“Io non sono io”: autismo e neuroni specchio

Abbiamo lasciato l’ultimo articolo (clicca qui per leggerlo) con un grande punto interrogativo:

“Cosa succede quando i neuroni specchio sono danneggiati?”.

Abbiamo anche accennato all’autismo. Quale strana relazione esiste tra i neuroni specchio e l’autismo?

Se avete compreso il ruolo di questi particolari neuroni, ora saprete che sono fondamentali per provare empatia e per la teoria della mente.

Alcuni studi hanno dimostrato che una delle cause dell’autismo potrebbe essere il danno dei neuroni specchio.

Questo vuole dire che le persone con autismo non hanno empatia e teoria della mente?

In realtà le cose non sono così tanto semplici.

Innanzitutto, è fondamentale precisare che, a differenza di come forse moltɜ di voi potranno pensare, l’autismo non è una malattia ma semplicemente un modo diverso in cui funziona il cervello (definito neurodiversità).

In questo articolo utilizzerò la parola “sintomi” dell’autismo per semplicità e praticità medica. Tenete a mente però che non si tratta di veri e proprio sintomi ma più di caratteristiche tipiche di persone neurodivergenti.

Il cervello delle persone con autismo funziona in modo diverso dalle persone neurotipiche, ma non per questo sono meno intelligenti. Anzi, molto spesso si tratta di persone con una spiccata intelligenza.

Solo una piccola percentuale di persone con questa neurodiversità hanno un QI più basso della media e vengono definite persone con autismo a basso funzionamento.

Ma quali sono le caratteristiche dell’autismo?

Possiamo dividere le caratteristiche in due categorie principali: quelle socio-cognitive e quelle sensorio-motorie.

Queste caratteristiche sono molto variabili sia quantitativamente che qualitativamente. Per cui non tutte le persone hanno gli stessi sintomi e della stessa entità. Tant’è che spesso si parla di spettro autistico per indicare l’elevata variabilità di questi individui, comprendendo il personale quadro sintomatologico.

Spettro autistico
In immagine sono descritte le diverse caratteristiche dell’autismo. Ogni persona avrà uno spettro diverso con specifiche caratteristiche e livelli di presentazione. © Fonte

Tra le caratteristiche socio-cognitive troviamo il sintomo diagnostico più importante: la solitudine mentale e la mancanza di contatto con il mondo, in particolare sociale, nonché la difficoltà di impegnarsi in conversazioni normali.

Si accompagna a ciò un’assenza di empatia emotiva e l’assenza del senso del gioco. Infatti i bambini autistici hanno spesso interessi particolari e non si impegnano nei giochi con cui tutti gli altri bambini riempiono le loro ore di veglia.

Inoltre, i bambini autistici hanno un particolare interesse verso il mondo inanimato, che spesso porta all’emergere di interessi particolari, come memorizzare tutti i numeri dell’elenco telefonico.

Veniamo adesso alla seconda categoria di sintomi, quelli sensorio-motori. I bambini autistici possono trovare fastidiosi stimoli sensoriali specifici, come particolari suoni o sensazioni tattili. Certi suoni possono addirittura scatenare reazioni di rabbia.

Inoltre hanno anche paura della novità e del cambiamento, cosa che li porta ad essere ossessionati dal tran-tran e dalla routine.

Parlando delle caratteristiche motorie, i bambini autistici non stanno mai fermi. Si dondolano spesso su una sedia avanti e indietro ed effettuano movimenti stereotipati con le mani (chiamati stimming) per scaricare la tensione.

Un’altra fondamentale caratteristica motoria è la difficoltà a mimare e imitare le azioni delle altre persone. Ed è proprio da qui che si può partire e collegare l’autismo ai neuroni specchio.

Puntualizzo, per l’ennesima volta perché ne sono davvero ossessionato, che i sintomi detti non sono sempre presenti e spesso molto variabili da persona a persona.

