Il Bitcoin in 5 semplici punti
Se non sai spiegarlo a tua nonna, non l’hai capito veramente.
– Albert Einstein
Benché questa citazione sia quasi sicuramente falsa (come la stragrande maggioranza delle frasi attribuite a Einstein), ammettiamo per un attimo che ci riveli comunque qualcosa di vero, e cioè che per aver capito un concetto bisogna -quanto meno- essere in grado di riformularlo in maniera più semplice, facilmente comprensibile. In modo da far “arrivare il messaggio” anche a qualcuno che non possieda un dottorato in quella materia specifica.
Sui bitcoin si è parlato tantissimo, anche troppo, e ora (come spesso succede in questi casi) il mondo è spaccato tra chi ne sa abbastanza/molto e chi, invece, poco/niente. Se fate parte del primo gruppo, chiudete tutto e andate a fare un giro (con le dovute precauzioni!) che ormai il lockdown è finito. Se, invece, fate parte del secondo gruppo è il vostro giorno fortunato, dato che questo articolo si rivolge proprio a chi non ha ancora capito cosa significhi “blockchain” ma che (ormai) non ha più il coraggio di chiedere spiegazioni.
State tranquilli: l’altro giorno perfino J. K. Rowling ha ammesso di non capirci una mazza di criptovalute e, a tal proposito, ha espressamente chiesto su twitter che qualche anima buona le spiegasse il funzionamento dei bitcoin. Sorpresa sorpresa, a risponderle sono stati nientepopodimenoché Elon Musk (anche stica**i) e Vitalik Buterin (una voce leggermente autorevole nel mondo delle criptovalute).
Ok, voi non siete la Rowling e io non sono Buterin ma, a parte i corrispettivi patrimoni, cosa ci trattiene dall’immedesimarci?!? Coraggio!!!
1) Il Bitcoin e le criptovalute
Quando la gente che conoscete parla di Bitcoin sta parlando in realtà solamente di una delle tante criptovalute in circolazione: il Bitcoin, infatti, non è altro che la prima criptovaluta con cui il mondo (economico e non) ha dovuto fare i conti. Tanto per farvi un’idea, fatevi un giro su questo link e verificate che, ad oggi, le criptovalute esistenti sono circa 5000, con una bitcoin-dominance del 67%.
Che significano questi numeri? Semplicemente che per ogni milione di euro (o dollari, o yen, etc) investiti in criptovalute, circa 670.000 di essi risulteranno investiti, appunto, in bitcoin. E il resto? Il resto è spalmato su tutte le altre criptovalute che, tanto per fare dei nomi che ormai potreste aver sentito sia al bar dello sport che dalla parrucchiera, rispondono ai nomi di Ethereum, Ripple, Litecoin, eccetera.
2) Criptovalute e blockchain
Le criptovalute (non tutte, ma quasi) si basano su una tecnologia nota, appunto, come “blockchain”. Che quarzo è? Si può rispondere a questa domanda in maniera molto complessa oppure in maniera incredibilmente semplice e questa volta, per farmi perdonare del noioso articolo sul canto armonico, ho scelto la via della semplicità.
Attenzione però: “semplice” non significa per forza di cose anche “corto”. Non sempre, almeno. E sicuramente non in questo caso. Se volete capire qualcosa di molto tecnico senza fare il minimo sforzo, beh, auguri.
Come dice la parola stessa, blockchain significa letteralmente “catena di blocchi” e – infatti – non è altro che questo: una lunghissima serie di informazioni, raggruppate in blocchi che vengono numerati uno dopo l’altro (come gli anelli di una catena, no?). D’accordo, però quel termine “informazioni” risulta un po’ vago… Che tipo di informazioni, dunque? Pure e semplici transazioni, del tipo: “Alice invia 5 bitcoin a Bob”, “Bob riceve 5 bitcoin da Alice“, “Carlo invia 0,0001 bitcoin a Damiano“, “Damiano riceve 0,0001 bitcoin da Carlo“, e via dicendo.
Perché – chiediamoci – raggruppare le transazioni in blocchi e poi numerare i blocchi, piuttosto che numerare direttamente le singole transazioni? Lo vediamo subito.
