“Io non esisto”
Noi sappiamo di esistere. Per esempio, tu stai leggendo questo articolo, quindi è sicuro che esisti.
Ma se fossi incapace di interagire con le altre persone come faresti a sapere di esistere? Perché in realtà pare che ci definiamo solo attraverso il rapporto con lɜ altrɜ.
Certo. Iniziare un articolo così è già da mal di testa. Ma quale modo migliore di chiudere questa rubrica se non con altri punti interrogativi.
Si, lo so. Io vi ho promesso risposte nel primo articolo. Ma ad alcune domande non esistono vere e proprie risposte e si può giungere alla conclusione solo in autonomia.
Per comprendere meglio la coscienza ci mancano solo due aspetti, forse quelli più complicati: non abbiamo ancora parlato né dell’autocoscienza, né della continuità. Facciamolo!
Articoli della rubrica “Io non sono io”
- Io non sono io, parte 1: Cos’è la coscienza?
- Io non sono io, parte 2: Gli aspetti del sé
- Io non sono io, parte 3: Non è il mio corpo
- Io non sono io, parte 4: io sono un’altra persona
- Io non sono io, parte 5: autismo e neuroni a specchio
- (questo articolo) Io non sono io, parte 6: io non esisto
Autocoscienza
Nei precedenti articoli ho detto che un sé che non è conscio di sé stesso è un ossimoro. Noi sperimentiamo emozioni, sensazioni o più in generale qualia, quindi siamo coscienti di essere.
Ci sono tuttavia pazienti con gravi disturbi dell’autocoscienza che arrivano addirittura a credere di essere morti. Spesso si tratta di casi kafkiani veri e propri.
Sindrome di Cotard
Facciamo finta di essere uno psichiatra. Siamo seduti sulla nostra comoda poltrona mentre nella stanza entra un paziente, un uomo sulla trentina. Lo salutiamo e gli chiediamo: “Che ci fai qui?”.
Lui resta in silenzio, fissandoci. Dopo qualche minuto ci dice: “Non si può fare molto per aiutarmi: sono morto. A volte mi sento un fantasma che esiste in un altro mondo”.
Gli facciamo altre domande: “Dove vive? Cosa fa nella vita? Come si chiamano i tuoi famigliari?”.
Lui ci risponde a tutte le domande, in modo intelligente e deciso. Appuriamo quindi che non si tratta di un paziente schizofrenico e che quindi quello che ci riferisce è davvero sentito, è reale.
Cosa sta succedendo a questo paziente? Sarebbe troppo facile rispondere che il paziente è depresso e archiviare il caso.
Ci sarà sicuramente qualcos’altro. Ma cosa?
Forse il paziente ha la sindrome di Cotard, una patologia che seppure può associarsi alla depressione sembra avere una causa ben diversa.
La causa sembrerebbe essere la crisi epilettica complessa, ovvero la presenza di scariche elettriche che colpiscono soprattutto i lobi temporali causando annebbiamento di coscienza e variazioni emotive.
Ma in che modo delle crisi epilettiche possono causare questa sindrome?
Nello scorso articolo siamo andati a pescare delle nozioni presenti su un altro vecchio articolo che parlava del meccanismo della visione e delle relative vie.
Abbiamo detto che la via del “cosa” è fondamentale per riconoscere le intenzioni e che la via “emozionale”, insieme all’insula, presiede all’empatia emotiva. Inoltre, abbiamo aggiunto che queste vie nervose sono piene di neuroni specchio e sono coinvolte nella teoria della mente.
Ma la teoria della mente non ci permette soltanto di elaborare un modello comportamentale altrui, ma è in grado anche di rivolgersi verso l’interno per analizzare i propri stati mentali. Quindi sarà fondamentale anche nell’autocoscienza.
Torniamo al nostro paziente.
Probabilmente l’uomo aveva una lesione di entrambe le vie (sia quella del cosa sia quella emozionale). Questa situazione comporta una perdita completa dell’intero mondo sensoriale, portando alla perdita totale di emozioni e sensazioni.
Questa sindrome ci ricorda un po’ la sindrome di Capgras che abbiamo trattato nell’articolo citato precedentemente. Nella sindrome di Capgras, però, c’è solo un danno della via emozionale e il paziente perde le emozioni relative solo al riconoscimento del volto.
Nella sindrome di Cotard, oltre che a una totale perdita di emozioni, si aggiunge anche un malfunzionamento delle connessioni tra i neuroni specchio e i lobi frontali. Ricordiamo che i lobi frontali contengono neuroni in grado di inibire i neuroni specchio prevenendo l’iperempatia. Se queste connessioni venissero danneggiate si avrebbe come risultato un totale annullamento del proprio senso d’identità.
