Ha senso parlare con le tue piante?

Un numero incredibilmente alto di persone ammette di parlare più o meno quotidianamente con le proprie piante d’appartamento o con una pianta ornamentale in particolare.
Ci sono poi eserciti di individui pronti a giurare che alle proprie piante giovi tantissimo ascoltare la voce umana e che ne traggano molteplici benefici, dalla crescita più veloce, ad uno stato di salute migliore fino alla maggiore resistenza verso i patogeni vegetali e alle infestazioni.

Leggendo cose di questo tipo viene da pensare istintivamente che siano delle pooh-ttanate assurde ma il tema è molto più complesso di quanto sembri; esistono centinaia di studi in merito, il più vecchio dei quali risalente addirittura al 1848 [1] e, con buona probabilità, “l’uomo che sussurra al geranio” non merita affatto il ricovero tramite TSO d’urgenza.
Sono stati infatti condotti molti test, a volte sul filo del comico/ridicolo che, in un certo senso, danno ragione a chi sostiene che i vegetali stiano meglio quando parliamo con loro. Qualcosa di vero quindi c’è, anche se la questione è molto meno romantica di quanto vorremmo credere. Andiamo per gradi.

Da un punto di vista strettamente botanico-biologico sappiamo che tutte le piante, a livelli differenti in base alla specie, “sentono” la nostra voce [2]. Non hanno organi uditivi, né qualcosa che ricordi vagamente un sistema nervoso che possa interpretare il segnale sonoro, eppure producono risposte fisiologiche alle frequenze alle quali tutti noi produciamo i suoni e le parole. In pratica sono sensibili alle vibrazioni.
Una figata, vero?

Una tipa fa roba elettronica non meglio precisata con una pianta © https://www.microsoft.com/artist-in-residence/collaborations/project-florence

Le piante infatti riescono a “percepire” le vibrazioni che fanno parte dell’intervallo nel quale divulghiamo a voce alta le nostre verità e spariamo le nostre peggiori cagate, ovvero tra i 50 ed i 500 Hertz.
Prima di passare agli studi seri, mi piace citare un piccolo esperimento che mi ha fatto super ridere e anche riflettere; se si è matti abbastanza, si può ripetere facilmente.

La trasmissione MythBusters ha seminato 60 piante di pisello divise in 3 gruppi da venti ciascuno, all’interno di 3 serre separate [3]. Al primo gruppo è stata fatta ascoltare, in loop continuo, la voce registrata di persone che parlavano con estrema dolcezza, al secondo invece sono state proposte le registrazioni di gente che sbraitava e insultava random, mentre il terzo gruppo, quello di controllo, è stato fatto crescere in una serra silenziosa.
Quindi l’experimental design della prova era più o meno questo:

-20 piante di pisello amate e coccolate al suon di: “siete piselli meravigliosi, siete piante fantastiche Mendel sarebbe orgoglioso di voi…”;
-20 piante di pisello brutalmente bullizzate del tipo: “ah piante demmerda, spero che domani vi svegliate dentro a una confezione di piselli surgelati, andate a fa la fotosintesi da n’altra parte…”;
-20 piante di pisello nel silenzio.

Incredibilmente le “amate” e le “bullizzate” erano cresciute molto più delle piante di controllo!
Della serie non importa se la tratti malissimo o se le racconti storie d’amore smielate alla Twilight, l’importante è che parli alla tua amica verde.

Quegli scappati di casa di © MythBusters

I punti deboli di uno studio effettuato così ‘alla buona’ stanno nel fatto che non sappiamo nulla riguardo quanto fossero standardizzate tutte le condizioni (suolo uguale per tutte le serre, stessa esposizione alla luce, uguale disponibilità di acqua e macro e micronutrienti…) ma per essere un programma televisivo è stata una dimostrazione carina. Senza contare che gruppi di sole 20 piante sono statisticamente irrilevanti.

Gli studi scientifici seri, riproducibili, che dicono? Alle piante piace ascoltare?

Le pubblicazioni di ‘scienza vera e tosta’ comunque trovano risultati altrettanto interessanti e facendo una megasintesi scopriamo che:

A) La musica classica favorisce la crescita di calli (colture di cellule vegetali in vitro) andando ad agire sulla produzione di ormoni. Stimola infatti la produzione di ormoni della crescita (auxine) e inibisce quella di ormoni della vecchiaia (acido abscissico) [4].

B) La musica classica e le registrazioni di i suoni naturali e del verso degli uccelli, stimolano la germinazione dei semi di zucchina e di gombo (Abelmoschus esculentus) [5].

