L’intelligenza dipende dal nostro DNA?
Il tema che vorremmo trattare oggi è se esiste il gene dell’intelligenza e se siamo intelligenti in maniera predeterminata. Qualora esistessero dei geni dell’intelligenza, sarebbe possibile sapere se un bambino sia intelligente prima ancora che nasca?
Saprete rispondere a questa domanda alla fine di questo articolo, che vi arricchirà con tutta una serie di aneddoti simpatici non richiesti!
Partiamo con uno studio scientifico…
Baseremo la nostra conversazione su un articolo pubblicato a Maggio 2017 su Nature Genetics dal titolo “GWA meta analisi di 78308 individui identifica nuovi loci e geni che influiscono sull’intelligenza umana”.
Prima di addentrarci nei risultati, credo sia interessante capire la procedura utilizzata poiché con la stessa metodologia è stata scoperta la funzione di moltissimi geni diversi.
Quindi il primo concetto che ci serve capire è: come fare a far entrare 78000 persone in una stanza? Difficile. Quindi eliminiamo la parte fisica e teniamo solo il genoma di tutta questa gente. Ma è davvero necessario avere l’intero genoma?
Dobbiamo tenere presente che io e te, due persone a caso, abbiamo il 99.9% del nostro materiale genetico identico. Quindi cercare differenze in ciò che è uguale non ha molto senso. Inoltre, se sequenziassi il genoma di una persona otterrei un file contenente 3 miliardi di basi. Capite bene che 78 mila files di diversi gigabyte di dimensione diventano complicati da gestire, anche per un super computer. Ma se siamo uguali al 99.9%, vuol dire che abbiamo 0.1% di differenze, che su 3 miliardi di basi fanno circa 3 milioni di basi potenzialmente differenti.
In genere si sequenzia una piccola percentuale di genoma e la si confronta con un genoma umano standard, detto reference (si legge referens), e ci si annota le differenze. Questo processo si ripete per tutti gli individui dello studio, finendo con 78 mila profili di basi diverse che ogni individuo ha rispetto al reference. Tali basi vengono chiamate SNP, acronimo che parafrasando significa “singole basi differenti”. Possiamo intendere questi file come il profilo genetico di quelle persone, come se fosse un codice fiscale lunghissimo costituito dalle lettere ATGC.
Angolo delle curiosità #1
A chi appartiene il genoma umano usato come reference?
Il genoma di riferimento umano GRCh38, uno dei più utilizzati nella ricerca, è stato rilasciato dal Genome Reference Consortium il 17 dicembre 2013. Esso deriva da volontari anonimi di Buffalo, New York. I donatori sono stati reclutati mediante pubblicità su The Buffalo News, domenica 23 marzo 1997. I primi dieci volontari maschi e dieci femmine sono stati invitati a fissare un appuntamento con i consulenti genetici del progetto e donare il sangue da cui è stato estratto il DNA. Come risultato dell’elaborazione dei campioni di DNA, circa l’80% del genoma di riferimento proveniva da otto persone di cui il 66% da un maschio, indicato dal RP11.
La misura dell’intelligenza
Ok, torniamo a noi, abbiamo i profili genetici di ogni individuo. Ora dobbiamo raccogliere informazioni sul tratto oggetto dell’indagine: l’intelligenza. Questa questione apre un dibattito infinito che io personalmente non sono in grado di affrontare. La misura del quoziente intellettivo (QI) è molto criticata e l’intelligenza, di per sé, è un concetto la cui definizione è abbastanza nuvolosa. Non parliamo infatti di altezza o di massa corporea, caratteristiche quantificabili con delle misure universalmente accettate (tranne dagli americani, quelle merde).
Inoltre il campione in esame, ossia le 78 mila persone, è molto eterogeneo poiché include bambini, adulti e anziani. Va da sé che la misura dell’intelligenza debba essere fatta in maniera consona e differente a seconda dell’età.
