“Io non sono io”: cos’è la coscienza?

Noi esistiamo, certo. Chi potrebbe mettere in dubbio questo?

Se stai leggendo questo articolo vuol dire che esisti … certo … non potrebbe essere altrimenti …

Esistiamo noi, così come esiste il mondo intorno a noi.

Sì, ma dove finisce la nostra esistenza e dove inizia l’esistenza del resto del mondo? Qual è il sottile margine che separa la nostra esperienza cosciente da quella di un altro individuo? Come facciamo a essere certi di esistere?

Grandi domande. A cui non basterebbero centinaia di articoli per rispondere.

La coscienza è sempre stato un grosso interrogativo. Già la sua definizione non è per nulla semplice. Figuriamoci quanto è difficile parlarne senza speculare e senza cadere nella trappola del filosofo.

Per questo, noi di Missione Scienza, abbiamo deciso di parlare di un argomento quasi impossibile da spiegare. Perché ci piacciono le sfide.

Ma badate bene. Tutto quello che leggerete in questo articolo e nei futuri, riporteranno ipotesi che, anche se molto spesso accompagnate da prove tangibili, ipotesi restano. Purtroppo, non sappiamo quasi nulla con certezza su questo argomento.

Ma come il caro Darwin diceva:

“Notizie false sono nocive ai progressi della scienza, poiché spesso si sono credute per lungo tempo; ma ipotesi erronee, se surrogate da qualche prova, fanno poco danno, in quanto chiunque si può prendere il piacere di dimostrare la loro falsità; e ciò fatto, si chiude un sentiero che porta all’errore, mentre contemporaneamente si apre spesso la via della verità”.

Iniziamo questo grosso capitolo spiegando cos’è la coscienza, in modo tale da fare da spola per i successivi articoli. Anche se questo articolo sarà più filosofico del solito, con i successivi introdurremo prove più tangibili e ne vedremo delle belle.

Definizione di coscienza

Usiamo spesso la parola “coscienza” erroneamente, per definire due cose diverse. La prima sono i “qualia”, ovvero le qualità soggettive dell’esperienza immediata, come la “rossità” del rosso o la piccantezza del peperoncino. La seconda è il che li sperimenta.

Ma spieghiamoci meglio. Immaginate che ci sia uno scienziato marziano molto intelligente, ma daltonico.

Ora, immaginate che questo scienziato abbia una tecnologia ultra-avanzata, alla Star Trek, e voglia studiare fin nei minimi dettagli ciò che accade quando abbiamo esperienze mentali relative al colore rosso. Grazie alla sua tecnologia sarebbe in grado di spiegare ogni evento fisico-chimico e neurocomputazionale che si verifica quando vediamo, pensiamo e diciamo “rosso”.

Il marziano daltonico sarebbe in grado di comprendere la nostra modalità aliena di esperienza visiva, anche se il suo cervello non è sintonizzato per rispondere a quella particolare lunghezza d’onda? La maggior parte di voi risponderebbe di no. I più direbbero che, per quanto accurata, la descrizione dell’alieno avrebbe una lacuna al centro. Ossia tralascerebbe il quale (singolare di qualia) della “rossità”.

Di fatto non c’è modo di trasmettere l’esperienza della “rossità” all’alieno, se non collegando direttamente il suo cervello al nostro.

Seppur i qualia siano diversi dal sé, è impossibile spiegare i primi senza il secondo. L’idea di qualia senza un’esperienza soggettiva introspettiva è un ossimoro. Immaginare la “rossità”, senza la presenza del sé che li sperimenta non avrebbe senso.

L’esempio dell’alieno ci ha portato a una conclusione: “Una spiegazione scientifica di un particolare sentimento non causerà mai quella sensazione, né una spiegazione della costruzione neurale del colore porterà un alieno daltonico a sperimentare il rosso”. Questa conclusione è alla base del concetto di unicità della coscienza, che vedremo nei prossimi articoli.

Ma quindi cos’è la coscienza?

È possibile distinguere la coscienza in: primaria e di ordine superiore.

Il termine coscienza primaria è stato coniato dal neuroscienziato Edelman per descrivere la capacità, che si trova negli esseri umani e in alcuni animali, di integrare gli eventi osservati con la memoria per creare una consapevolezza del presente e dell’immediato passato e del mondo che li circonda.

Questa capacità non è propria di qualsiasi animale, ma solo di mammiferi e uccelli. Studiosз del mondo animale, ritengono che la maggior parte degli altri animali (come i rettili) ne siano privi. Un caso a parte sono i molluschi cefalopodi che si crede siano dotati di una coscienza primaria.

