Il massimo termico tra Paleocene ed Eocene
Oggi vorrei fare con voi un viaggio nel tempo e parlarvi del cambiamento più significativo nelle condizioni della superficie terrestre in tutta l’era del Cenozoico. Si tratta di circa 56 milioni di anni fa, non altro che il massimo termico tra Paleocene ed Eocene (PETM).
Ci sono tantissime cose di cui parlare.
Dallo sbiancamento dei coralli alle migrazioni delle piante, dalle emissioni di anidride carbonica di 56 milioni di anni fa a quelle attuali.
In che periodo ci troviamo?
Siamo nel periodo Paleogene, al confine tra l’epoca Paleocene ed Eocene (55.8 milioni di anni fa); se avessimo una mappa del mondo, la disposizione dei continenti sarebbe abbastanza simile a quella attuale, ma con una piccola differenza: l’India doveva ancora scontrarsi con il resto dell’Asia. [1]
Guardiamoci intorno, cosa osserviamo?
La vita torna finalmente a fiorire dopo una delle più grandi estinzioni di massa avvenute durante la sua storia, quella di fine Cretaceo, che portò all’estinzione di dinosauri non aviani, pterosauri, ammoniti e belemniti, nonché molti gruppi di bivalvi e brachiopodi.
Ci troviamo in un periodo molto critico, anche perché, dopo il grave evento di estinzione, molti gruppi moderni di piante e animali si stavano già diversificando.
Totalmente all’oscuro di un incombente pericolo che li metterà nuovamente alla prova.
Questa fase di intenso riscaldamento è caratterizzata da un ampio rilascio di carbonio, che ha causato un aumento della temperatura a livello globale in un brevissimo periodo, ma anche una diffusa acidificazione degli oceani profondi e una dissoluzione del carbonato di calcio nei fondali marini. [2] [3]
Ma quali sono le evidenze del forte riscaldamento?
Una delle prime testimonianze deriva dallo studio del rapporto tra gli isotopi 18 (pesante) e 16 (leggero) dell’ossigeno, che è presente nel carbonato di calcio dei gusci di alcuni organismi marini come i foraminiferi.
Piccola parentesi:
- i foraminiferi sono protozoi che si trovano in tutti gli ambienti marini, caratterizzati da un guscio in carbonato di calcio (CaCO3) la cui formazione necessita di ossigeno, prelevato dall’acqua. Alla loro morte, i gusci calcarei decantano lungo la colonna d’acqua e raggiungono il fondale (in poche parole, affondano), dove vanno a depositarsi. Di conseguenza, questi gusci possono essere usati per calcolare le concentrazioni degli isotopi dell’ossigeno in acqua.
- gli isotopi sono atomi con uguale numero di protoni (stesso numero atomico) ma diverso numero di neutroni.
Per l’ossigeno abbiamo tre tipi di isotopi, due dei quali sono stabili:
Ossigeno 16: formato da 8 protoni, 8 elettroni e 8 neutroni, il più abbondante
Ossigeno 18: formato da 8 protoni, 8 elettroni e 10 neutroni
L’ossigeno 16 è più leggero, quindi sarà quello che tenderà ad evaporare per primo e condensare per ultimo. Al contrario, l’ossigeno 18 tenderà a non evaporare, o farlo solo in minima parte, e sarà il primo a condensare.
Quali sono le conseguenze di questa differenza?
Durante i periodi più freddi l’O18 rimane intrappolato nel ghiaccio, perché tende a depositarsi, in questo modo le acque oceaniche si arricchiscono dell’isotopo leggero.
Possiamo utilizzare questi dati per capire le variazioni della temperatura mondiale nel tempo, e sì, anche quelle di 56 milioni di anni fa!
Come facciamo?
Semplicemente, calcoliamo il rapporto tra i due isotopi dell’ossigeno, presente nei gusci degli organismi marini in sedimenti datati per questo periodo, e lo dividiamo a sua vola per un altro valore, che è un altro rapporto isotopico di uno standard di riferimento.
In questo modo otteniamo un valore, il delta O-18 o δ18O. [4]
Sembra difficile, ma in realtà è semplicissimo.