3) Come funziona una blockchain?
Immaginiamo una rete di computer che scambino fra di loro dei bitcoin, eseguendo transazioni elementari del tipo viste prima (Alice, Bob, Carlo, Damiano… no?). Ebbene, la comunità di sviluppatori che sta dietro ai bitcoin ha stabilito che il modo migliore di rendere sicure tali transazioni fosse quello di affidarsi alla crittografia (da cui il nome “cripto-valute”), inventando una roba che si chiama “blockchain” e che (con le dovute semplificazioni) opera nel mondo seguente.
– La rete aspetta che un numero fissato di transazioni siano state eseguite fra i possessori di bitcoin (insomma, che la valuta sia “viva”, che la gente utilizzi effettivamente i bitcoin per i proprio acquisti);
– La rete raccoglie tutte le informazioni legate a quelle transazioni in un banalissimo file di testo (o “blocco”, “block” in inglese), e gli appiccica sopra un indovinello matematico crittografato, grazie ad un preciso algoritmo (che non ci interessa); poi inoltra il file (blocco di informazioni + puzzle crittografato) a caso ai computer della rete;
– A questo punto, la rete attende che alcuni dei computer/nodi de-criptino (“risolvano”) l’indovinello grazie alla loro potenza di calcolo (senza scendere nei dettagli, ci basta sapere che è un calcolo che non può essere fatto a mano: ci vuole per forza un computer, così da fare in modo che chi voglia cimentarsi nel trovare la soluzione debba per forza di cose consumare risorse: prima fra tutte, l’elettricità). Detto altrimenti, risolvere l’indovinello non significa altro che trovare (per tentativi!) il numero primo che rappresenta la soluzione del puzzle/rompicapo/indovinello.
– Ora questi computer (i cosiddetti “minatori”, vedi sotto) comunicano la soluzione (cioè il numero primo) al nodo che ha inviato loro il file criptato (come a dirgli “L’ho trovato! Hai visto quanto sono stato bravo?”) e inoltreranno lo stesso file (blocco di informazioni + indovinello) ad altri computer connessi alla rete. Come a dirgli “Io ci sono riuscito. Ora provaci tu!“.
– Così facendo, mano a mano che sempre più computer della rete avranno trovato il numero primo che rappresenta la soluzione del rompicapo, il blocco stesso verrà considerato validato a tutti gli effetti. Esso verrà quindi numerato (blocco n°1, blocco n°2, eccetera) ed inserito in coda alla catena (“chain”, in inglese) di blocchi precedentemente verificati, entrando così a far parte della storia della rete. Tale catena di blocchi (block-chain!) forma quindi un enorme file “registro” (che, ad oggi, pesa circa 150 GB), consultabile da chiunque in ogni momento e distribuito a tutti coloro che ne richiedono una copia.
Proprio questo aspetto (noto come “consenso distribuito”, vedi punto 4) rafforza sempre di più la sicurezza della rete stessa e, come vedremo fra poco, costituisce metà del motivo per cui i bitcoin sono -per così dire- preziosi.
Un po’ come succede col mondo delle informazioni in generale: se un dato lo conosco solo io è un segreto che mi porterò nella tomba. Se quello stesso dato lo condivido con tutte le persone che conosco, esso non morirà quando morirò io. Ovviamente, a più persone comunico quel dato e minore è il rischio che esso venga contraffatto. Come il vostro nome: se vi siete sempre presentati a tutti col vostro vero nome, è difficile che a un certo punto TUTTI inizino a chiamarvi con un nome diverso dal vostro. Può succedere che qualcuno si sbagli, o che qualcun altro lo ricordi male, ma gli basterà un semplice confronto con chiunque vi conosca (il vostro network, direbbero gli inglesi) per rendersi conto dell’errore e “aggiornare” la sua informazione, uniformandola a quella degli altri.
disclaimer: non assicuro che mia nonna abbia seguito questo terzo punto fino in fondo.
3-bis) Perché mai “minatori”?!?
