Viaggio alla scoperta del mondo “cervello-musica”. 2° Tappa: Immaginazione musicale

Continuando il nostro percorso nel mondo della musica, dopo aver analizzato l’epilessia musicogena, vedremo come funziona l’immaginazione musicale. È davvero così diverso ascoltare la musica da immaginarla? Riuscite sempre a riconoscere se la musica viene dall’ambiente che vi circonda o se è solo nella vostra testa?

La prima cosa interessante, quando si osserva un fenomeno neurologico, è capire quali aree della corteccia si attivano. Normalmente quando ascoltiamo una musica l’area che si attiva maggiormente è ovviamente l’area uditiva, ma cosa succede se invece la musica suona solo nella nostra testa?

Attivazione neurale durante l’immaginazione musicale

Quindi quale area del cervello si attiva quando immaginiamo la musica? Ebbene… rullo di tamburi… si attiva proprio l’area uditiva. Come fa dunque il nostro cervello a distinguere se la musica è effettivamente presente o se è solo immaginaria? Semplice, non lo fa. Quindi la prossima volta che ascoltate una musica chiedetevi se veramente essa esiste… Scherzi a parte, sembra che questo effetto giochi brutti scherzi al nostro cervello.

Negli anni ’60, furono eseguiti alcuni esperimenti (che però non diedero risultati definitivi) su quello che venne chiamato “L’effetto Bianco Natale”. Si, so benissimo che (almeno nel momento in cui questo articolo è stato scritto) non stiamo a dicembre (e non nevica neppure); ma chi non conosce la canzone di Bing Crosby “White Christmas”?

Nello studio fu fatta ascoltare questa canzone a delle persone e i risultati furono sorprendenti. Alcuni soggetti “sentivano” la musica anche quando il volume era portato a 0, o addirittura se lɜ sperimentatorɜ annunciavano che avrebbero fatto ascoltare la canzone, ma in realtà non la facevano nemmeno partire.

La conferma fisiologica di questa loro sensazione fu confermata con la risonanza magnetica funzionale che mostrava una continua attivazione delle aree associative uditive.

La produzione volontaria e consapevole della musica nella mente determina l’attivazione non solo della corteccia uditiva, ma anche dell’area motrice e delle regioni frontali implicate nell’attività decisionale e di pianificazione. Questa immaginazione volontaria salvò la vita a Beethoven dopo che era diventato sordo e non poteva più udire alcuna musica se non quella che suonava nella sua testa.

Purtroppo però, non tutti possediamo una fervida immaginazione musicale per cui non demoralizzatevi se non riuscite a immaginare musica “a comando”.

 

cervello
Possiamo osservare le aree suddette. L’area uditiva primaria in rosso scuro, l’area associativa uditiva in rosso chiaro, la corteccia motoria primaria in verde scuro.

Fibre nervose che trasportano i segnali acustici

Come sappiamo esistono delle fibre nervose che mandano l’informazione del suono dall’orecchio al cervello, ma ci sono, seppur scarse, altre fibre nervose molto particolari che compiono il percorso inverso. Queste fibre nervose potrebbero essere la matrice fisiologia dell’immaginazione musicale.

Ovviamente, in condizioni normali, le informazioni sensoriali provenienti dagli organi di senso inibiscono il flusso retrogrado di informazioni. Ma quando si verifica una carenza critica dei segnali provenienti dagli organi di senso, l’inibizione viene meno producendo allucinazioni indistinguibili dalle reali percezioni.

Follia dell’immaginazione musicale: “da dove viene questa dannata musica?”

A tutti però capita di sentire nella propria mente, frammenti più o meno lunghi di canzoni o melodie senza alcun motivo specifico. Semplicemente, di punto in bianco, cominciano a suonarci dei motivetti in testa. Ma questi da dove vengono? E come si permettono di suonarmi così in testa senza nemmeno chiedere? Maledetto sia il nostro cervello!!!

Talvolta le musiche che ci suonano in testa sono quelle che ascoltiamo ripetutamente. Infatti, bombardarci orecchie e cervello sempre con la stessa musica, “sovraccarica” il cervello che ormai è pronto a riprodurre la stessa musica senza alcuno stimolo esterno. La cosa curiosa è che immaginare la musica dà la stessa soddisfazione che si ricava dall’ascolto reale.