Facciamo un esempio pratico di come gli uccelli usano la coscienza primaria:

Un uccello è adagiato su un ramo di un albero e riposa beatamente. A un tratto percepisce un particolare cambiamento del vento e dei suoni della giungla. Subito si ricorda come l’ultima volta che queste stesse peculiarità sono avvenute, è apparso un giaguaro. Per cui decide subito di volare via.

La coscienza primaria è strettamente correlata con la definizione di qualia detta prima.

La coscienza di ordine superiore, invece, è traducibile come “la coscienza di essere coscienti” (correlata alla seconda definizione di coscienza data in precedenza: “il sé che sperimenta i qualia”).

Secondo Edelman, l’esistenza di questa coscienza richiede lo sviluppo del linguaggio.

Questo però non è del tutto vero. Infatti, animali come lo scimpanzè, dotati di capacità semantiche ma senza capacità sintattica, sono comunque in grado di riconoscere sé stessi davanti a uno specchio. Inoltre, sono capaci di ragionare sulle conseguenze delle azioni di un altro scimpanzé o di un essere umano.

Come si è formata la coscienza?

Per spiegare l’esistenza della coscienza, Edelman e Tononi fanno uso del darwinismo neurale. Ma prima di capire cos’è questo strano fenomeno rinfreschiamoci la memoria sulla selezione neuronale.

Sebbene il cervello sia il risultato di un lungo processo evolutivo e del dispiegarsi del genoma, non è da esso totalmente determinato. Il sistema nervoso presenta, infatti, un alto grado di variabilità osservabile sia tra individui diversi, sia nello stesso individuo in tempi diversi.

In un nostro articolo abbiamo già parlato di selezione neuronale. In breve, abbiamo detto che il cervello di un bambino ha tantissime sinapsi che permettono la comunicazione tra neuroni. Nel tempo, verranno rinforzate solo quelle usate, mentre le altre andranno perse.

In realtà, queste modifiche avvengono non solo nel bambino, ma anche nel feto e nell’adulto.

Per cui i protagonisti nella selezione neuronale sono due: il genoma e l’ambiente. Gli input ambientali sono così influentei da rendere impossibile l’esistenza di due individui con le stesse identiche sinapsi. Il che, come vedremo, si riflette anche sulla coscienza.

Darwinismo neurale

Che diavolo è? Il Darwinismo neurale è un approccio usato da Edelman per capire il funzionamento globale del cervello. Il fulcro di questa teoria è la così chiamata “selezione dei gruppi neurali”.

Non vi fate spaventare dal nome mastodontico, la questione è molto semplice.

Questa teoria dice semplicemente che esistono tre periodi in cui può avvenire la “modifica della sinapsi” (chiamata prima, più appropriatamente, selezione neuronale):

  • Nel feto: Iniziano a formarsi le strutture anatomiche che costituiranno il cervello. La formazione dei neuroni è regolata da specifiche proteine (chiamate morforegolatrici). Queste proteine hanno il ruolo di guidare la formazione e la morte dei neuroni, formando quindi un repertorio primario (un insieme di neuroni collegati tra loro). La formazione di questo repertorio primario, però, è fortemente influenzata dall’ambiente (si parla di epigenetica). Pertanto, già dalla nascita, due individui con lo stesso patrimonio genetico molto probabilmente non formeranno lo stesso repertorio primario. Questo già inizia a spiegare la differenza tra gemelli omozigoti: fratelli che hanno lo stesso patrimonio genetico, ma nonostante questo sono diversi già dalla nascita.
  • Selezione esperienziale: come abbiamo detto prima, nel bambino (ma anche nell’adulto), le sinapsi vengono modificate in base al loro uso. Queste modifiche dipendono tutte dalle esperienze comportamentali dell’individuo. Quindi, anche qui, il cervello viene modificato dall’ambiente.
  • Il rientro: spiega come le aree cerebrali, emerse nel corso dell’evoluzione in una data specie, si coordinano tra loro per far nascere nuove funzioni. Per descrivere al meglio questo fenomeno, è possibile ricorrere a una metafora tra i neuroni e dei musicisti. Si immagini un quartetto d’archi un po’ particolare, dove ogni musicista risponde alle proprie improvvisazioni e segnali dell’ambiente. Ogni musicista crea il proprio motivo non coordinato a quello degli altri musicisti. Si immagini che i corpi dei musicisti siano collegati da miriadi di fili sottili, in modo che le azioni e movimenti siano rapidamente trasmessi attraverso segnali elettrici, che agiscono simultaneamente per sincronizzare le azioni di ognuno di loro. I segnali che collegano i quattro musicisti modificherebbero anche i loro suoni, con motivi sempre più coordinati. Ogni musicista conserva il suo stile e il proprio ruolo, ma i loro motivi sono più integrati.