Per di più, con l’avanzare dell’età, spesso alcuni aspetti vengono mascherati.

Teoria della mente e autismo

Nello scorso articolo abbiamo definito la teoria della mente. Abbiamo detto che non è una vera e propria teoria, nel senso scientifico. Infatti, non indica un sistema concettuale di affermazioni e predizioni, ma è una facoltà mentale innata e intuitiva. Essa ci permette di attribuire una mente pensante al prossimo, ovvero di capire che lɜ altrɜ si comportano in un determinato modo perché hanno pensieri, idee e emozioni simili alle nostre.

La maggior parte delle persone non comprende che cosa complessa sia possedere una teoria della mente. Lo si considera un fenomeno semplice e naturale, un po’ come il meccanismo della visione che abbiamo trattato in questi articoli (articolo 1articolo 2).

La capacità di avere una teoria della mente non si basa sulla nostra intelligenza razionale (che si usa per ragionare, dedurre cose e così via). Essa si basa su meccanismi mentali che si sono evoluti per dotarci di un’intelligenza non meno importante, l’intelligenza sociale.

Già dagli anni Settanta David Premack e Nick Humphrey ipotizzarono l’esistenza di circuiti specializzati per la cognizione sociale.

Da qui nasce l’intuizione di Uta Frith riguardo al legame tra autismo e teoria della mente. Uta Frith ipotizzava come i gravi deficit dei bambini autistici derivavano da una compromissione dei circuiti della teoria della mente.

Ma come confermare questa ipotesi?

Un viaggio nel cervello dei pazienti autistici

Autistic brain
Risonanza magnetica cerebrale che mostra le modficihe tipiche dell’autismo. Si possono osservare: allargamento dei ventricoli lateriali (specialmente del sinistro (destro in figura) con consequenziale riduzione della sostanza bianca e l’assottigliamento del corpo calloso. Inoltre, si potrebbero osservare alterazioni cerebellari (non visibili in questa immagine). © Fonte

Il cervello dei bambini autistici è molto particolare perché è più grande del normale, con ventricoli allargati e diversità a livello del cervelletto.

Ma questo non basta a spiegare l’autismo. Anche perché i sintomi tipici di pazienti con danni al cervelletto (nistagmo, tremore intenzionale, atassia) non si osservano mai in pazienti autistici.

Quindi forse queste anomalie sono la conseguenza indiretta di altro? Ma di cosa? Forse di un’anomalia dei neuroni specchio?

Se mettessimo a confronto le funzioni dei neuroni specchio e le caratteristiche dell’autismo vedremmo una certa analogia. Infatti, i neuroni specchio sono fondamentali per l’empatia, l’interpretazione delle emozioni, l’imitazione, il gioco di finzione e l’apprendimento del linguaggio. Tutti aspetti disfunzionali nell’autismo.

Ma come fare per spiegare questa correlazione?

Possiamo usare l’onda “mu”.

L’onda “mu” non è il verso che fa il nostro cervello quando pensiamo alle mucche. Essa è un’onda cerebrale (che può essere rilevata con diverse tecniche: EEG, MEG, SMT) sempre presente, ma che sparisce ogni volta che si compie un movimento volontario. Anche un semplice aprire e chiudere le dita fa sparire quest’onda “mu”.

Mi piace pensare al cervello come una mucca pazza che dice sempre “muuuuu” tranne che quando si muove.

L’aspetto particolare di quest’onda è che sparisce anche quando si guarda qualcun altro eseguire un movimento. Ed è proprio qui che entrano in gioco in neuroni specchio. Infatti, sembrerebbe che siano proprio loro a controllare quest’onda mu.

Quindi se vediamo qualcuno muoversi, i nostri neuroni specchio sopprimono l’onda mu.

Perché non usare quest’onda per vedere se effettivamente le persone autistiche hanno un danno dei neuroni specchio?