Se invece nella nostra testa suonano melodie che non ascoltavamo o ai quali non pensavamo da decenni, la spiegazione diventa alquanto surreale. Ci verrebbe da chiederci se la loro comparsa sia del tutto casuale o se celi un significato profondo.

Talvolta le canzoni che ci suonano in testa sono associate a qualcosa che vediamo o sentiamo. Ad esempio, immaginiamo di conoscere una persona che si chiama “Alejandro”. Subito ci parte in testa la canzone di Lady Gaga:

“Don’t call my name, don’t call my name, Roberto…

Alejandro, Alejandro

Ale-Alejandro…”

A volte l’associazione può essere più sottile. Ad esempio, possono venire da una passeggiata, da qualcosa che incrocia il nostro sguardo, da un odore particolare. Sentiamo odore di rose e subito ci parte la canzone di Jon Caryl:

“Roses are red

violets are blu

I don’t sleep at night

Cause i’m thinking of you”

Altre associazioni sono così oscure da rendere impossibile risalire all’origine del collegamento, anzi per alcunɜ scienziatɜ sembra proprio non esserci nessun collegamento.

Rodolfo Llinas e il suo “Disc-jockey” nel cervello.

Secondo Llinas, alla base dell’immaginazione musicale vi è il sistema corteccia-talamo-nuclei sottocorticali, il quale è anche matrice organica della coscienza o del “Sé”. Llinas definisce gli “action patterns” ovvero moduli di attività come camminare, farsi la barba, mangiare. I correlati neurali di questi moduli sono definiti “motor tapes” e Llinas definisce come “motorie” tutte le attività mentali (anche le più astratte come la percezione, il ricordo e l’immaginazione).

In parole povere è come se nel nostro cervello ci fossero diversi cassetti, ognuno dei quali contiene le istruzioni per fare qualcosa. Queste istruzioni sono continuamente lanciate ai nuclei della base (o gangli basali o nuclei sottocorticali) i quali normalmente inibiscono tali azioni.

Ovviamente quando vorremo veramente compiere un’azione (come camminare), i nuclei della base saranno inibiti, garantendo l’esecuzione dell’azione.  Secondo Llinas talvolta dei pattern motori o loro frammenti possono sfuggire dall’azione dei nuclei della base, finendo a livello talamocorticale. Ed è così che si sente in testa una canzone, oppure si prova il desiderio di fare qualcosa (come giocare a tennis).

Volete saperne di più sui gangli della base? Ne abbiamo parlato anche nel nostro articolo sulla sindrome di Tourette.

In fin dei conti la musica che ci suona in testa “senza senso” (o il desiderio di fare qualcosa) si riduce soltanto a semplici “action patterns” che, sfuggiti al controllo dei nuclei della base, arrivano a livello talamo-corticale. Già mi immagino questo bel pacchettino di informazioni che scappa a gambe levate dai gangli basali dicendo “ah ah ti ho fregato, ora è il momento di fare venire il desiderio di qualcosa a questo stupido cervello”.

Anthony Storr e il suo “Sì, sì, tutto molto bello ma a cosa serve la musica che ci suona in testa?”

Il caro e buon vecchio Storr, grande psichiatra inglese, ci chiede “a che serve la musica che ci suona nella testa senza essere evocata e forse nemmeno desiderata?”.

Storr ritiene che tale musica in genere abbia un effetto positivo: allevia la noia, rende più ritmico il movimento, riduce la fatica, rincuora ed è gratificante. Per cui la musica immaginaria ha molti degli effetti della musica reale e in più ha il vantaggio di rievocare pensieri altrimenti rimossi. In tal modo assume una funzione simile a quella dei sogni.

Proprio in merito ai sogni potete leggere un nostro articolo che risponde alla domanda “perché abbiamo memoria dei sogni?“.

Conclusioni

“Oh finalmente posso dare un senso alla canzone che mi perfora il cervello da stamattina”. Se però una canzone resta sempre lì, incollata nella vostra mente e la canticchiate dalla mattina alla sera… bene sappiate che si tratta di un tarlo musicale e nel prossimo articolo scopriremo qualcosa in più. Stay tuned…

Fonti

Sacks, O. (2008). Musicofilia (Vol. 522). Biblioteca Adelphi.

Tommaso Magnifico

Sono Tommaso Magnifico, studente di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Bari e Socio Mensa (The high IQ society). Scrivo articoli specialmente riguardati la medicina in tutte le sue sfaccettature: dal pronto intervento alla psicologia. Potere alla scienza!!!

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