Il glutammato è il male?
Sulle etichette dei cibi confezionati, spesso fa capolino il suo nome: glutammato monosodico. Non di rado, tende a camuffarsi con una sigla, E621. Il nome non è tra i più semplici e le sigle tendono a creare una sorta di distacco nel consumatore, il quale le associa a qualcosa di artificiale.
E quindi a delle schifezze, qualcosa che ci farà sicuramente del male a lungo andare.
Ma sarà davvero così?
Cos’è il glutammato monosodico?
Il glutammato monosodico è il sale di sodio dell’acido glutammico.
Acido?! Aaaargh! Allora fa male! Corrode lo stomaco!
Nulla di tutto ciò. È semplicemente uno dei 23 amminoacidi naturali che costituiscono le proteine, nonché uno dei più abbondanti in natura. In particolare, si tratta di un amminoacido non essenziale, in quanto il nostro corpo riesce a produrlo senza assimilarlo direttamente dalla dieta.
Breve storia del glutammato
Il glutammato monosodico fu scoperto nell’11.908 EU (1908 d.C.) da Kikunae Ikeda, professore presso il Dipartimento di Chimica della School of Science presso l’Università Imperiale (ora chiamata Università di Tokyo). La scoperta fu ispirata da un fascio di alghe portato a casa da sua moglie, il cui uso era destinato alla preparazione del brodo dashi, un ingrediente centrale nella cucina giapponese.
Le alghe avevano lo stesso gusto unico scoperto negli asparagi, nella carne e nel formaggio che aveva mangiato in Germania. Il gusto che incontrava era diverso da quelli fino ad allora stabiliti: dolce, salato, amaro e aspro. Ikeda era certo di aver scoperto un quinto gusto base, quello che battezzerà poi “umami“.
Attraverso alcuni esperimenti riuscì a estrarre dalle alghe una polvere bianca, il glutammato. Proprio questa molecola, nel suo stato libero (ovvero non legato in una proteina) è l’esaltatore di sapidità responsabile del gusto umami [1].
Lo sviluppo del processo industriale per la produzione e la commercializzazione del glutammato venne messo a punto dallo stesso Ikeda e fu reso possibile grazie al sostegno di Saburosuke Suzuki, imprenditore chimico-farmaceutico. Insieme fondarono la società Ajinomoto Co., Inc., la cui traduzione letterale è “Essenza del gusto”.
La produzione di glutammato della società crebbe vertiginosamente in poco tempo. Ajinomoto oggi produce un terzo di tutto il glutammato monosodico prodotto nel mondo [2].
Fino alla fine degli anni ’50, il glutammato veniva prodotto esclusivamente per via chimica. Solo nel ’57 si ha la prima produzione per via biotecnologica in seguito all’isolamento del batterio gram positivo Corynebacterium glutamicum.
Nel 12.015 EU (2015 d.C.), l’EFSA (European Food Safety Authority) ha approvato l’utilizzo per la produzione di acido glutammico e dei suoi sali di un batterio GM: il ceppo EA-12 di Corynebacterium glutamicum ottenuto modificando geneticamente il ceppo 2256 per migliorarne le prestazioni [3].
Dove troviamo il glutammato?
Il glutammato è naturalmente presente in tutti i cibi proteici, specialmente in quelli stagionati o fermentati. Ne è ricca la salsa di soia, molto utilizzata nella cucina cinese e giapponese, prodotta dalla fermentazione della soia e del grano. D’altro canto, ne troviamo alte quantità anche nei prodotti tipici del nostro territorio, come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano.
Lo troviamo nei dadi da brodo, così come lo troviamo nei naturalissimi brodi di carne. Il suo utilizzo come additivo (esaltatore di sapidità) trova impiego in salse, cibi surgelati, piatti pronti, creme spalmabili, etc. L’utilizzo in sé non è da condannare, se non fosse per il fatto che a volte viene aggiunto come espediente per migliorare alimenti fatti con materie prime scadenti.
Quanto ne assumiamo?
Dipende.