Questa sarà sicuramente una semplificazione. Ma credetemi. Se iniziassi a puntualizzare ogni minimo particolare di questo argomento non ne usciremmo più.

I neuroni con le loro sinapsi rinforzate si organizzano in mappe neuronali (in realtà non tutte), ognuna con una funzione diversa. Queste mappe sono come delle vere e proprie mappe, formate da diverse strade che collegano i neuroni. Ci saranno mappe importanti per la visione, mappe fondamentali per il movimento, eccetera. Ogni mappa con una funzione biologica diversa.

Queste mappe non sono indipendenti tra loro, ma sono altamente collegate. Un esempio banale è il collegamento tra le mappe della visione e quelle del movimento, che ci permettono di coordinarci con lo spazio che ci circonda mentre ci muoviamo.

Ognuna di queste mappe lavora in modo indipendente dall’altra, ma nonostante questo cooperano e si influenzano a vicenda (come i musicisti descritti prima).

Affinché si formi il collegamento tra due mappe, come abbiamo detto prima, è necessario che le connessioni tra i neuroni (sinapsi) vengano continuamente stimolate. Continui stimoli garantiscono un rinforzo delle sinapsi, come se nella mappa si stessero formando nuove strade.

Quello che ci interessa è però sapere che, secondo questa teoria, esistono diverse mappe neuronali collegate tra loro. La coscienza esiste proprio grazie a questi collegamenti.

Ma precisamente quali aree del cervello sono coinvolte nella coscienza?

Tutto questo “pippone” di preambolo è servito a qualcosa (oltre che a sfogare il mio sadismo)? Sì, e ora capiamo perché.

Innanzitutto, è importante sapere che il cervello ha la capacità di discriminare selettivamente un oggetto o un evento da altri per scopi adattativi. Questa capacità è chiamata categorizzazione percettiva. Siamo in grado di riconoscere una sedia e catalogarla come tale, anche se essa ha forme stravaganti. Come quella in figura.

Sedia strana (e forse particolarmente scomoda). © Fonte

La categorizzazione percettiva è resa possibile solo grazie al collegamento tra mappe sensoriali (che ricevono stimoli dall’ambiente: vista, udito ecc.), mappe motorie e aree del cervello non organizzate in mappe (ippocampo, gangli della base, cervelletto). Questi collegamenti formano una struttura dinamica, che varia nel tempo in base agli stimoli dell’ambiente, chiamata mappa globale.

Secondo Edelman dal legame tra la mappa globale e altre mappe (come quella della ricompensa o della memoria) site in aree specifiche del cervello (diencefalo, sistema limbico, aree mesencefaliche), derivano alcune forme di apprendimento, alla base della coscienza primaria (come l’uccellino citato nell’esempio che ha capito quando può esserci un pericolo).

Ripetendo fino allo sfinimento: “Questi collegamenti sono sempre influenzati dall’ambiente e dal comportamento rendendo in grado di mantenere le condizioni favorevoli alla vita, rispettando i bisogni omeostatici e appetitivi”.

Ma per avere una coscienza di ordine superiore, il cervello deve anche essere in grado di distinguere tra sé e il resto del mondo e ordinare eventi nel tempo. Per questo sono importanti anche i collegamenti tra le mappe prima dette e quelle responsabili della definizione del (amigdala, ippocampo, sistema limbico e ipotalamo) e del non sé (corteccia, talamo, cervelletto).

Visto che tutti questi processi dipendono dagli stimoli ricevuti dall’ambiente, è impossibile che ci siano due individui con le stesse identiche sinapsi. Viceversa, questo implica che ognuno di noi sperimenta uno stesso stimolo ambientale in modo diverso.

È come se, nonostante la realtà oggettiva sia una, ognuno di noi la vede con lenti diverse. La nostra visione sarà sempre influenzata dalla nostra esperienza. Per cui ognuno ha una coscienza diversa, ognuno ha un sé unico.

STOP!!! So che il vostro cervello sarà andato in fumo ma giuro che abbiamo finito.

Cosa c’entra la selezione naturale in tutto questo?

Prima abbiamo detto che nel bambino le sinapsi vengono formate, distrutte o modificate in base al loro utilizzo. Se ampliassimo questo ragionamento in termini evoluzionistici, cosa ne verrebbe fuori?