Osserviamo il grafico: vediamo prima di tutto che il valore cambia nel tempo e, in corrispondenza di questo evento (PETM), si nota un drastico abbassamento del valore del δ18O, che si traduce con un repentino innalzamento delle temperature.
Riassumendo:
- Abbassamento del valore di δ18O = aumento delle temperature.
- Innalzamento del valore di δ18O = riduzione delle temperature.
Dopo aver capito che le temperature sono aumentate ci chiediamo: come è stato possibile il riscaldamento?
Ormai siamo esperti dell’argomento, sappiamo che il riscaldamento avviene a seguito di un rilascio di un grande quantitativo di gas serra in atmosfera (come anidride carbonica e metano).
Questo è avvenuto in un periodo di 20 mila anni, molto breve nella scala dei tempi geologici, oserei dire “uno schiocco di dita”.
La durata totale dell’evento è però stata di circa 200 mila anni, ovvero il tempo necessario affinché il contenuto di CO2 si riequilibrasse nei diversi serbatoi: foreste, suolo e oceani.
Qui dobbiamo tornare a parlare di isotopi. È stato, infatti, osservato che il PETM è stato un periodo caratterizzato anche da un’oscillazione negativa del δ13C nei sedimenti.
Vale la stessa regola degli isotopi dell’ossigeno: anche il carbonio presenta isotopi, uno più “pesante” dell’altro. Il valore del δ13C è ottenuto per comparazione del rapporto degli isotopi presenti in un campione con uno standard di riferimento.
Se il valore diventa negativo, come in questo caso, sappiamo che i gas serra rilasciati in atmosfera erano ricchi dell’isotopo leggero del carbonio, di origine biologica.
Osservando questi grafici è tutto più chiaro: sia in sedimenti marini che terrestri si osserva la stessa cosa: la forte riduzione del δ13C suggerisce che il riscaldamento climatico improvviso ha avuto un forte impatto in mari e terre emerse. [5]
Da dove venivano questi gas?
In natura è raro che un fenomeno derivi da una singola causa, solitamente ce ne sono di più correlate tra loro. Nel corso degli anni sono state fatte molte ipotesi e sembra che i gas serra rilasciati in atmosfera nel PETM, poveri dell’isotopo pesante del carbonio, possano avere diverse origini. [1]
Potrebbero derivare dallo scioglimento di un composto conosciuto come metano idrato, che è simile al ghiaccio ma contiene al suo interno delle molecole di metano “intrappolate” da molecole di acqua. Gli idrati di metano sono stabili in sedimenti marini profondi, ma possono essere destabilizzati da un aumento di temperatura.
Altre ipotesi riguardano il rilascio di metano termogenico, derivante dall’iniezione di magma in sedimenti arricchiti di composti organici. Tuttavia, anche la presenza di incendi massivi, che perdurarono nel tempo e nello spazio, rilasciando l’anidride carbonica contenuta nelle piante.
Un’ultima ipotesi riguarda lo scioglimento del permafrost, che nel tempo ha accumulato sostanza organica, la quale viene “liberata” sotto forma di metano.
Le emissioni erano comparabili, maggiori o minori rispetto il periodo attuale? Lo scopriremo nel prossimo articolo!
Mi chiamo Erika, sono laureata in Scienze dei Sistemi Naturali all’Università di Torino e mi diverto a scrivere.
Mi piace creare nuovi contenuti originali: grafiche, video, articoli al fine di spiegare la scienza in modo semplice ai “non addetti ai lavori”.
Le scienze della natura sono interessanti, ricche di piccoli segreti e misteri da portare alla luce. Conoscere la natura significa anche rispettarla e migliorare il proprio rapporto con l’ambiente, in modo da cambiare, di conseguenza, la nostra società.
ma…. non è più “semplice” pensare a meccanismi vari quando c’è stata esattament ein quel momento la fase parossistica della più grande “large igneous province” del terziario e cioè i basalti della provincia magmatica dell’Atlantico settentrionale?
(tutte le estinzioni di massa sono contemporanee a Large igneous provinces..)