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“Io non sono io”: Non è il mio corpo

Se la rubrica “Io non sono io”  è diventata il vostro incubo ricorrente, vuol dire che siete in buona compagnia. Oramai la prima cosa che faccio la mattina è guardarmi allo specchio e chiedermi: “Ma sono davvero io?”. Spero non sia dovuto al disgregarsi della mia identità corporea o al troppo alcool assunto.

Identità corporea

Nello scorso articolo abbiamo elencato i sette aspetti della coscienza e approfondito l’aspetto unità. Ora passiamo al secondo aspetto: “l’identità corporea”.

Conosciamo bene il nostro corpo, tanto bene che per noi è come una casa. Questo è vero. Ma è anche vero che conosciamo il nostro corpo solo da dentro. Anche se, guardandoci allo specchio, siamo bene in grado di riconoscerci e capire come ci vedono le altre persone, da fuori.

Ma se vi osservate con uno specchio che modifica la vostra immagine (come quello dei luna-park), sareste in grado di riconoscervi? Probabilmente sì, perché sapete che comunque siete voi. Seppure provate un forte senso di smarrimento quando vi trovate in una stanza degli specchi con una ripetizione quasi infinita della vostra immagine da più angolazioni.

Cosa succederebbe se non foste più in grado di riconoscervi? Come sarebbe sentirsi estranei nel proprio corpo? Tale disarmonia potrebbe distruggere anche il senso di unità del sé (di cui abbiamo parlato nello scorso articolo).

Apotemnofilia: “Dottore, mi amputi un braccio, per favore”

Un gatto, seppure spesso risulti essere sorpreso di avere una coda o una zampa, ha un’immagine corporea implicita di sé. Sa, ad esempio, in quali spazi non riuscirebbe mai ad entrare (anche se per esperienza so che i gatti sono così tanto in grado di ficcarsi ovunque da poter essere definiti “fluidi”).

Non ci è mai capitato, però, di vedere un gatto guardarsi allo specchio sentendosi grasso o contemplare la propria zampa desiderando di non averla. Invece, quest’ultimo è proprio lo stato d’animo che provano i pazienti affetti da apotemnofilia, una sindrome curiosa che provoca un desiderio incessante di amputarsi un arto.

Le persone affette da questa sindrome, definiscono l’arto come troppo invadente e nella metà dei casi finiscono davvero per amputarselo.

Nel passato è stata spesso definita come sindrome psicologica. Ma è sbagliato attribuire alla psicologia tutto ciò che non è spiegabile. Infatti, esiste una base organica per questo disturbo e ora cercheremo di capirci qualcosa.

Qual è la causa di questa strana malattia?

Ricordiamo che le aree del cervello che ricevono informazioni sensitive somatiche (i cui recettori sono siti a livello dei muscoli, dei tendini, delle articolazioni e della pelle) sono l’area somatosensoriale primaria (S1) e secondaria (S2).

In immagine potete notare le aree S1 e S2. Perché l'immagine è in spagnolo? Perché sì! Fonte
In immagine potete notare le aree S1 e S2. Perché l’immagine è in spagnolo? Perché sì! © Fonte

Ognuna di queste aree contiene una rappresentazione topografica del nostro corpo.

L’immagine rappresenta la rappresentazione topografica (homunculus) del nostro corpo in S1. Ogni area di S1 (così come per S2) riceve informazioni provenienti da una specifica area del nostro corpo. La grandezza della parte del corpo rappresentata non dipende dalle sue dimensioni reali, ma dal numero di recettori cutanei presenti in quell’area. Ecco perché la mano, che ha tantissimi recettori cutanei, appare gigante. © Fonte

Da queste aree le informazioni sono inviate al lobo parietale superiore (LPS), dove sono combinate con informazioni sull’equilibrio provenienti dall’orecchio interno e con il feedback visivo relativo alla posizione degli arti.

Tutte queste informazioni sono essenziali per elaborare un’immagine corporea unitaria e in tempo reale del nostro sé fisico. In pratica, è come se dicessero al nostro sé: “Questa parte del corpo è tua”.