Ed è proprio quello che alcune ricerche hanno fatto e, sorpresa sorpresa, sono arrivate a un risultato interessante.

Studiando l’onda mu nelle persone autistiche si è visto che essa effettivamente sparisce quando loro si muovono, ma resta attiva quando vedono qualcun*altrə muoversi. Proprio come avevamo ipotizzato prima.

Non fermiamoci però alla prima conferma, esiste infatti un altro metodo per verificare la nostra ipotesi.

Normalmente quando guardiamo qualcunə effettuare un movimento, come prendere una pallina da tennis in mano, anche i muscoli della nostra mano registrano un piccolo aumento del “chiacchierio” elettrico.

Anche se non siamo noi a stringere la palla, il mero atto di guardare l’azione produce un piccolo aumento della prontezza a contrarsi dei muscoli interessati. È come se il nostro sistema motorio simulasse l’azione osservata.

Questo fenomeno, però, non accade nelle persone autistiche dandoci l’ennesima riprova della nostra ipotesi.

Neuroni specchio e autismo

Alcuni sintomi dell’autismo sono facilmente spiegabili relazionandoli alla funzione dei neuroni specchio.

Uso delle metafore

Una delle difficoltà delle persone autistiche è nell’uso delle metafore. Se chiedessimo ad una persona autistica il significato di: “Non è tutto ora quello che luccica”, alcuni ci risponderebbero: “Significa che un metallo giallo non sempre è oro”.

Benché questa difficoltà non è presente in tutte le persone autistiche, necessita di una spiegazione. Per farlo dobbiamo infastidire una branca delle scienze cognitive: la cognizione incarnata.

Essa sostiene che il pensiero umano è profondamente forgiato dalla sua interconnessione con il corpo e dalla natura intrinseca dei processi sensoriali e motori. CHE???

Spieghiamoci facilmente citando il risultato di un famoso esperimento:

Quando mordiamo una matita facciamo fatica a individuare il sorriso di qualcun altro. Infatti mordere la matita attiva molti degli stessi muscoli che sono coinvolti nel sorriso vero. Questo produce una forte attivazione dei neuroni specchio creando confusione tra azione e percezione.

Infatti ricordiamo che gli stessi neuroni specchio si attivano sia quando sorridiamo noi, sia quando vediamo qualcuno sorridere. Quindi il movimento di falso sorriso (mentre mordiamo la matita) non fa che confondere i neuroni specchio impedendoci di riconoscere il sorriso altrui.

Ebbene che c’entra tutto questo con l’autismo e la metafora?

Ora ci arriviamo, ma prima un ennesimo excursus. Nel cervello esiste un’area molto importante che contiene neuroni specchio chiamata: giro sopramarginale. Quando esso è danneggiato si ha una patologia chiamata aprassia che consiste nell’incapacità di eseguire compiti motori intenzionali appresi in precedenza.

Studiando pazienti aprassici è visto come anch’essi sono incapaci di comprendere le metafore. Questo evidenzia quindi il forte collegamento tra i neuroni specchio e la comprensione delle metafore spiegando definitivamente il sintomo presente nelle persone autistiche.

Difficoltà del linguaggio

Come abbiamo già detto nello scorso articolo, il bambino impara molto dall’imitazione durante la fase di crescita. Una delle cose più importanti dell’età infantile è sicuramente la comprensione del linguaggio.

Ovviamente anche qui i neuroni specchio ci calzano a pennello. Infatti essi entrano sicuramente in azione quando un bambino ripete per la prima volta una parola o un suono che ha appena udito.

Ci sono due modi in cui un sistema del genere potrebbe funzionare. Il primo è che, appena il bambino sente la parola la immagazzina nella memoria e prova a ripeterla. Magari inizialmente sbaglierà, ma a poco a poco perfezionerà la risposta in modo tale che sia simile alla traccia mnestica.