Angolo delle curiosità #2
Gran parte dei dati non sono stati misurati direttamente ma derivano da database di altre ricerche o statistiche nazionali. Per esempio, dati su circa 1500 bambini derivano dallo Scottish Mental Survey del 1947. Il sondaggio mirava a testare l’intelligenza di tutti i bambini nati nel 1936 e che frequentavano le scuole scozzesi il 4 giugno 1947, quindi bambini di 11 anni di età. Aveva lo scopo di ripetere un test, sempre scozzese, effettuato nel 1932. La motivazione di questo sondaggio era che nel 1947 c’era la preoccupazione che il livello medio di intelligenza del Regno Unito potesse diminuire. Si pensava che ciò fosse dovuto al fatto che le persone nelle famiglie più numerose, e tendenzialmente più povere, avessero punteggi di test di intelligenza medi inferiori rispetto a quelli delle famiglie più piccole.
Quindi, il 4 giugno 1947, quasi tutti i bambini che frequentavano le scuole scozzesi eseguirono un test Moray House, lo stesso che era stato utilizzato nel sondaggio scozzese del 1932. I dati del test di intelligenza furono ottenuti per 70.805 bambini: 35.809 ragazzi e 34.996 ragazze. La Scozia rimane l’unico paese in assoluto ad aver testato un intero anno di nascita nella sua popolazione, e lo ha fatto due volte!
Qual è stato l’esito del test?
I risultati sono stati l’opposto di quelli previsti dal comitato di indagine sulla popolazione. I punteggi del Moray House Test sui bambini scozzesi testati nel 1947 mostrarono un leggero aumento rispetto a quelli testati nel 1932. Il punteggio medio nello Scottish Mental Survey del 1932 era di 34,5 su 76. Il punteggio medio nello Scottish Mental Survey del 1947 era di 36,7 su 76.
I test dell’intelligenza
Il Moray House Test citato sopra prevedeva una serie di esercizi di diverso tipo che comprendevano seguire delle indicazioni, riordinare le parole di una frase, analogie, ragionamento, aritmetica. Del resto i bambini di 11 anni non è che li metti a risolvere le disequazioni.
Il WISC
Un altro test citato dall’articolo, eseguito su quasi 9 mila persone di età fra gli 8 e i 14 anni, è stato fatto il WISC test (Wechsler Intelligence Scale for Children). In questo caso parliamo di uno strumento clinico e diagnostico per la valutazione delle abilità intellettuali dei bambini. La particolarità del test consiste nel fatto che non è necessario saper leggere o scrivere per poterlo effettuare. Il WISC è tra l’altro utilizzato sia in ambito psicologico che neuropsichiatrico. Per capirci, consiste in diversi esercizi di vocabolario, in cui il bambino deve definire una serie di parole; di completamento di figure, di somiglianze e differenze, completamento di labirinti e cose così.
Il g-score
Uno dei test più importanti, che vale la pena citare, è il g-score, definito indice generale di intelligenza. Questo indice, ideato dallo psicologo Spearman nel 1923, e perfezionato nel corso dello scorso secolo, si pone come obiettivo quello di misurare l’intelligenza generale, che sarebbe alla base del rendimento in tutte le attività intellettuali.
Il punto di partenza di Spearman è l’osservazione delle correlazioni positive fra diversi test di abilità. Soggetti sopra la media in un’abilità otterranno molto spesso punteggi sopra la media anche nelle altre abilità. Una persona intelligente lo sarà praticamente in ogni campo. A scuola, ad esempio, ci sono alunni che mostrano una certa propensione verso questa o quella materia, ma di solito i più bravi della classe eccellono in tutte le materie. Ecco, questi individui hanno, secondo Spearman, una buona intelligenza generale. In quanto generale, questa intelligenza verrebbe fuori a prescindere dal test di intelligenza che si usa, e la cosa figa è che il risultato di qualsiasi test può venire convertito in g-score.
L’associazione genoma-intelligenza
Ok, ora abbiamo per ogni individuo il relativo profilo genetico e quoziente intellettivo. E ora?
Quel “GWA” nel titolo dell’articolo sta per Genome Wide Association. Si tratta di un tipo di analisi in cui si cerca una correlazione fra ogni singola variazione (i sopracitati SNPs) e il tratto in esame. È una tecnica affascinante e complicata che come grosso limite ha il fatto che bisogna avere un altissimo numero di profili (con tanti SNPs in ognuno) per fare un’analisi decente e solida.
In questo caso c’erano 78 mila persone e 12 milioni di SNPs per ogni profilo. In gergo tecnico, questa si definisce una fracca di dati.
