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La fisica del tuffo e la resistenza dell’acqua

Fisica del tuffo a parte…

Estate = mare = scogliera = tuffi.

Se non siete d’accordo con questa catena di uguaglianze, non possiamo essere amici.

Ironia a parte, il tuffo è una attività ludico/sportiva incredibilmente affascinante, ma anche rischiosa se non viene affrontata con la giusta preparazione.

Poiché di lavoro non facciamo gli allenatori ma gli scienziati, noi di Missione Scienza vi prepariamo nell’ambito in cui siamo più competenti: la fisica del tuffo!

In realtà da fermi sostenitori del metodo scientifico, non ci piace parlare senza esperienza. Nel video sopra un editor di Missione Scienza si lancia da una scogliera di diversi metri.

Vado più veloce io o mio fratello smilzo di 12 anni?

La velocità raggiunta durante un tuffo dipende dall’altezza da cui saltiamo e dall’accelerazione di gravità.

Ci troviamo infatti all’interno di un esperimento che in fisica si chiama “caduta di un grave”, in cui un corpo posto a una certa altezza viene lasciato libero di cadere verso il basso. Se trascuriamo la resistenza dell’aria, questo esperimento si riduce a un esercizio sul moto uniformemente accelerato, in cui l’accelerazione è proprio l’accelerazione di gravità, che sulla terra vale circa 9,81 m/s² e che nel seguito indicheremo con la lettera g.

Ho parlato di altezza e di accelerazione, i più attenti avranno notato che non ho parlato della massa. Non è una dimenticanza, è che la massa… non c’entra niente! Questo concetto è completamente contro la nostra intuizione, siamo portati a pensare che oggetti più pesanti cadano più in fretta perché così ci dice la nostra esperienza diretta: un foglio di carta che cade svolazza verso il suolo, mentre una palla da biliardo ci cade su un piede con una certa rapidità.

La colpa di questo malinteso è della resistenza dell’aria, giustamente noi la ignoriamo e lei dispetto ci smonta tutte le convinzioni. Piena di rancore la resistenza dell’aria.

Aspetta un attimo Fabrizio, stai forse dicendo che se non ci fosse aria una palla da bowling e una piuma cadrebbero con la stessa velocità?

Ebbene ragazzi, se non credete a me forse crederete ai vostri occhi dopo aver visto questo esperimento effettuato dal fisico Brian Cox con l’aiuto di una enorme camera a vuoto:

Alla luce di questa scoperta, possiamo quindi affermare che la velocità con cui impattiamo l’acqua alla fine di un tuffo non dipende da quanto abbiamo fallito la prova costume ma solo da quanto era alto il trampolino lo scoglio da cui ci siamo lanciati.

Che velocità raggiungo quando mi tuffo?

Poiché stiamo risolvendo un problema di moto uniformemente accelerato, le formule da usare per i nostri calcoli sono molto semplici.

  • Per la velocità, la formula da usare è v = g·t

Ma Fabrizio, ci hai parlato di altezza e di accelerazione, dove lo andiamo a pescare ora il tempo? Dobbiamo forse tuffarci con un cronometro in mano? No… Anche se, pensandoci, sarebbe un modo come un altro per portare a termine il nostro calcolo.

Possiamo ricavare il tempo di caduta da un’altra equazione del moto accelerato molto semplice:

  • La distanza percorsa durante un modo accelerato (se partiamo da fermi) è data dalla formula s = ½g·t²

Dunque abbiamo una relazione che lega lo spazio percorso (che nel nostro caso è l’altezza dello scoglio) con l’accelerazione di gravità, che è un altro dato di cui conosciamo il valore. Ci basta allora utilizzare una formula inversa per dire che

  • t = √2 s/g
Newton si lancia dopo aver accuratamente studiato la fisica del tuffo

Ma basta con le formule che sono una cosa brutta e noiosa, mettiamo dentro i numeri e cominciamo a capire di che velocità stiamo parlando.
Con un tuffo da 5 metri, il membro di destra diventa 2·5/9,81 = 1,019, praticamente 1. Infatti facendo anche la radice quadrata, otteniamo t=1,009.

Da una altezza di 5 metri, ci mettiamo quindi un solo secondo per impattare l’acqua. Torniamo allora alla prima formula, quella della velocità, e sostituendo otteniamo v = 9.81·1,009 = 9,89 m/s. I più avvezzi a questi calcoli lo avranno già notato, ma parliamo di oltre 35 km/h.

Vi risparmio tutti i calcoli per le varie altezze, ma vi fornisco una tabellina per darvi un’idea di quanto cresca la velocità con l’aumentare dell’altezza.

Altezza Tempo Velocità
5 m 1,009 s 35,63 km/h
10 m 1,428 s 50,42 km/h
20 m 2,02 s 71,31 km/h
50 m 3,19 s 112,75 km/h

Ma a 50 km/h non mi faccio un sacco male?