La seconda ipotesi è che le reti neurali per tradurre i suoni uditi in parole espresse siano innate e specificate dalla selezione naturale.

Indipendentemente da come questo meccanismo potrebbe essersi instaurato, un difetto della sua configurazione iniziale può provocare il deficit del linguaggio che si osserva nell’autismo.

Difetto di autorappresentazione

La teoria della mente non serve solo a intuire cosa pensano gli altri. Infatti essa accresce notevolmente anche la comprensione della propria mente.

Se il sistema dei neuroni specchio presuppone una teoria della mente e se quest’ultima può applicarsi al sé, si capisce il perché i bambini autistici stentino ad avere interazioni sociali ma hanno una forte autoidentificazione. Inoltre fanno anche fatica ad utilizzare correttamente i pronomi “io” e “tu”. Probabilmente perché non hanno un’autorappresentazione mentale abbastanza matura per cogliere la differenza.

Se tale ipotesi fosse vera, anche i bambini autistici ad alto funzionamento (quindi con alte funzioni verbali) faticherebbero a fare distinzioni concettuali tra parole come “autostima”, “pietà”, “imbarazzo”, “compassione”…

Tali previsioni non sono mai state confermate, ma nei prossimi articoli torneremo sul problema dell’autorappresentazione.

Stimming e ipersensibilità

Come abbiamo accennato prima, lo “Stimming” è la ripetizione di movimenti, suoni, parole stereotipate spesso presenti nelle persone autistiche.

Inoltre anche l’ipersensibilità ad alcuni stimoli (tattici o uditivi) e l’indifferenza per le cose comuni è una caratteristica tipica dell’autismo.

È possibile spiegare questi sintomi con i neuroni specchio?

Facciamo un passo indietro e ritorniamo agli articoli sul meccanismo della visione. Abbiamo detto che le informazioni visive passano dalle due vie del “cosa” alle aree sensoriali del cervello e poi trasmesse all’amigdala.

L’amigdala ha il ruolo fondamentale di discriminare cosa è importante della scena osservata e crea un “paesaggio di rilevanza” del nostro mondo, con colline e valli corrispondenti all’importanza grande o piccola di quanto viene percepito.

A volte è possibile che questo circuito vada in tilt e che anche le informazioni meno rilevanti vengano percepite come cruciali.

La risposta autonoma a qualcosa di eccitante si manifesta con l’aumento della sudorazione, della frequenza cardiaca, della prontezza muscolare e così via, tutte cose che preparano il corpo all’azione.

Nei casi estremi l’ondata di eccitazione si riverbera nel cervello e spinge l’amigdala a dire: “Ehi, è ancora più pericoloso di quanto pensassi. Sarà necessaria più eccitazione per uscire da questa situazione!”.

Il risultato è una guerra lampo del sistema nervoso autonomo che può portare anche ad attacchi di panico.

Tenendo presente tutto questo, Ramachandran e colleghi hanno ipotizzato che nelle persone autistiche i problemi prima elencati potrebbero essere dovuti a connessioni rafforzate (o ridotte) tra le aree sensoriali e l’amigdala (e forse anche tra le strutture limbiche e i lobi frontali).

A causa di tali connessioni anomale, ogni minimo evento o oggetto potrebbe scatenare un’incontrollabile tempesta del sistema nervoso autonomo, che potrebbe spiegare il motivo per cui gli autistici preferiscono il tran tran e la routine.

Se invece l’eccitazione emotiva fosse stata meno marcata, i soggetti autistici avrebbero magari attribuito un significato eccessivo a stimoli insoliti, il che avrebbe spiegato i loro particolari interessi.

Viceversa, se alcune delle connessioni fossero state parzialmente cancellate i soggetti avrebbero ignorato cose che la maggior parte dei bambini neurotipici trova molto interessante.