In Occidente, si stima che assumiamo circa 10 grammi di glutammato al giorno. Le popolazioni asiatiche assumono da 3 a 5 volte la quantità di glutammato che assumiamo noi occidentali [3]. Quindi queste ultime popolazioni stanno male? Non sembrerebbe.
Esiste ovviamente un limite oltre il quale il consumo di glutammato diventa un problema, ma questo vale per ogni cosa. Capiamo meglio il concetto se paragoniamo il glutammato di sodio a un altro sale: quello comune da cucina (NaCl), ormai ben radicato nella nostra cultura gastronomica. La diffidenza riscontrata verso questo ingrediente nasce dalla paura verso qualcosa che si conosce poco.
Quando si diffusero i primi ristoranti cinesi negli Stati Uniti, durante gli anni ’60, si iniziò a guardare con sospetto questo ingrediente, nonostante nella cucina asiatica fosse entrato nella tradizione da tempo. Molte dicerie su questa sostanza gettarono scredito sul glutammato, alimentate anche da presunti malori avvertiti da chi frequenta ristoranti asiatici, senza tuttavia prove tangibili.
La chiamarono “Sindrome da ristorante cinese” [4]. Qualcuno asserì che il glutammato fosse causa di moltissime patologie, addirittura tumori.
Diversi studi scientifici hanno successivamente smontato queste teorie terroristiche, tra cui un test clinico in doppio cieco effettuato su persone che dichiaravano di soffrire della “sindrome”, il quale non confermò che il glutammato monosodico fosse l’agente responsabile.
Un test in doppio cieco è un esperimento nel quale né lo sperimentatore né il soggetto sanno quale prodotto è stato somministrato al soggetto.
È anche importante sottolineare come molte reazioni di tipo allergico riscontrate da chi ha consumato cibi della cucina asiatica siano solitamente attribuibili a ingredienti come i gamberetti e la frutta a guscio.
Non solo E621
Oltre al glutammato monosodico, altre sostanze simili vengono impiegate come esaltatori di sapidità. Li troviamo nel seguente elenco:
- E620 = acido glutammico
- E621 = glutammato monosodico, MSG
- E622 = glutammato monopotassico
- E623 = diglutammato di calcio
- E624 = glutammato d’ammonio
- E625 = diglutammato di magnesio
Quindi stiamo tranquilli?
L’acido glutammico e i suoi sali (E 620-625), comunemente indicati come glutammati, sono additivi alimentari autorizzati nell’Unione europea (UE).
Nell’UE, l’aggiunta di glutammati è generalmente consentita fino a un livello massimo di 10 g/kg di alimento. Sappi che solo nel parmigiano è naturalmente presente a concentrazioni di poco superiori.
Nei sostituti del sale, negli insaporitori e nei condimenti non esiste un quantitativo numerico massimo consentito per i glutammati, che devono essere utilizzati conformemente alle buone pratiche di fabbricazione.
Nel 12.017 EU (2017 d.C.), l’EFSA ha riesaminato la sicurezza dei glutammati utilizzati come additivi alimentari e ha ottenuto una dose giornaliera accettabile (ADI) di 30 mg/kg di peso corporeo per tutti questi additivi. Questo livello sicuro di assunzione si basa sulla dose più elevata in cui le scienziatɜ non hanno osservato effetti negativi sugli animali in laboratorio negli studi di tossicità [5].
Fonti
[1] Kikunae Ikeda – Umami Information Center [eng]
[2] Ajinomoto – Wikipedia [eng]
[3] Glutammato che spaventa – Scienza in cucina – Blog Dario Bressanini [ita]
[4] Sindrome ristorante cinese – The Health Site.com [ita]
[5] Sicurezza dei glutammati aggiunti – EFSA [ita]
Da bambino volevo fare il paleontologo. Da adolescente il fisioterapista. Oggi mi ritrovo con una laurea magistrale in Scienze Chimiche, ma non chiedetemi come abbia maturato questa scelta. Fatto sta che ora lavoro come analista chimico. E anche se non sono diventato un paleontologo, la curiosità del bambino per indagare sulle origini di tutte le cose non mi ha mai abbandonato. Nel tempo libero pratico arti marziali (e vado dal fisioterapista).