Per di più, questo paziente con la sindrome di Cotard ha perso completamente interesse per l’arte in tutte le sue forme. Viene palese pensare come una persona che perde la capacità di provare emozioni e perde il senso del sé si senta morta.
Ma non solo. Avendo perso il senso del sé, questo paziente è anche insensibili al dolore. O meglio, lo percepisce, ma non vi associa angoscia. Anzi, spesso se lo procura volontariamente per sentirsi più vivo.
Tutta questo discorso correla bene anche con un’altra scoperta paradossale: alcunɜ pazienti gravemente depressɜ sottoposti a una cura a base di antidepressivi tendono a suicidarsi nel primo periodo.
È lecito ipotizzare che il suicidio nella sindrome di Cotard sia ridondante. Come può uccidersi una persona che già si sente morta?
Il problema è proprio questo. Nel momento in cui questɜ pazienti assumono antidepressivi, acquisiscono abbastanza autocoscienza da giudicare la vita e il mondo privi di significato. L’unica via di scampo, dopo una simile constatazione, spesso è il suicidio.
Quindi è sicuramente di fondamentale importanza seguire attentamente questɜ pazienti nella prima fase di cura.
“Sono dio”
Cosa accadrebbe se invece di avere un ipofunzionamento della via emozionale avessimo una sua straordinaria iperattivazione?
Abbiamo già parlato del kindling (stimolazione ricorrente) nello scorso articolo, descrivendolo come un rafforzamento di connessioni tra neuroni.
Se avessimo un kindling della via emozionale cosa succederebbe?
Il risultato sarebbe un aumento estremo dell’empatia. L’universo e tutto quanto si riempirebbe di significato peggio di quando ho provato l’ayahuasca.
In effetti lɜ pazienti che soffrono di epilessia parziale del lobo temporale riferiscono proprio di sperimentare queste emozioni.
Immaginiamo di aggiungere, anche qui, una lesione dei neuroni presenti nei lobi frontali che normalmente inibiscono i neuroni specchio (prevenendo l’iperempatia). Il risultato sarebbe un secondo e ancor più profondo senso di comunione con l’intero universo, sentendosi come Dio.
Attacchi di panico
Se la sindrome di Cotard e la “comunione con Dio” ci sembrano troppo lontani, ecco un argomento che molto probabilmente sentiamo vicino: gli attacchi di panico.
Avete mai avuto una sensazione di morte incombente? Se sì, saprete benissimo a cosa mi riferisco.
Gli attacchi di pane, definiti da Ippolito Germer (personaggio di fantasia di Maccio Capatonda), sono ben descritti in questo video:
DANNATA VENA IRONICA!
Torno serio. Gli attacchi di panico sono una sorta di sindrome di Cotard passeggera, che di solito durano un minuto. Si manifestano con palpitazioni, sudorazione e senso di assoluta impotenza.
Una possibile origine degli attacchi di panico potrebbero essere brevi crisi epilettiche della via emozionale che potrebbero scaturire l’attivazione del sistema nerovoso autonomo e una potente reazione “combatti o fuggi”.
Ma non essendoci un reale pericolo, il cervello avverte la discrepanza. Come ben sappiamo dagli scorsi articoli, il nostro cervello odia le discrepanze, quindi pensa che se c’è davvero qualcosa che non va allora è dentro di noi. Ed ecco come potrebbe nasce la sensazione di morte imminente.
Se questa ipotesi fosse corretta, sarebbe possibile prevenire gli attacchi di panico sfruttando il fatto che spesso si ha sentore dell’attacco pochi istanti prima. Potremmo quindi, quando sentiamo che sta arrivando l’attacco di panico, esteriorizzare il pericolo (ad esempio vedendo una scena horror).
In questo modo, il cervello riuscirebbe a rilevare la presenza di un reale pericolo, evitando la discrepanza e quindi evitando che il cervello ci dica che stiamo per morire.
Continuità
Noi siamo quello che siamo grazie alla nostra esperienza, al nostro vissuto e ai nostri ricordi. Cosa succederebbe se questi ultimi fossero alterati?
Prima di saperlo, facciamo un brevissimo excursus sulla memoria.
Memoria
È possibile distinguere la memoria in tre tipi, ognuno con un proprio circuito neuronale.
La memoria procedurale è quella che ci rende capaci di acquisire nuove competenze, come andare sullo skateboard o fare le capriole mentre si sorseggia un buon whiskey.
Tali ricordi sono richiamati all’istante appeno lo richiedono le circostanze e non richiedono nessuna reminiscenza conscia. Una volta che impariamo a fare le capriole mentre sorseggiamo il whiskey sapremo farlo sempre, tasso alcolemico permettendo, e senza ricordarci passo per passo come fare.
Il secondo tipo di memoria è quella semantica. Essa contiene i ricordi, la conoscenza fattuale degli oggetti e degli eventi del mondo.