I computer che risolvono l’indovinello criptato vengono chiamati minatori per una ragione molto semplice: una volta che un blocco ha ottenuto la conferma definitiva da parte della rete, la rete premia il computer che per primo ha restituito la risposta corretta regalandogli dei bitcoin come compenso per il suo “lavoro”. Lavoro svolto per la sicurezza della collettività, cioè della rete Bitcoin stessa, a proprie spese (consumando cioè la corrente elettrica necessaria a far funzionare il proprio PC e letteralmente usurando i componenti PC stesso, che dovranno quindi essere sostituiti di tasca propria).
IMPORTANTE: per “premiare” il minatore che per primo ha risolto l’indovinello la rete CREA DAL NULLA un certo numero di bitcoin e glieli regala (un po’ come se un minatore, dopo lunga fatica, estraesse una pepita d’oro dalla terra). Questo, unito al fatto che il numero complessivo di bitcoin che sono (o meglio, saranno un giorno) in circolazione è fissato a 21 milioni di unità, costituisce l’altra metà del motivo per cui i bitcoin hanno il valore che hanno.
“Momento momento momento…” (cit. by Peter Griffin)
Qualcosa non torna!?! Come verranno ricompensati i minatori dopo la creazione del 21milionesimo bitcoin?!?
Eccellente domanda. Nel 2100qualcosa, quando verrà estratto l’ultimo bitcoin, i minatori verranno pagati grazie alle tasse-sulle-transazioni. Insomma, da quel momento, quando invierete 1 bitcoin a qualcuno, lo 0,00001 (numeri a caso) di quel bitcoin non arriverà al destinatario ma andrà a costituire la ricompensa per i minatori (che, con il loro lavoro, terranno viva la rete Bitcoin).
Intanto, per posticipare il più possibile questo evento, gli sviluppatori del Bitcoin hanno deciso di dimezzare ogni 4 anni la ricompensa che spetta ai minatori, dato che, col progressivo affermarsi del bitcoin come valuta, sarà sempre più appetibile (economicamente parlando) “fare il minatore” anche se la ricompensa continuerà a decrescere in valore assoluto.
Esempio (con numeri semplici): se dieci anni fa ad ogni minatore venivano regalati 10 bitcoin (e il singolo bitcoin valeva 1 euro sui mercati globali), il minatore otteneva -di fatto- una ricompensa di 10 x 1 = 10 euro. Se, oggi, la ricompensa fosse anche solo di 1 bitcoin (invece di 10) il minatore otterrebbe 1 x 8500 = 8500 euro!!! Quindi, contro-intuitivamente, al diminuire del numero di bitcoin ottenuti come ricompensa, si ottiene una ricompensa (in euro/dollari) sempre maggiore. Pazzesco.
4) Il consenso distribuito
Dopo tutto ‘sto trip lunghissimo di blocchi e catene prendiamo una boccata d’ossigeno e facciamo un passo indietro.
Il fatto che io sia il titolare di un conto presso una qualsiasi banca significa che -in fondo- ripongo un’elevata dose di fiducia nei confronti di quella stessa banca. Tra le altre cose, mi aspetto che essa mantenga il registro delle mie transazioni grazie al quale, in ogni momento, io abbia la possibilità di presentarmi nei suoi uffici e prelevare i miei soldi. La banca, cioè, è il garante di tutta una serie di servizi per i quali io pago delle spese fisse annuali: basti pensare alla comodità dei bancomat se ci serve denaro contante o, ancora meglio, all’esistenza delle carte di credito (che mi permettono di viaggiare come se avessi con me tutti i miei soldi, evitando il rischio di essere derubato!).
Il problema, come detto sopra, è che quel registro (sia esso cartaceo o virtuale) può andare perso una volta per tutte (esempi stupidi: una catastrofe naturale o un hacker semi-divino che distrugga tutti i server di backup della banca, come succede nella serie TV Mr Robot). Oppure, ancora peggio, quel registro può essere alterato volutamente da un banchiere corrotto senza che io ne venga messo al corrente, col risultato che un brutto giorno potrebbe venire fuori che la mia fiducia nella banca Tal-dei-Tali era totalmente mal riposta e che io non sia più padrone dei miei soldi. Così, senza poterci fare niente.