Anche nel LPS, la nostra immagine corporea ha una rappresentazione topografica come in S1 e S2. Inoltre, questa rappresentazione è innata. Lo sappiamo perché alcunз pazienti privз di un arto fin dalla nascita hanno una vivida esperienza di arti fantasma, il ché implica l’esistenza di un’impalcatura del corpo inscritta nei geni.

Se il LPS fosse danneggiato e una specifica parte del corpo (come un arto) non venisse rappresentata su di esso, il paziente sperimenterebbe la sensazione di avere attaccato qualcosa di estraneo al suo corpo. Questo perché il paziente avrebbe un’immagine del sé corporeo distorta (senza un arto).

Perché il paziente non prova semplicemente indifferenza?

La risposta sta nel concetto fondamentale di avversione per la discrepanza, che svolge un ruolo cruciale in diverse malattie mentali. L’essere umano odia le sensazioni di discrepanza interna (mentre alcunз sembrano addirittura amare le anomalie del mondo esterno, andando spesso alla ricerca del brivido). Questo principio l’abbiamo già visto nella Sindrome di Capgras, dove lǝ paziente arriva a creare storie assurde pur di mantenere un senso di coerenza interno.

La discrepanza interna è dovuta al fatto che le informazioni che partono da S1 e S2, non trovano il loro corrispettivo in LPS (perché quella specifica area in LPS è danneggiata). In parole povere, da S1 e S2 partono informazioni che dicono “guarda che hai un braccio destro” ma in LPS l’area che corrisponde al braccio destro è danneggiata per cui LPS risponde: “Ma che dici? Io non vedo nessun braccio destro”.

Non si sa con esattezza quale parte del cervello rilevi questa discrepanza. Forse è l’insula (specie quella dell’emisfero destro), una piccola porzione di cervello che riceve segnali da S2 e invia una risposta all’amigdala, la quale a sua volta manda segnali di eccitazione solidali al resto del corpo.

In caso di lesione nervosa di S1 e/o S2, non arriva nessun segnale a LPS, per cui non si crea discrepanza. Ma se invece è LPS a essere danneggiato (e perde ad esempio la rappresentazione del braccio destro), le informazioni della specifica regione corporea in arrivo da S1 e S2, non trovano il corrispettivo in LPS. Si crea quindi una discrepanza, viene avvisata l’insula che crea il senso di sconforto e di “invasività” dell’arto ormai percepito come estraneo.

Come confermare questa ipotesi?

Il modo migliore utilizzato per confermarla consiste nell’utilizzo del neuroimaging.

Il neuroimaging ci permette di capire quali aree del cervello si attivano in tempo reale. Normalmente se toccassimo una parte del corpo del paziente, vedremmo l’attivazione nell’area in LPS che controlla la rispettiva parte. Nel paziente affetto da apotemnofilia, toccando la parte del corpo avvertita come estranea, non si rilevavano segnali in LPS. Questo quindi dimostra il ruolo di LPS nell’ipotesi prima formulata.

Un aspetto curioso della apotemnofilia è che spesso i pazienti affetti tendono a essere attratti da persone amputate. Forse, questa preferenza estetica, deriva dal fatto che esistono meccanismi specifici che permetterebbero a uno stampo della propria immagine corporea (presente in LPS) di essere trascritto nel circuito limbico, determinando la preferenza estetica.

Somatoparafrenia: “Dottore, questo è il braccio di mia madre”

Ennesimo nome stravagante, ma vi prometto che non è nulla di complicato.

Nello scorso articolo abbiamo presentato un caso limite di anosognosia, in cui un paziente affetto da ictus nega la paralisi. Nell’esempio citato il paziente attribuiva il braccio alla madre. Questo fenomeno probabilmente è dato dalla presenza di lesioni a diversi livelli:

  • Area motoria primaria: che dovrebbe controllare il movimento ma non può perché danneggiata per cui si ha la paralisi.
  • S1, S2, LPS e insula: la cui lesione crea un senso di totale distacco emotivo dall’arto.