Il terzo tipo è la memoria episodica, ovvero la memoria di eventi specifici. Grazie a essa ci ricordiamo la prima volta che abbiamo pestato un bel escremento di cane davanti a tutti i passanti o la prima volta che abbiamo preso palo. DANNATA MEMORIA EPISODICA!
La differenza sostanziale tra la memoria semantica e quella episodica è che la prima riguarda “il sapere”, la seconda “il ricordare”. È un po’ come se la memoria semantica fosse un dizionario che ci permette di conoscere determinate cose o circostanze. Mentre la memoria episodica è come un diario che ci permette di annotare tutte le nostre brutte e belle figure.
Ma la memoria episodica ha qualcosa di fantastico. Essa ci permette davvero di viaggiare nel tempo. Infatti, ci rende possibile sperimentare tutte le emozioni associate a un specifico ricordo, talvolta con un forte senso di nostalgia, e ci permette anche di viaggiare avanti nel tempo, immaginandoci in delle specifiche situazioni.
Per cui, la memoria episodica è strettamente legata al senso del sé e ci definisce come individui.
Ora torniamo ai nostri strani casi.
Dannata memoria
Molto comuni, specialmente nei film, sono i casi di pazienti con amnesia retrograda, ad esempio dopo un trauma cranico. Ovvero persone che non sono in grado di ricordare episodi specifici avvenuti nelle settimane o nei mesi prima dell’incidente. Nonostante questo la loro intelligenza è intatta, sono in grado di riconoscere le persone e capaci di acquisire nuovi ricordi episodici.
Molto più rari sono invece i casi di pazienti che non possiedono alcun tipo di memoria episodica, né dell’infanzia né del passato recente. Non sono nemmeno in grado di acquisire nuovi ricordi episodici. Mentre la loro memoria semantica rimane intatta.
Immaginate di immedesimarvi in queste persone. Non sapete nulla di voi, di quello che eravate e di quello che è successo qualche secondo prima. Eppure ragionate perfettamente. Tutto vi sembra strano, ma non nuovo perché avete ancora il dizionario della memoria semantica.
In che condizioni potrebbe essere il vostro senso del sé? Sareste ancora voi stessɜ?
In realtà si, almeno in buona parte. Infatti, avreste ancora tutti gli altri sei aspetti del sé intatti.
Possiamo immaginare i diversi attributi del sé come delle frecce che indicano un punto immaginario, il “centro di gravità mentale” del sé. Perdere una qualsiasi freccia non distrugge il senso del sé, ma lo impoverisce.
Ma parliamo di un altro strano caso. Cosa succederebbe se non foste più in grado di acquisire nuovi ricordi? Si parla di amnesia anterograda, ovvero pazienti a cui sembra tutto nuovo nonostante la stessa cosa sia accaduta pochi secondi prima. Nonostante questo, hanno una memoria del passato intatta e ricordano tutto di chi erano. Ma sono bloccati lì, nel passato, per sempre. Senza la minima possibilità di vivere il presente.
Un po’ come il caso clinico della sindrome di Korsakoff.
E cosa succederebbe se qualcuno perdesse sia la memoria episodica che la memoria semantica?
Non avrebbe né la conoscenza fattuale del mondo né ricordi episodici di una vita. Fortunatamente non esiste nessun caso clinico riportato di questa alienante condizione. Tra l’altro non avendo né ricordi fattuali né ricordi episodici non sarebbe nemmeno in grado di parlarci e né tantomeno di comprendere la parola “io”.
Conclusione
Non ci posso credere nemmeno io. Siamo arrivati alla fine della rubrica sulla coscienza: “Io non sono io”.
Il mio obiettivo di questo articolo non era spiegarvi cos’è la coscienza (a differenza di quanto scritto all’inizio). Non lo sappiamo ancora, né tutte le persone coinvolte nelle fonti usate, né tanto meno io.
Ma leggendo queste teorie e questi casi clinici reali abbiamo capito che la neurologia può aiutarci a rispondere a quesiti che, anche se restano tutt’oggi ancora aperti, appaiono sempre più chiari.
Lo scopo occulto di questi articoli era in realtà disgregare il vostro “io”, farvi arrivare alla fine e indurvi a chiedervi: “Io sono io?”.
Spero di avervi indotto a una riflessione più ampia, a interrogarvi su voi stessɜ, a chiedervi chi davvero volete essere!
Fonti
[1] Ramachandran, S.V. (2013). L’ uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul mistero della natura umana. Mondadori.
[2] Jules Cotard (1840-1889): his life and the unique syndrome which bears his name – PubMed (nih.gov)
Sono Tommaso Magnifico, studente di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Bari e Socio Mensa (The high IQ society).
Scrivo articoli specialmente riguardati la medicina in tutte le sue sfaccettature: dal pronto intervento alla psicologia.
Potere alla scienza!!!