Da questa analisi è risultato che 336 SNPs si presentavano ogni volta che il QI era alto, ossia avevano una forte correlazione con profili “più intelligenti della media”. Il passo successivo è stato risalire a dove si collocavano nel genoma queste basi, individuando così 22 geni. La correlazione, di per sé, non è un grossissimo traguardo, è meglio di niente ok, ma avere ulteriori conferme avvalorerebbe molto lo studio. Così andando a cercare cosa fanno alcuni di questi geni si è visto che uno di essi regola la crescita dei neuroni, un altro è associato a malformazioni e ritardi mentali, altri sono fattori di trascrizione implicati in tantissimi processi diversi.
Ri-analizzando inoltre i profili genetici utilizzando però come fenotipo non il QI ma il livello di istruzione, una variabile complicata dal contesto sociale ma comunque legata all’intelligenza, si sono ottenuti quasi gli stessi risultati. Questo ha confermato che quei 336 SNPs non sono lí a caso ma hanno effettivamente un peso sull’intelligenza.
Ma quindi c’è chi è programmato per essere intelligente e chi no?
Lo studio lo scrive nero su bianco: i 336 SNPs rappresentano e spiegano circa il 5% delle differenze fra i quozienti intellettivi analizzati.
L’intelligenza, per quanto possa sembrare un concetto astratto, deve poggiare su una componente fisica fatta di neuroni, messaggeri chimici, enzimi, tutta roba che a sua volta viene codificata da dei geni. Avere tutti o una parte di questi 336 SNPs nel proprio genoma rappresenta certo un vantaggio, ma che va ponderato per quello che è. Nessuna persona di scienza vi dirà mai che l’intelligenza dipende solo dai vostri geni. Le variabili in gioco in un tratto così complicato, e per alcuni lati ancora misterioso, sono innumerevoli e su ognuna di esse c’è il fattore ambientale che sconvolge tutte le carte in tavola. Qualche punto percentuale in più è sicuramente un vantaggio, ma capite bene che se il 90% e oltre è determinato da altri fattori, l’1% non fa la differenza fra l’essere intelligente o stupido.
Conclusioni
Più che per fare speculazioni su chi è intelligente e chi no, questa ricerca è interessante poiché fornisce basi per focalizzarsi su geni dai quali si potrebbe risalire alle cause molecolari di alcuni ritardi mentali. Tali ritardi, diagnosticati durante l’infanzia, potrebbero essere parzialmente recuperati. Senza dubbio si tratta di una scoperta importantissima che fa luce su un campo che, paradossalmente, ci è ancora oscuro. Usiamo la nostra intelligenza per capire come funzionano le cose, ma non siamo ancora riusciti a descrivere come funziona l’intelligenza stessa.
Come messaggio importante da portare a casa vi sottolineo di nuovo la grossa importanza, e interdipendenza, tra il nostro genoma e l’ambiente che ci circonda. Insieme, genoma e ambiente, determinano il prodotto finale, che siamo cioè noi in tutta la nostra complessità. Discorsi fatalisti del tipo “hai questi geni quindi sei destinato ad essere così” sono estremamente semplicistici e spesso anche scorretti.
Insomma, un conto è se parliamo del pisello rugoso di Mendel, un altro è se si parla di tratti complessi come l’intelligenza, il carattere e la socialità, dove le variabili in gioco sono numerosissime.
Missione Scienza rientra fra i fattori ambientali che aumentano l’IQ a palla, quindi continuate a seguirci!
Se vi interessano nerdate sul genoma vi suggeriamo il nostro articolo sul dark DNA e sull’evoluzione di alcune popolazione umane alle alte quote!
Mini disclaimer: eviterei discorsi della serie “Ma chi va bene a scuola non è necessariamente intelligente!”. Lo so, e chi non va bene a scuola non è necessariamente poco intelligente. E non è il freddo che ti frega ma l’umidità, signora mia. Ma questo articolo non è sui luoghi comuni. Queste affermazioni, per quanto indigeste ad alcuni, si basano su grandissimi numeri, non sulla classe di vostro figlio o sulla vostra esperienza personale a scuola. Quindi easy, nessuno vi sta dando del poco/a intelligente.
Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby.
Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato 🙂
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