Molto probabilmente la conseguente tendenza ad attribuirlo a un altro potrebbe essere un inconscio disperato tentativo di spiegare il senso di alienazione dell’arto stesso.

Inclusione sociale

Il terzo aspetto del sé che andremo a trattare riguarda l’inclusione sociale, ovvero come il sé si definisce in relazione all’ambiente sociale.

Siamo animali socievoli. Come tali, le nostre emozioni e i nostri comportamenti dipendono dalle altre persone. Siamo così tanto abituatз a vivere in un ambiente sociale, che spesso attribuiamo le nostre emozioni sociali anche a cose inanimante.

Ma che succede quando l’ambiente sociale diventa incomprensibile, come quando persone famigliari ci sembrano tutto d’un tratto estranee o viceversa?

Sindromi di errata identificazione: “Dottore, quella non è mia madre”

Abbiamo già parlato della sindrome di Capgras. Si tratta di una sindrome in cui è danneggiata la via 3 della visione (via emozionale, che provoca emozioni) mentre la via 2 (la via del “cosa”, che ci permette l’identificazione) è intatta. Quindi il paziente riconoscerà il familiare ma non proverà il senso di calore emotivo aspettato, pertanto griderà all’impostore.

Cosa succederebbe se invece venisse danneggiata la via 2 mentre la via 3 è intatta?

Il paziente perderebbe la capacità di riconoscere i volti, condizione definita prosopagnosia. Quindi, il paziente, non sarebbe in capace di riconoscere la madre, ma risponderebbe in modo emozionale alla sua presenza. È come se il cervello sapesse una cosa che la mente ignora.

Potrebbe sembrare strano che l’identità (volto di una persona) sia separato dalla famigliarità (reazioni emotive a una persona). Come si può riconoscere qualcunǝ e, nel contempo, non riconoscerlǝ?

Eppure anche a noi (persone senza danni al cervello) capita. Quante volte ci è capitato di non riconoscere una persona solo perché non ci aspettavamo di trovarla in quel posto? Certo, in questo caso la sensazione è breve, ma se il conoscente continuasse a risultarci estraneo, sarebbe davvero inquietante.

Autoduplicazione: “Dottore, dov’è l’altro David?”

Quante volte ci capita di dire: “Oggi non mi sento io” o “Non sono più il giovane di un tempo”. E se davvero non ci sentissimo più noi in senso letterale?

Sembra incredibile, ma la stessa sensazione di estraneità osservata nella sindrome di Capgras può addirittura riguardare sé stessз. Infatti, come detto nello scorso articolo, i neuroni specchio ci permettono di creare una rappresentazione non solo della mentre altrui, ma anche della nostra. Un inceppamento di questo meccanismo potrebbe portare a cose davvero assurde.

Ne è un esempio il paziente David che un giorno indicò una sua foto dicendo “Quello è un altro David”. Oppure un giorno disse: “Dottore, se ritorna l’altro David, i miei veri genitori mi disconosceranno?”.

Considerate che, aldilà di questi particolari aspetti, David era del tutto normale quindi non si può parlare di “semplice” (che poi semplice non è) schizofrenia.

Sindrome di Fregoli: “Dottore, tutti mi sembrano zia Cindy”

Spesso vediamo una persona dicendo “Cavoli, somiglia proprio a un’altra mia conoscenza”. Cosa accadrebbe se avessimo questa sensazione costantemente?

È proprio quello che succede con la sindrome di Fregoli. Ad esempio, un paziente diceva che tutti quelli che incontrava somigliavano a sua zia Cindy.

Probabilmente la causa di questa sindrome è da ritrovare in un anomalo rinforzamento della via 3 (via emozionale) della visione, ad esempio dovuto all’epilessia.

Perché il paziente era in fissa con la zia Cindy non è però chiaro. Forse potrebbe essere dovuto al fatto che la “famigliarità diffusa” non ha senso per la psiche umana. Infatti, anche l’ansia dell’ipocondriaco non fluttua mai liberamente, ma si concentra su uno specifico organo o malattia.

