Thiomargarita magnifica: il batterio gigante
Solitamente, quando pensiamo ai batteri immaginiamo degli organismi di dimensioni talmente ridotte da renderli visibili solo attraverso le lenti del microscopio. Infatti, una cellula batterica ha in genere delle dimensioni comprese tra 1 e 10 micrometri che possono variare, mantenendosi comunque ampiamente al di sotto del potere di risoluzione dell’occhio umano. Thiomargarita magnifica (di nome e di fatto) rappresenta però un’eccezione.
La scoperta di Thiomargarita magnifica
Questo batterio è stato identificato per la prima volta nel 12.009 EU (2009 d.C) dal biologo Olivier Gros durante degli studi condotti tra le mangrovie rosse della Guadalupa, nelle Antille francesi. Sulle foglie cadute dagli alberi e che marciscono nelle acque solforose sotto le mangrovie, questo scienziato ha individuato degli strani organismi filamentosi e bianchi, lunghi circa 1 centimetro e quindi ben visibili a occhio nudo.
Inizialmente, Gros aveva ipotizzato che si potesse trattare di un fungo o comunque di un organismo appartenente al dominio degli eucarioti. Quest’ultimo rappresenta infatti il dominio più complesso e comprende quattro regni: animali, funghi, piante e protisti.
L’altro dominio è quello dei procarioti, rappresentato da organismi semplici unicellulari o al più coloniali, privi di nucleo e di organuli delimitati da membrana. I procarioti si dividono in due regni: Bacteria e Archaea.
Eucariota o procariota: questo è il dilemma
Ma Thiomargarita magnifica è realmente un eucariota? (risposta difficilissima, l’ho solo spoilerato già duemila volte da inizio articolo…) Come si usa dire, l’apparenza inganna!
Fortunatamente il nostro caro amico Gros ha deciso di andare oltre le apparenze e di effettuare ulteriori osservazioni al microscopio, per poi concludere che non si trattava affatto di un eucariota.
Ci sono voluti quasi 10 anni affinchè altri gruppi di ricerca californiani analizzassero più in dettaglio questo strano organismo, utilizzando tecniche più avanzate e ingrandimenti più elevati attraverso il microscopio elettronico.
Per cui, solo nel 12.018 EU (2018 d.C.) è arrivata la conferma tanto attesa: T. magnifica non è affatto un eucariota, bensì un procariota, in particolare un batterio… il batterio più grande che sia mai stato scoperto! Insomma, pronto per partecipare allo show dei record.
Lo stupore
Per rendere l’idea delle dimensioni, Jean-Marie Volland, biologo marino presso il Lawrence Berkeley National Laboratory che ha condotto la ricerca, ha affermato che “per metterlo nel giusto contesto, sarebbe come se un essere umano incontrasse un altro essere umano alto quanto il Monte Everest”. T. magnifica è più grande persino dell’insetto della frutta Drosophila melanogaster!
I batteri giganti precedentemente scoperti, alcuni dei quali arrivano a formare filamenti lunghi qualche centimetro, sono composti da centinaia fino addirittura a migliaia di cellule. T. magnifica, invece, è un’unica cellula batterica. Per J.M. Volland “rendersi conto che un batterio filamentoso di quelle dimensioni fosse effettivamente un singolo batterio è stato sbalorditivo”.
Vi allego il video in cui J.M. Volland in persona descrive le principali caratteristiche di questo batterio e com’è stata svolta l’attività di ricerca nel suo laboratorio. Buona visione!
Le peculiarità di T. magnifica
T. magnifica presenta delle caratteristiche alquanto peculiari che lo distinguono dagli altri membri noti del suo stesso regno di appartenenza. Insomma, un pesce fuor d’acqua!
Caratteristiche strutturali
Quest’unica cellula presenta al centro un enorme vacuolo, ovvero una vescicola contenente liquido e delimitata da membrana. Questa peculiarità non è dovuta al caso, ma alle necessità metaboliche del batterio: quando si lascia trasportare dalle correnti del mare attinge nitrato dall’acqua e lo conserva nel vacuolo, quando invece precipita in profondità il batterio fa reagire il nitrato con l’acido solfidrico, la fonte del suo nutrimento che scaturisce dalle alghe in via di decomposizione depositate sul fondale.
Lungo i margini della cellula sono presenti altre strutture membranose che ricordano gli organuli tipici degli eucarioti. Come abbiamo già anticipato prima, i procarioti si differenziano dagli eucarioti per l’assenza di compartimentazione, quindi di organuli delimitati da membrana e aventi specifiche funzioni.
La presenza di strutture membranose in T. magnifica ha quindi lasciato di stucco per l’ennesima volta lɜ scienziatɜ, che hanno deciso di denominarle “pepini”: «Dal latino volgare “pép” usato per indicare il concetto di piccolo».
Il materiale genetico di T. magnifica
Ma le sorprese non finiscono qui! Normalmente le cellule eucariotiche possiedono un nucleo circondato da membrana che separa il DNA dal resto della cellula, invece, le cellule procariotiche hanno il DNA libero nel citoplasma, in una regione definita nucleoide.