La risposta, come sempre nella scienza, è dipende.

Per esperienza personale, quasi tutti sappiamo che tuffarsi “a candela” infrangendo l’acqua con i piedi è relativamente poco rischioso, dare una panciata a faccia avanti invece ci porta a uscire dalla piscina con passo incerto e la pelle viola. Questo perché un corpo (in questo caso letteralmente il nostro corpo) che procede a una certa velocità possiede una corrispondente quantità di moto, che tenta di trasmettere all’acqua al momento dell’impatto. In quel momento, una forza detta appunto forza di impatto viene applicata alla porzione di corpo che sta entrando in acqua. Se entrate in acqua impattando dritti con i piedi, questa forza viene applicata tutta insieme su una superficie ridotta (per poi propagarsi comunque al resto del corpo, quindi possibilmente tenete anche i muscoli del corpo belli contratti). Nel caso della panciata, questa forza viene distribuita su tutta la superficie del corpo a contatto con l’acqua.

Il tuffatore Orlando Duque al momento dell’impatto con l’acqua durante il RedBull Cliff Diving. Notare la posizione perfettamente dritta e allineata del corpo, e la tensione dei muscoli.
© TOMISLAV MOZE/RED BULL CONTENT POOL

Ora vi domando, preferite che Mike Tyson vi dia un pugno sul tallone o che io via dia prima un pugno sul fegato e poi uno sulla milza? Lo so, se dico Mike Tyson istintivamente scegliete il pugno mio sul fegato, ma è una scelta infelice. Le vostre ossa sono molto più robuste dei vostri mollicci organi interni, ed è molto meglio tenere al sicuro quelli, perché in caso di bruschi impatti possono danneggiarsi seriamente con conseguenze anche serie. Houdini ci è morto con un pugno alla pancia, per dire, ed era un mago quindi insomma oh mica uno qualsiasi.

E una volta entrati in acqua?

Siamo arrivati al punto in cui finalmente siamo entrati in acqua, e non andrò a mentire, a questo punto la fisica della faccenda si complica parecchio. Cercheremo di semplificare un paio di aspetti e di ricavare almeno un calcolo grezzo. La resistenza dell’acqua, a differenza di quella dell’aria, è tutt’altro che trascurabile anche per brevi distanze. Avete mai provato a correre in acqua? Fate molta meno fatica a camminare. Questo perché la resistenza di un fluido dipende dalla velocità con cui ci si sta muovendo e da quanto è grande la superficie a contatto con esso, ma dipende anche da un coefficiente che è tipico del fluido stesso. In simboli, la relazione diventa:

  • R = C·A·v

Supponiamo di avere lo stesso identico corpo che cade nella stessa posizione con la stessa velocità prima in aria e poi in acqua.

A causa del diverso coefficiente di resistenza dell’aria e dell’acqua, le due resistenze saranno incredibilmente diverse. Basta pensare che una volta tuffati in acqua, a un certo punto la nostra caduta si “arresta” e smettiamo di precipitare verso il fondo, mentre in aria… beh, in aria ci conviene avere un paracadute.

In realtà vi sto un po’ imbrogliando, nel vostro smettere di precipitare c’è anche, in piccola parte, lo zampino di un’altra forza che spinge verso l’alto e che in aria è totalmente trascurabile: la spinta di Archimede.

Ma qualcuno si tuffa davvero da queste altezze?

Certo che sì! E durante una delle principali competizioni di “Cliff diving” gli atleti si tuffano da una altezza di 27 metri (impattando l’acqua a circa 85 km/h). La resistenza dell’acqua è talmente forte che una profondità dell’acqua di 5 metri è considerata sicura; in questo caso, quindi, si è largamente confidenti di non impattare il fondo avendo a disposizione meno di 1/5 dello spazio di caduta.

C’è chi si è spinto anche oltre: ad Acapulco, ad esempio, esiste una antica tradizione di tuffatori che si lanciano da una altezza che arriva fino ai 41 metri in una porzione di mare la cui profondità e di poco inferiore ai 6 metri. Il numero di feriti, vi starete chiedendo?

Vi dirò, stando a quello che dice il web, pensavo molto peggio…

Fabrizio Teodonio

Matematico per passione, dopo essermi laureato all'Università la Sapienza di Roma mi hanno spiegato che la matematica non è un lavoro vero e mi tocca guadagnarmi da vivere come consulente contro le frodi. Fortemente convinto che potremmo già avere i jetpack e le macchine volanti per uso comune, ho abbracciato la Missione Scienza nel 2016.  Scrivo principalmente di matematica (ufficialmente argomento più noioso del terzo millennio) e occasionalmente di fisica, tecnologie e informatica.

Un pensiero su “La fisica del tuffo e la resistenza dell’acqua

  • Daniele Passerone

    Bellissimo articolo ma… oltre a “Brian Cox” li vogliamo citare Galileo e la torre di Pisa?

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