Non faccio nomi perché è un attimo beccarsi denunce per diffamazione, ma google è vostro amico –> bancarotta
La soluzione a tale problema (ideata dagli sviluppatori del Bitcoin) è quella di moltiplicare le copie di quel registro e affidare tali copie ad un numero elevatissimo di “testimoni” (=computer della rete), eliminando così la possibilità che un banchiere corrotto possa alterare le informazioni del registro. Ciò in virtù del fatto che ad ogni tentativo di inoltrare in rete un’informazione manomessa il risultato sarebbe una semplice risposta corale della rete stessa che, più o meno, suonerebbe così: “Informazione non conforme a quella della rete, aggiornare il proprio database corrotto“.
E questo è proprio ciò che in gergo informatico viene chiamato “consenso distribuito“.
Riformulando efficacemente, possiamo dire che (pur essendo delle entità virtuali) i bitcoin non possono essere duplicati. Duplicare un bitcoin, infatti, significa mettere al mondo un’informazione non conforme al resto delle informazioni presenti -in maniera distribuita- sulla rete, generando un conflitto che la rete rimuoverà AUTONOMAMENTE, grazie alla comunicazione continua fra i vari nodi.
Ah, quasi dimenticavo: per lo stessa ragione, se un hacker volesse arricchirsi alla spalle della rete bitcoin cosa dovrebbe fare? Dovrebbe arrivare a controllare il 51% dei computer della rete stessa (più precisamente, della potenza computazionale della rete, ma sono sottigliezze). Un compito ben al di là di ogni possibile sogno di fantascienza informatica. Nell’esempio di prima, è come se voi faceste il lavaggio del cervello al 51% delle persone a cui vi siete presentati, convincendoli una volta per tutte che il vostro nome non è “Caio” ma “Sempronio”. Così che il restante 49% dei vostri conoscenti si ritroverebbe in minoranza e, col passare del tempo, si affermerebbe “Sempronio” come vostro vero nome all’interno del vostro network di amici e parenti.
Un tantinello titanico, come sforzo. E quanto può essere brutto il nome che vi hanno dato?!?
Sì, sono simpaticissimo ma, tornando all’hacker (e ipotizzando che sia una specie di Dio), cosa otterrebbe costui dal controllo del 51% dei computer della rete bitcoin? Otterrebbe tantissimi bitcoin sul suo conto privato, vero, MA (e qui sta il colpo di genio) finirebbe col mostrare al mondo che la rete bitcoin, in fondo, è hackerabile… facendo così perdere alla sua refurtiva (=i suoi bitcoin) tutto il valore che avevano prima del suo mirabolante sforzo informatico!! Insomma: entrerebbe a gamba tesa nell’olimpo degli hacker e lo stesso Kevin Mitnick je spiccerebbe casa, ma dovrebbe comunque continuare a chiedere i soldi alla mamma per la nuova scheda grafica.
Chapeau.
5) Perché, quindi, i Bitcoin sono preziosi?
Prima della nascita del bitcoin ogni file informatico poteva sempre essere copiato e ri-distribuito, moltiplicandone i cloni esistenti. Questo è il motivo per cui ce l’hanno tutti con i siti di torrent (e non solo): essi rendono disponibili dei contenuti (audio, video, libri, eccetera) senza che il fruitore finale ne paghi i diritti all’autore.
Abbiamo tutti presente il simbolo ©, no?!? Ebbene: su un libro (o un videogioco, o un film in DVD) quel simbolo viene stampato per avvertire chiunque volesse copiarlo che sta commettendo un’infrazione (punibile con una multa anche molto salata). Il punto, però, è che un divieto è un divieto solo per chi lo rispetta: per chi se ne sbatte, il divieto è solo una “c” cerchiata, stampata da qualche parte sull’oggetto che verrà comunque copiato (illegalmente).
Ecco, ci siamo quasi (*anf anf*): con i bitcoin, per la prima volta nella storia, si ha un oggetto virtuale che non può essere copiato, ma solo spostato da un parta ad un’altra (nello specifico, da un portafogli/cassaforte virtuale ad un altro). Come l’oro, appunto.
