo articolo, di carattere generale, ne seguiranno quindi degli altri, che analizzeranno casi specifici in cui le Biotecnologie ci tornano particolarmente utili o in cui ci salvano proprio le chiappe.

Una definizione complessa per un concetto facile – facile

Le biotecnologie sono le “applicazioni tecnologiche che si servono di sistemi biologici, di organismi viventi o di loro derivati, per produrre o modificare prodotti o processi per un fine specifico”.
Questa è la definizione ufficiale di biotecnologie, stabilita dalla Convenzione sulla Diversità Biologica UN a Rio de Janeiro 1992 [1].

In pratica possiamo considerare una biotecnologia cose tipo:

  • l’utilizzo di un lievito per fermentare la sostanza x e darci il prodotto y (lo yogurt ad esempio);
  • l’impiego di un enzima (una proteina che catalizza una reazione specifica) per un particolare processo, come la rimozione dello sporco dai tessuti;
  • l’editing genetico del DNA di una pianta o di un animale per renderlo più produttivo o più resistente
  • la produzione di una molecola estratta da batteri o funghi per scopi farmaceutici;
  • l’impiego di piante o alghe per estrarre metalli pesanti e/o radioattivi da terreni e bacini d’acqua.
Una tipa senza guanti tocca una provetta con dei finti-appunti sottomano non aveva mai messo piede in un laboratorio prima dello scatto. 
Stiamo quindi parlando di tecniche futuristiche ultra-mega all’avanguardia e di giocare a fare Dio? Assolutamente sì!
Ma anche no… e tra poco vedremo insieme perché.

L’elenco che abbiamo riportato infatti sarebbe parecchio più lungo e complicato, ma quel che conta davvero, il messaggio da portare a casa è questo: se per fare questo prodotto o questa trasformazione mi serve una roba viva o il derivato di un organismo vivente, ebbene, io sto usando una bio-tecnologia.

Ta-da-da-daaaaaaaan.

Le biotecnologie ‘antiche’

Molte biotecnologie sono vecchie, vecchissime, antiche. Molto più vecchie del famoso scherzone:
– “oh, lo sai chi ti saluta tantissimo?”
– “no chi?”
E il resto lo sapete.
Ecco, le biotecnologie sono mooooolto più vecchie di quella battuta-evergreen.
L’uomo è infatti un biotecnologo da millenni, da molto prima che avesse la minima di idea dell’esistenza del DNA o che fosse consapevole che siamo fatti di cellule.
Ragioniamoci un attimo. Sappiamo tutti che nel 4000 A.C. gli Egizi iniziarono a produrre pane lievitato e che prima di loro Sumeri e Babilonesi si prendevano fiacche sbornie producendo delle fantastiche birre.
La birra ci allietava le serate già 8000 anni fa!
A tutti gli effetti, servirsi di microrganismi (lieviti) per far fermentare mosti, cereali e farine, per poi cambiarne la composizione il pH e le proprietà nutrizionali e tecnologiche, rientra perfettamente nella definizione di biotecnologie!
La produzione del vino, per esempio, è in gran parte operata dal Saccaromices cerevisiae, che scompone gli zuccheri naturalmente contenuti nell’uva.
A partire da una mole di glucosio si ottengono così 2 moli di alcol etilico, 2 moli di anidride carbonica e calore (56 Kcal).
Il normale metabolismo del lievito ci fornisce in questo modo una bevanda di lunga conservazione, energetica e gustosa e che, se consumata in eccesso, ci rende dei quadrupedi incapaci di fare discorsi di senso compiuto… una meraviglia delle biotech [2]!
La fermentazione alcolica, usi e applicazioni da parte dell’uomo. A una storia d’amore senza fine dal 6000 A.C.
Questi sono solamente alcuni dei numerosi esempi di biotecnologie tradizionali, quelle cioè di cui ci serviamo da millenni.
Le abbiamo fatte nostre prima ancora di avere la minima comprensione dei meccanismi molecolari che si nascondono dietro la loro apparente semplicità; sono nate dall’osservazione delle fermentazioni avvenute in modo spontaneo e siamo poi stati in grado di ripeterle proprio perché erano di facile applicazione.
Una volta capito come sfruttarle, le abbiamo studiate, migliorate e ce ne serviamo anche oggi per la produzione di bevande e alimenti (vini, birre, prodotti lievitati da forno, yogurt, formaggi… ) o per migliorarne la conservazione.
Questi processi sono in continua evoluzione e vengono tutt’ora indagati a fondo da ricercatori di tutto il mondo, specialmente di quelli che si occupano di tecnologie alimentari e tecnologie industriali.
Ma ora veniamo alla parte succulenta: le biotecnologie di nuova generazione, quelle meno intuitive da capire e da sviluppare, richiedono studi approfonditi e anni da spendere sui libri di genetica, appiattendosi le chiappe sulla sedia e perdendo diottrie su diottrie davanti ai monitor dei pc.
Quelle che ti rendono strabico usando il microscopio e che ti fanno lavorare sotto cappe d’aspirazione che spesso non funzionano con sostanze tossiche e mutagene.
Le stesse che ti fanno vivere una vita da NERD tra stenti e amici che non capiscono i tuoi sforzi, che ti attaccano addosso la reputazione di “scienziato senza cuore e senza Dio”, che ti fanno litigare con la famiglia e con gli affetti, che ti lasciano vivere notti senza sonno nell’attesa di risultati che non verranno… o che verranno, ma saranno totalmente diversi da quelli che ti aspettavi e che avresti voluto.