Ricordiamo inoltre, come detto negli articoli citati, che le informazioni visive passano anche per la via 3 (via emozionale). Essa non solo proietta a livello dell’amigdala, ma attraversa la scissura temporale superiore, un’area piena di neuroni specchio. Il che spiegherebbe la stretta relazione tra questi aspetti e la teoria della mente.

Inoltre, questa teoria potrebbe spiegare perché alcuni di questi aspetti tipici dell’autismo scompaiono temporaneamente durante un attacco di febbre alta. Infatti, la febbre è causata da sostanze pirogene che agiscono proprio a livello dell’ipotalamo che fa parte della via 3.

Questa è una spiegazione del tutto ipotetica, ma è meglio di niente e, se risultasse veritiera, aprirebbe la base per un intervento terapeutico. Infatti si potrebbe trovare il modo di attenuare artificialmente e senza rischi il circuito di feedback dei segnali nervosi. Per esempio, si potrebbe provocare un attacco febbrile senza pericoli iniettando parassiti della malaria denaturati in modo periodico. In questo modo, ripetute iniezioni, aiuterebbero a resettare il circuito e alleviare i sintomi per sempre.

Altre cause dell’autismo?

È ben documentato che ci sono predisposizioni genetiche associate all’autismo.

Meno noto è il fatto che circa un terzo dei bambini autistici ha sofferto di crisi epilettiche del lobo temporale durante l’infanzia.

Nell’adulto l’epilessia del lobo temporale si manifesta con disturbi emozionali conclamati (come allucinazioni visive o uditive). Ma nell’adulto il cervello è maturo, per cui l’epilessia non conduce a distorsioni cognitive profonde.

Meno noti sono invece gli effetti dell’epilessia in un cervello in via di sviluppo. Quello che sappiamo è che se si verificano spesso attacchi epilettici potrebbero portare ad un processo chiamato “kindling” (o stimolazione ricorrente). Esso corrisponde ad un rafforzamento selettivo dei circuiti che collegano l’amigdala e le cortecce visiva, uditiva e somatosensoriali superiori.

Tale fenomeno spiegherebbe la teoria spiegata pocanzi basata sulle vie della visione.

Conclusione

In conclusione, la sensazione di essere un sé unico, integrato e incarnato pare dipendere da una riverberazione, simile all’eco, tra il cervello e il resto del corpo e, grazie all’empatia, tra il sé e gli altri.

La perdita del proprio paesaggio di rilevanza potrebbe provocare un’inquietante perdita del senso d’identità corporea che, normalmente, ci permette di sentirci un sé distinto e autonomo, ancorato ad un corpo e inserito in una società.

L’autismo ricorda che il senso esclusivamente umano del sé non è una chimera, senza dimore né nome.

Nonostante la tendenza ad affermare la sua riservatezza e la sua indipendenza, il sé emerge da interazioni reciproche con gli altri. Quando ci si allontana dalla società e il sé si ritira nel suo stesso corpo, quasi cessa di esistere.

Insomma, in fine dei conti l’autismo potrebbe essere anche considerato un disturbo dell’autocoscienza argomento che tratteremo nel prossimo articolo.

Fonti

[1] DSM5- Diagnostic and statistical manual of mental disorders – Fifth Edition – American psychiatric association

[2] /(PDF) The Social Function of Intellect (researchgate.net))

[3] Frith, U. (2009). L’ autismo. Spiegazione di un enigma. Laterza Editore

[4] Face to face: blocking facial mimicry can selectively impair recognition of emotional expressions – PubMed (nih.gov)

[5]  Autonomic responses of autistic children to people and objects – PubMed (nih.gov)

Articoli della rubrica “Io non sono io”

E vi lasciamo anche due articoli altamente correllati:

Tommaso Magnifico

Sono Tommaso Magnifico, studente di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Bari e Socio Mensa (The high IQ society). Scrivo articoli specialmente riguardati la medicina in tutte le sue sfaccettature: dal pronto intervento alla psicologia. Potere alla scienza!!!

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