Ma, il materiale genetico di T. magnifica non “sguazza” liberamente nel citoplasma: è racchiuso nei famosi pepini.
Il numero dei geni è circa tre volte maggiore di quello di un batterio medio (circa 11 mila geni mentre solitamente ce ne sono meno di 4 mila) e ci sono centinaia di migliaia di copie del genoma diffuse in tutta la cellula, all’interno dei pepini. Ciascun pepino contiene anche i ribosomi, piccole particelle composte da RNA e proteine, indispensabili nella sintesi proteica.
Quali sono i tasselli ancora mancanti?
Al momento il gruppo di ricerca non ha ancora effettuato analisi più dettagliate a carico delle singole strutture, per cui non sappiamo se i pepini abbiano tutti la stessa funzione e se contengano tutti la stessa combinazione di materiale genetico, proteine e ribosomi.
Non sappiamo neanche come sia avvenuta la loro formazione e il modo in cui si verificano e vengono regolati i processi molecolari all’interno e all’esterno di tali strutture.
Un’altra questione in sospeso è se questi pepini abbiano avuto un ruolo nell’evoluzione di T. magnifica, quindi, nell’acquisizione di dimensioni così elevate e se siano presenti o meno in altre specie batteriche. Ovviamente vi aggiorneremo se dovessero esserci delle novità!
Che significa “Thiomargarita magnifica?”
Thiomargarita indica il genere di appartenenza di questo batterio, significa “perla di zolfo” e si riferisce all’aspetto esteriore delle cellule. Queste infatti, contengono microscopici granuli di zolfo che riflettono la luce incidente, conferendo loro una lucentezza perlacea.
“Magnifica” sta invece a indicare la specie ed è stato scelto proprio perché in latino significa “grande”. Il precedente record di dimensioni (fino a 0,77 mm di diametro) apparteneva a un altro batterio del genere Thiomargarita, ovvero Thiomargarita namibiensis.
Quali sono le funzioni svolte da T. magnifica?
Volland iniziò a studiare questo simpatico amichetto per capire meglio in quali attività (si spera non losche) fosse implicato. Quello che sappiamo è che appartiene alla classe dei Gammaproteobacteria, è un solfobatterio chemioautotrofo in grado di ossidare lo zolfo e fissare il carbonio.
Questo batterio fa parte del microbioma delle foreste di mangrovie, che rappresentano uno dei principali biomi costieri in grado di rimuovere carbonio dall’atmosfera e di accumularlo. Se si considera lo spazio che occupano su scala globale, si tratta di meno dell’1% dell’area costiera mondiale.
Ma, quando si esamina lo stoccaggio del carbonio, si scopre che contribuiscono per il 10-15% al suo immagazzinamento nei sedimenti costieri. T. magnifica fornisce quindi il suo contributo grazie alla sua capacità di fissare il carbonio.
Possibili habitat del batterio gigante
Una delle domande che sorge naturalmente è: “può questa specie batterica sopravvivere in altri ambienti?”
Il prossimo obiettivo consiste proprio nel capire se T. magnifica sia tipico esclusivamente degli ecosistemi in cui è stato osservato o se sia presente anche in altre aree del mondo.
La presenza di zolfo in quantità elevate sembra comunque rappresentare un fattore determinante, considerando che questi batteri si nutrono di tale elemento.
Conclusioni
Chi ha effettuato questi studi concorda sul fatto che per il momento sia stata identificata solo una minuscola frazione di tutti i batteri esistenti sul nostro pianeta.
Possiamo sicuramente aspettarci la scoperta di altri batteri, anche più grandi di Thiomargarita magnifica: si tratta di una tipologia che vive di solito in ambienti molto inospitali (come appunto le foreste di mangrovie) e che quindi sono ancora poco studiati.
Inoltre, questi organismi potrebbero farci comprendere meglio l’evoluzione della vita sulla terra, grazie alle loro caratteristiche intermedie tra batteri e organismi più complessi.
La scoperta di T. magnifica dimostra che gli organismi che riteniamo molto semplici potrebbero riservarci delle sorprese. Restiamo quindi in attesa di nuovi colpi di scena!
Fonti
Volland, J. M., Gonzalez-Rizzo, S., Gros, O., Tyml, T., Ivanova, N., Schulz, F., … & Date, S. V. (2022). A centimeter-long bacterium with DNA contained in metabolically active, membrane-bound organelles. Science, 376(6600), 1453-1458. DOI: 10.1126/science.abb3634
Ho conseguito la laurea triennale in scienze biologiche e la laurea magistrale in scienze biosanitarie, curriculum nutrizionistico, all’università di Bari “Aldo Moro”. Amo la biologia in ogni sua sfaccettatura con un occhio di riguardo per l’ambiente e la nutrizione. Ho scelto di fare divulgazione per trasmettere agli altri la mia passione e per far comprendere l’importanza della scienza, spesso sottovalutata. Il mio motto è “Nulla di grande nel mondo è stato fatto senza passione”.