Le biotecnologie di nuova generazione

Si basano sulla regolazione dell’espressione dei geni degli organismi e possono servirsi talvolta anche di tecniche di transgenesi (i famosi OGM).
L’espressione dei geni viene modificata agendo sulle condizioni ambientali in cui vengono mantenute le specie utilizzate, che possono essere: virus, batteri, funghi, piante, animali, in pratica qualsiasi forma di vita!
Molto genericamente (e totalmente senza motivo) sono classificate come biotecnologie rosse, bianche, blu e verdi in base ai settori in cui vengono impiegate.
Mega sintesi delle aree di interesse delle biotech: stanno da tutte le parti.
BIOTECNOLOGIE ROSSE: vengono riferite ai settori della medicina, della veterinaria e dell’industria farmaceutica. Un esempio? L’insulina.
Tutti i giorni milioni di soggetti diabetici nel mondo, assumono regolarmente insulina per regolare i livelli del loro glucosio ematico.
Ebbene, l’insulina, quella molecola che consente ai diabetici di avere una vita normalissima e dignitosa, è un OGM.
Abbiamo inserito in un fungo unicellulare i geni umani dell’insulina A e B. (Ve ne parleremo nella prossima puntata!). Facendo questo l’aspettativa e la qualità della vita delle persone affette da diabete sono state letteralmente stravolte.
BIOTECNOLOGIE BIANCHE: sono quelle che si applicano nell’industria per ottenere una serie infinita di prodotti (alcoli, acidi organici, enzimi, bio-polimeri, essenze per la cosmesi, etanolo, metano, biomasse…).
La produzione di enzimi e di polimeri da parte aziende-biotech sta avendo tassi di crescita esponenziali ed è facile immaginare che il trend rimanga invariato nei prossimi anni.
BIOTECNOLOGIE BLU: fanno uso di organismi acquatici (o dei loro geni) per ottenere in ambienti acquosi (ma non solo) i prodotti desiderati, dalle bio-plastiche ai concimi animali.
BIOTECNOLOGIE VERDI: trattasi di quelle applicate ai settori dell’agricoltura, dell’allevamento, dei fertilizzanti, del bio-risanamento e della geo-microbiologia ma anche al settore alimentare.
Servono ad ottenere, quindi, nuove varietà di piante che siano più produttive o magari puntano ad aumentare le resistenze delle piante e degli animali da allevamento verso le patologie.
In altri casi le biotecnologie verdi si occupano del riutilizzo e della valorizzazione di sostanze di scarto o inquinanti.
Un gatto con il dottorato in Biotecnologie ci spiega a cosa servono le green biotech
Nelle prossime puntate di questa rubrica, andremo nello specifico trattando esempi pratici di biotecnologie che ogni giorno vengono utilizzate intorno a noi e che contribuiscono a rendere migliore la condizione umana, o che puntano ad un mondo che sia molto meno stritolato nella morsa dell’inquinamento.
Ovvio che da grandi poteri derivino grandi disponibilità.  La stessa tecnica può essere usata per ottenere un farmaco contro le peggiori patologie del mondo, così come per lo sviluppo di un’arma microbiologica spaventosa. ma questa è l’eterna lotta bene/male, che è intrinseca dell’essere umano.
Ogni grande scoperta rivoluzionaria, dalla ruota al fuoco fino all’energia nucleare e alle biotech, deve essere impiegata per il miglioramento della condizione umana e del mondo che ci circonda.
Non possiamo porre limiti alla conoscenza, dobbiamo solo capire come farne buon uso.
L’idea della pianta al sapore di maiale arrosto la cediamo molto volentieri a chi sarà più bravo e più tenace di noi.

D’altro canto, però, tu, futuro biotecnologo salvatore del mondo, il giorno in cui la pork-plant ti farà vincere il Nobel, ricordati almeno di mettere Missione Scienza nei ringraziamenti!

Se sei arrivato a fine articolo e se ti accollerai anche i prossimi, tante grazie compà.

Abbiamo parlato di biotecnologie già in altri articoli. Magari ve li siete persi, quindi nel dubbio:

Trapianti di cacca

CRISPR -Cas9-il coltellino svizzero del genoma

Batteri contro il mega problema delle microplastiche

Fonti:

[1] Text of the Convention on Biological Diversity

[2] Ethanol fermentation from biomass resources: current state and prospects

[3] CELLULAR METABOLISM AND FERMENTATION

[4] Origin and History of Beer and Brewing: From Prehistoric Times to the Beginning of Brewing Science and Technology

[5] Biotechnology

[6] Introduction to Biotechnology, 4th Edition William J. Thieman, Ventura College Michael A. Palladino

[7] Bioeconomia e biotecnologie, in Lombardia 4 mila imprese su 21 mila in Italia

Emanuele Falorio

Laureato in biotecnologie, lavoro da anni nel settore dell'industria alimentare. NERD da molto prima che facesse fico;  appassionato di divulgazione scientifica da quando mi ci sono ritrovato dentro per puro caso. Scrivo per Missione Scienza ad orari improbabili quindi mi scuso per tutti refushi e gli erorri di battitura, è già un miracolo che non mi sia mai addormentato sulla tastieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

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