Ciò non vale per le monete e le banconote che, lo sanno tutti, possono tranquillamente essere contraffatte: basta saperlo fare. E questo è il motivo per cui, quando paghiamo il caffè con una banconota da 100 euro, il barista la passa all’interno di quella macchinetta luminosa che tira fuori da sotto al bancone, manco fosse Boe che-prepara-una-prugna-che-galleggia-nel-profumo-servita-in-un-cappello-da-uomo.
Detto in altri termini, termini che potreste aver già sentito, i bitcoin hanno introdotto nel mondo informatico/digitale il principio di scarsità. Si ha cioè un qualcosa che non ha un valore intrinseco (come una mela, che puoi mangiare, o una casa in cui puoi abitare) ma che acquista valore (anche) grazie al fatto che è un bene scarso, limitato. Questo, aggiunto al fatto che, come abbiamo visto, i bitcoin non possono essere duplicati, ma solo scambiati (a causa del consenso distribuito).
Sembra incredibile ma, per la gioia di tutte le nonne del mondo, ho finito.
Curiosità #1: Chi sentiva la necessità dei bitcoin?
L’idea che ha portato alla nascita dei bitcoin è una e semplice: si è voluto dar vita ad una moneta che non debba la sua esistenza (e sicurezza) ad alcun ente-garante quale può essere uno Stato (che emette moneta), o una banca (che gestisce moneta), etc, ma esclusivamente alla comunità che utilizza quella moneta stessa.
Perché? Perché se sei un cittadino e hai i tuoi soldi in banca, e quella banca fallisce, tu vieni ingiustamente privato dei tuoi risparmi (ok ok, è più complesso di così, ma non ragliatemi contro, vi prego). E anche perché, quasi allo stesso modo, se sei un cittadino che investe i propri risparmi in buoni del tesoro (perché non si fida delle banche private) e il tuo Stato dichiara il default, tu perdi tutto anche in questo caso. Di esempi storici ce ne sono a bizzeffe, anche molto recenti, purtroppo.
Curiosità #2: Chi li ha inventati ‘sti ca**o di bitcoin?!?
L’avrete sicuramente sentito dire (c’era anche un discreto documentario su netflix che ne parlava), ma nessuno sa chi sia la mente dietro a questo progetto: un uomo? Una donna? Un gruppo di terroristi?
“The answer, my friend, is blowing in the…” Ah no, a ‘sto giro non lo sa nemmeno il vento. Nice try, Bob.
Si conosce solo un nickname, “Satoshi Nakamoto“: nome con cui l’autore firmò i primi articoli tecnici che illustravano la sua soluzione al cosiddetto “problema della doppia spesa“, con i quali regalava al mondo in un’unica botta sia la prima valuta virtuale (il bitcoin, appunto) che la tecnologia su cui essa si regge (la blockchain).
Che altro sappiamo di questo Satoshi Nakamoto? Solo che il suo indirizzo pubblico conta circa 1’000’000 di bitcoin (che oggi valgono qualcosa come 8,5 miliardi di euro) e che non ne ha mai mosso nemmeno uno, sebbene le speculazioni sul suo conto siano all’ordine del giorno (—> vedi qui)… O_O
WTF?!?
Esatto: WHAT. THE. FUCK.
Insomma: se siete fantasiosi avete già tutto quello che vi serve per scrivere un romanzo giallo o la sceneggiatura di uno spy movie!
E, se mai lo farete, ricordatevi di inserire Missione Scienza nei credits!!!
Fonti e riferimenti
https://it.wikipedia.org/wiki/Bitcoin
https://it.wikipedia.org/wiki/Criptovaluta
https://it.wikipedia.org/wiki/Banking_on_Bitcoin (documentario Netflix)
https://bitcoin.org/bitcoin.pdf Il paper originale di Satoshi Nakamoto (9 pagine in tutto)
Dopo una laurea in filosofia, durante la quale scopre che la sua vera passione è la fisica, si laurea anche in fisica e capisce che in realtà la sua vocazione è la biologia evoluzionistica. Decide quindi di specializzarsi in filosofia della scienza e di dedicare le sue energie alla divulgazione, provando a raccontare agli altri le cose che lo appassionano.
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Filosofo per gli scienziati e scienziato per i filosofi.
Vegetariano e allergico alla frutta.
Ottimista nonostante tutto.
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