Il libero arbitrio

Di solito facciamo le nostre scelte con consapevolezza. Seppure su questo punto potremmo discutere e filosofeggiare ore, possiamo assumerlo come vero (anche se tutto dipende da cosa scegliamo di identificare come libertà).

Anche nell’amore romantico, come descritto in questo vecchio nostro articolo, il libero arbitrio si comporta in un modo alquanto strano.

Ci sono, però, diversi disturbi in cui il libero arbitrio è fortemente alterato.

Aprassia

Basti pensare a chi è affettǝ da aprassia in seguito a un danno del giro superiore del lobo parietale.

 

In figura potete osservare il lobulo (o giro) parietale superiore colorato in viola. © Fonte

Lз pazienti aprassici sono incapacз di svolgere gesti finalizzati e coordinati, nonostante siano in grado di spiegarli e capaci di muoversi normalmente. Se si chiedesse a unǝ paziente aprassicoǝ di salutare con la mano, lǝi fisserebbe la mano e si limiterebbe a muovere le dita. Ma se lǝ chiedessimo cosa significa salutare, allora non esiterebbe un attimo a dirci che si saluta con la mano quando si congeda qualcuno.

In questa sindrome né il pensiero, né il linguaggio, né il movimento sono alterati. Ma lǝ paziente non è in grado di tradurre il pensiero in azione.

Mutismo acinetico

Ancora peggio è per chi è affettǝ da mutismo acinetico a seguito di un danno del cingolo anteriore (sito nei lobi frontali).

 

In figura è indicato il cingolo anteriore e il nucleus accumbens (strettamente connesso con il cingolo anteriore). © Fonte

Questз pazienti sono bloccati a letto, immobili ma vigili. Alcune persone si riprendono dopo qualche settimana e riferiscono che erano perfettamente coscienti e capivano tutto, ma non avevano la minima voglia di muoversi o di rispondere.

Sindrome della mano anarchica

Un’altra conseguenza della lesione del cingolo anteriore è la strana sindrome della mano anarchica. Lз pazienti con questa strana sindrome hanno una mano che si muove per i fatti suoi, senza minimo controllo volontario. Ad esempio, una paziente allungava la mano sinistra per afferrare oggetti che in realtà non voleva prendere e doveva usare la destra per forzare la sinistra a mollare l’oggetto.

Queste sindromi sottolineano il ruolo importante dell’area frontale nel libero arbitrio, permettendoci di capire meglio il problema filosofico e trasformandolo in problema neurologico (localizzando e individuando le diverse caratteristiche del libero arbitrio).

Conclusione

Piano piano stiamo davvero capendo cosa diavolo è questa coscienza. Spesso, in neurologia, per capire davvero qualcosa è necessario osservare pazienti in cui questo qualcosa manca.

Forse è vero che si capisce l’importanza delle cose solo quando le si perde!

Come stiamo vedendo infatti, leggendo casi clinici di pazienti con specifici disturbi, siamo sempre più in grado di definire la coscienza pezzo per pezzo.

Mi piace immaginare la coscienza come un grande puzzle: ogni pezzo sembra diverso dall’altro e si confonde in mezzo agli altri. Eppure ogni pezzo ha la sua importanza fondamentale. Quando è alterato un singolo aspetto della coscienza, il puzzle della realtà viene percepito in modo diverso.

Forse è proprio questo che siamo: animali con una piccola (seppure fondamentale) caratteristica in più che ci fa dire: “Forse il mondo davvero non esiste. Forse la realtà è solo nella mia testa”.

Serie “Io non sono io”

Fonti

[1] Ramachandran, S.V. (2013). L’ uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul mistero della natura umana. Mondadori.

[2] Apotemnofilia 1

[3] Apotemnofilia 2

Tommaso Magnifico

Sono Tommaso Magnifico, studente di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Bari e Socio Mensa (The high IQ society). Scrivo articoli specialmente riguardati la medicina in tutte le sue sfaccettature: dal pronto intervento alla psicologia. Potere alla scienza!!!

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