Il Paradosso di Fermi
Alzino la mano quanti di voi, almeno una volta nella vita, osservando il cielo non ha pensato: “Dove siete, alieni bastardi?! Venite fuori!” Quando in realtà sei al terzo Negroni e con gli amici scambi una nuvola per un disco volante. Oppure mentre siete in tenda, in montagna, col telescopio montato per osservare la Luna (e già siete alla 6 o 7 Tennent’s, tanto non dovete guidare, che vi importa?) e scambiate, sempre con gli stessi amici e sempre diversamente sobri, per delle strane luci aliene nel cielo lo scintillio del fuocherello. Forse è il caso che parliamo un po’ del paradosso di Fermi.
Anche quelli “studiati” e sobri ci pensano, non siete i soli, non siamo soli.
Il telescopio spaziale Hubble ci regala immagini che provano l’immensità dell’universo
I puntini in questa immagine sono in realtà galassie, sappiamo che ne esistono più di 100 Miliardi. Ma allora? Può essere mai che siamo i soli nell’universo, con coscienza, a guardare le stelle?
Per l’equazione di Drake, la risposta è no.
Nel 1961 Frak Drake e colleghi svilupparono la famosa equazione:
N = R* x fp x ne x fl x fi x fc x l
Le grandezze in gioco sono:
- Il numero di civiltà extraterrestri presenti nella sola Via Lattea e con le quali si potrebbe di stabilire una comunicazione (N).
- Il fattore medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea (R*).
- Il numero di stelle che possiedono pianeti (fp).
- La media dei pianeti, per sistema solare, in grado di ospitare forme di vita (ne).
- La quantità di pianeti su cui effettivamente si è sviluppata la vita (fl).
- Il numero di pianeti su cui si sono evoluti esseri intelligenti (fi).
- La quantità di civiltà extraterrestri in grado di stabilire forme di comunicazione (fc).
- Una stima della durata media delle civiltà evolute (L).
Vista così, può non risultare facilmente comprensibile, anche perché nell’equazione compare il fattore R, cioè il numero di civiltà intelligenti esistenti in un dato momento nella galassia è direttamente proporzionale al tasso con cui si formano nuove stelle.
Frank Drake condusse la prima ricerca di segnali radio provenienti da civiltà extraterrestri presso il National Radio Astronomy Observatory di Green Bank, in Virgina. Poco dopo tenne una conferenza presso l’Accademia nazionale delle scienze sul tema della rilevazione di possibili intelligenze extraterrestri. Da quell’incontro nacque il progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) che durò fino al 2019. A questo progetto parteciparono fisici, biologi, astronomi, industriali e studiosi di scienze sociali.
Da lì in poi, l’equazione di Drake fu riveduta e i parametri aggiornati fino al mese scorso, quando due studiosi dell’università di Nottingham, in uno studio pubblicato sulle pagine di The Astrophysical Journal, applicando le dovute modifiche all’equazione, raggiungono una conclusione: solamente nella nostra Galassia dovrebbero esistere più di 30 civiltà aliene capaci di inviare una qualche forma di comunicazione nello spazio e di farsi le pippe mentali come faccio io.
Tante no?
E qui entra in gioco il Paradosso di Fermi
Che possiamo riassumere nella breve constatazione
“Milioni di galassie, miglia di esopianeti scoperti nelle prossimità del nostro sistema solare, ma… dove sono tutti quanti? Perché non abbiamo prove tangibili di queste civiltà?”
Enrico Fermi fu un grande fisico, a lui dobbiamo gli studi che gettarono le basi per la meccanica quantistica, studi sulle interazioni nucleari, progettò il primo reattore nucleare a fissione, fu uno dei direttori tecnici del Progetto Manhattan che portò alla realizzazione della bomba atomica, a lui si deve la teoria del decadimento β, la statistica quantistica di Fermi-Dirac eccetera, eccetera, eccetera… Io mi confondo tra destra e sinistra… Andiamo avanti
Fermi formulò il Suo ragionamento ben 10 anni prima dalla stesura dell’equazione di Drake, a cui furono proposte le seguenti, quanto spaventose, soluzioni:
Siamo soli
Le condizioni per lo sviluppo della vita, basata sul carbonio, appaiono davvero uniche: posizione del pianeta rispetto alla stella (zona di abitabilità), composizione chimica dell’atmosfera, composizione chimica del pianeta stesso, tettonica delle placche, presenza di acqua.
E questi sono soltanto alcuni dei parametri. Anche la posizione del pianeta rispetto alla galassia influisce sullo sviluppo della vita, l’eccentricità dell’orbita, così come la presenza di satelliti naturali con caratteristiche simili alla nostra Luna ad esempio.
Se consideriamo le peculiarità della vita basata sul carbonio allora è davvero molto probabile che “le condizioni che ne hanno permesso lo sviluppo sulla Terra siano davvero irripetibili”.
Questo non vuol dire però, che là fuori, non ci siano forme di vita basate su altri elementi chimici.
Altre civiltà evolute esistono ma sono troppo lontane
Sappiamo che il limite di velocità nell’universo è la velocità della luce: nessun corpo dotato di massa può superare questo limite. Un ipotetico messaggio inviatoci da una civiltà proveniente da Andromeda (la galassia più vicina a noi, per intenderci) impiegherebbe 2 Milioni di anni per arrivare.