Immaginiamo un nostro lontano antenato intento a imparare come camminare su due zampe. Per farlo avrà bisogno di un notevole aiuto da parte del suo cervello, che dovrà funzionare diversamente rispetto ai suoi predecessori che camminavano su quattro zampe.

Sicuramente per camminare su due zampe dovrà essere in grado di mantenersi in equilibrio. Per farlo, nel suo cervello si saranno create comunicazioni tra le mappe coinvolte nel movimento e quelle vestibolari (coinvolte nell’equilibrio).

Ma non sono. Il nostro antenato avrà di certo bisogno di stabilizzare il proprio equilibrio grazie alla vista. Per cui anche le mappe coinvolte nella visione saranno integrate in questo circuito.

Quindi possiamo dire che, per permettere ai nostri antenati di camminare su due zampe, devono essersi formati nuovi collegamenti tra diverse mappe. Questi cambiamenti sono stati trasmetti via via alla progenie, permettendoci, nel tempo, di camminare in perfetta posizione eretta.

Secondo Edelman e Tononi, allo stesso modo si sono formate le mappe coinvolte nella coscienza. Però, la coscienza non si è evoluta direttamente perché migliorava la fitness. Essa si è evoluta per essere dedicata alle funzioni adattative, come l’apprendimento.

Di per sé, infatti, la coscienza non porterebbe vantaggi evolutivi se non fosse strettamente correlata all’apprendimento. A cosa servirebbe essere consapevoli che esistiamo se non usiamo questa informazione per sopravvivere?

Non ci credo nemmeno io ma siamo arrivati alla fine.

Conclusione

Ovviamente quella di Edelman e Tononi è solo un’ipotesi. In realtà non esistono prove per dimostrarne la sua veridicità o falsità, almeno attualmente.

Anche se sulla base di queste ipotesi, sono stati costruiti diversi robot. Nel ’92 è stato costruito un robot di nome NOMAD (Neurally Organized Multiply Adaptive Device) in grado di categorizzare diversi oggetti metallici sulla base di vari parametri e valori acquisiti con l’esperienza. Questo robot è in grado di misurare la conduttività elettrica di un oggetto e tramite essa (usando le informazioni apprese) risalire al colore.

In che modo questi robot possono provare l’ipotesi di Edelman e Tononi?

Purtroppo, non possono fare granché in termini pratici, sennò spiegare il legame tra categorizzazione primaria ed esperienza.

Siamo in grado di rispondere alle domande poste all’inizio di questo articolo? Nì. Possiamo di certo dire che siamo certi di esistere perché esistono aree del cervello deputate al darci questo “senso di esistenza”. Ci sono altre aree che ci permettono di separare il proprio io dagli altri (cosa succede se queste aree sono danneggiate lo vedremo nei prossimi articoli). Ma ci basta staccarci da queste definizioni più pratiche per cadere trappola della filosofia e gridare un bel “Non so se esisto! Io non sono io!”

Ma come fare per studiare in modo più pratico cos’è la coscienza?

Quello che spesso facciamo in neurologia è osservare cosa succede in un paziente con specifiche aree del cervello danneggiate. Grazie a questo, osservando quali funzioni nel paziente mancano, siamo in grado di capire l’importanza di una specifica area.

Ed è proprio quello che faremo nei prossimi articoli. Vedremo qualcosa di più pratico e meno teorico sulla coscienza. Informazioni che potranno permetterci di conoscere meglio il sé.

Seppure ingarbugliato in qualche filo di tessuto di esistenza, sono certo che esiste una risposta alla domanda “Cos’è la coscienza?”

Serie “Io non sono io”

Fonti

[1] Ramachandran, S.V. (2013). L’ uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul mistero della natura umana. Mondadori.

[2] Edelman, G. M., & Tononi, G. (2000). A universe of consciousness: How matter becomes imagination. Ingram Publisher Services, US.

[3] Edelman, Gerald M. (1993). Sulla materia della mente. Adelphi.

[4] Edelman, Gerald M. (1995). Darwinismo neurale: la teoria della selezione dei gruppi neuronali. Einaudi.

[5] Edelman, G. M., Gall, W. E., Cowan, W. M., & Cowan, W. M. (1984). Dynamic aspects of neocortical function. Wiley-Interscience.

[6] Crick, F. (1989). Neural edelmanism. Trends in Neurosciences12(7), 240-248. DOI: 10.1016/0166-2236(89)90019-2

Tommaso Magnifico

Sono Tommaso Magnifico, studente di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Bari e Socio Mensa (The high IQ society). Scrivo articoli specialmente riguardati la medicina in tutte le sue sfaccettature: dal pronto intervento alla psicologia. Potere alla scienza!!!

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