Oppure, un qualche tipo di messaggio, ad esempio, nella banda delle onde radio è arrivato quando ancora non possedevamo la tecnologia in grado di captarne il significato, ad esempio 1000 anni fa, quando ancora non sapevamo che cosa fosse la radio, quindi, un eventuale messaggio su quelle lunghezze d’onda non sarebbe mai stato rilevato dalla società umana di allora.
E questo ci fa intendere che anche all’interno della nostra galassia, due civiltà evolute, separate da un gap tecnologico, sarebbero comunque ignare dell’esistenza l’una dell’altra.
Le civiltà evolute durano poco
Eventi naturali potrebbero portare alla scomparsa di una civiltà avanzata, ad esempio:
l’eruzione di un super-vulcano, cambiamenti repentini del clima o anche l’impatto con un asteroide, come già avvenuto con i dinosauri. Ma anche motivi geopolitici: la gestione delle risorse e della demografia potrebbe essere causa di estinzione. La competizione è insita nel codice genetico, non avviene solo tra specie diverse ma è anche intraspecifica, l’uomo e i primati ne sono un esempio. Non sappiamo se la lotta gerarchica e la militarizzazione siano prerogativa della specie umana.
L’equazione di Drake stima 10000 anni come durata media delle civiltà avanzate. Il “timer”, se così possiamo chiamarlo, comincia da quando queste sono in grado di inviare segnali radio. 10000 anni sono un tempo sufficientemente lungo da consentire lo sviluppo delle civiltà.
E’ anche probabile che, in questo lasso di tempo, avvengano processi che possano portare all’estinzione o quantomeno, ad una involuzione della specie. Tanto da riportarla a livelli tecnologici primitivi. D’ora in poi, quando durerò poco a letto dirò che sono evoluto 😀
Le civiltà evolute esistono, possono comunicare, ma non vogliono avere a che fare con noi
Questo punto è abbastanza controverso perché non è detto che una civiltà evoluta, rispetto alla nostra, abbia effettivamente interesse a comunicare con le altre. E i motivi possono essere molteplici: paura di trovare entità ostili, consapevolezza comprovata che il “contatto” può arrecare danni ad entrambe le civiltà, per motivi di natura biochimica ad esempio, come nel film Sfera, dove Samuel L. Jackson spiega che il prodotto della “loro” respirazione potrebbe ucciderci.
Oppure semplicemente lì fuori non considerano degna di interesse la società umana.
Può darsi però che piccoli gruppi. o addirittura singoli individui, appartenenti a civiltà disinteressate a comunicare, possano effettivamente avere l’intenzione di istituire una qualche forma di contatto con noi, mandando segnali nello spazio.
Messaggi possono essere stati mandati anche inconsapevolmente. Considerate che da qualche parte, nel cosmo, qualcuno potrebbe aver intercettato una trasmissione televisiva degli anni ’60…
Il noto cosmologo Roger Penrose affermò che, probabilmente, parte della radiazione cosmica di fondo potrebbe avere una sorgente di natura tecnologica che ancora non abbiamo saputo decifrare.
Un ulteriore soluzione al paradosso di Fermi viene dalla Russia e, neanche a dirlo, è tragicomica:
Potremmo essere i primi, nell’immensità del cosmo, ad aver sviluppato una tecnologia avanzata, oppure potremmo essere gli ultimi in senso cronologico.
È quanto proposto dal fisico russo Berezin A.A. della National Research University of Electronic Technology (MIET). Denominata “First in, last out”, la teoria è in paperview sulla rivista arXiv ed è un concentrato di cinismo. Secondo questa teoria chi arriva prima a sviluppare una tecnologia tale da consentire spostamenti intergalattici potrebbe cancellare le altre civiltà senza neanche accorgersene, un po’ alla “Guida Galattica per Autostoppisti” dove la Terra viene distrutta per far posto ad un’autostrada galattica.
Anche il grande fisico teorico Stephen Hawking profetizzò parole terribili sull’eventualità di un contatto con altre forme di vita intelligente. Partecipò al progetto Breakthrough Listen, finalizzato alla ricerca del primo contatto. Hawking disse “Un giorno potremmo ricevere un messaggio […] ma dovremo stare molto attenti a rispondere”. secondo il fisico britannico potremmo apparire come gli indios per i conquistadores spagnoli.
Di contro, a questi scenari terribili, c’è l’elevata probabilità che le entità aliene abbiano raggiunto uno sviluppo tecnologico tale da non avere necessità di accaparrarsi risorse a noi utili. Quindi non ci sarebbero motivi validi per avere atteggiamenti ostili nei confronti di altre civiltà.
Ad oggi, una soluzione certa al paradosso di Fermi non c’è. Non abbiamo prove né smentite. Abbiamo provato in passato ad inviare messaggi nel cosmo per far sapere agli alieni che ci siamo, purtroppo ancora senza risposta.
Possiamo solo continuare a scrutare il cielo e sperare di ricevere una chiamata da ET.
Astrobio – l’equazione di Drake
Focus sul paradosso di Fermi
Santa Wikipedia – il paradosso di Fermi
Le Scienze
Cresciuto a pane e Metallica, fin dalla tenera età sviluppa passione per le scienze e le chitarre distorte.