C) La tecnologia PAFT (Plant Acustic Frequency Technology) applicata in studi sia in campo aperto ed in serra è quella che ha dato i risultati più incredibili: piante di cotone con sviluppi maggiori in termini di biomassa, fragole più resistenti ai parassiti, tabacco e spinaci con crescite migliori… davvero, conferme sperimentali una dopo l’altra [5].

Ma chi ha sviluppato la PAFT? Ingegneri, gente strana, ma scaltra

Sono stati gli ingegneri della “Agricultural Engineering Research Center” – Cina, che evidentemente si erano stufati di fare a gara a chi avesse l’impianto stereo più cafone con i subwoofer ignoranti montati sulle Golf sbassate e con i neon colorati, e quindi hanno pensato bene di rendere più tamarri anche i campi coltivati dei poveri studenti di agraria.

Un ingegnere che rende più coatte (A) una serra e (B) una prova di campo sperimentale © articolo [5] nelle fonti.

La tecnologia PAFT permette di fare test con 8 diverse frequenze da 0,6 a 2 kHertz in modo da regolare sempre la diffusione dei suoni in base all’umidità e alle condizioni climatiche. Il suono d’altronde si deve spostare in un mezzo fluido, l’aria, che cambia continuamente densità a causa appunto di umidità, correnti e temperatura.
Veramente degli adorabili pazzi scatenati.
Ah, e comunque da bravi NERD amanti dell’ambiente, hanno poi fatto una sorta di PAFT-2.0, che è totalmente alimentato da pannelli solari e che diffonde suoni fino a 15000 m2.

Come fanno i suoni ad avere un effetto sulle piante e quali sono i limiti di questi studi

Il meccanismo d’azione che permette alla pianta di reagire ai suoni non è totalmente chiaro e sicuramente non è univoco per tutte le specie vegetali, che stimiamo siano poco meno di 400mila. Nel tabacco è stato ipotizzato che tutto avvenga grazie all’azione del suono sulle proteine della membrana cellulare. La membrana delle cellule (non solo quelle vegetali) non è una semplice barriera di confine tra il mondo esterno e l’interno della cellula stessa, ma regola una serie infinita di metabolismi. Si è visto infatti che le proteine di membrana durante la stimolazione acustica vanno a piegarsi secondo dei pattern preferenziali, favorendo alcune strutture chiamata ad “alfa elica” a discapito delle così dette “foglietto- beta”. In una sintesi super-mega-scema e semplicistica: le vibrazioni mettono ordine e rendono più reattive le membrane cellulari.

Altri studi sembrano invece puntare il dito sull’espressione genica. Questo vuol dire che il suono, la voce, la musica, stimolano le piante in modo alternativo ma del tutto simile a quello che fa la luce, ed avviano la trascrizione dei geni dai quali poi dipendono la proliferazione cellulare, l’accrescimento del fusto, delle foglie e di tutti i tessuti in generale.
La musica in pratica mette il boost alle piante!

Rimangono sempre essere viventi senza muscoli e articolazioni, non faranno mai la moonwalk, per dire.
Ma tutto questo quindi come si riflette sulle nostre chiacchierate col Ficus?

Purtroppo, questi studi fantastici hanno dei limiti enormi nel dare la risposta alla nostra domanda perché, quando parliamo, fondamentalmente alteriamo l’equilibrio dell’ambiente circostante,
producendo certamente le onde sonore ma aumentando anche la quantità di anidride carbonica (CO2) nella stanza. E l’anidride carbonica per le nostre piante è una fonte di nutrimento!

Dobbiamo poi considerare che nelle prove sperimentali la musica (o le singole note) vengono lasciate per giorni, spesso anche di notte, e dubito seriamente che qualcuno di noi parli davvero ORE con ste povere piante.

Una pragmatica conclusione

Veniamo finalmente alla poco poetica fine della storia: molto probabilmente è tutta una questione di attenzioni.
La chiacchierata pura e semplice, alla tua pianta, cambia davvero poco, o addirittura niente. Le tue vibrazioni non la stimolano, la tua CO2 non la fertilizza.
Il fatto è che se ti trovi spesso a raccontare i fatti tuoi al Ficus benjamin, mentre lo stai facendo, senza accorgertene nemmeno, te ne stai anche prendendo cura. Lo esponi meglio alla luce, gli togli le parti vecchie o marcescenti, allontani gli insetti infestanti e magari ti ricordi anche più spesso di annaffiarlo rispetto a chi ce lo ha lì, buttato nell’angolo buio della sala, che rischia di farlo seccare ogni 2 mesi, non gli spolvera le foglie da Pasqua 2015 e che, fondamentalmente, lo caga il minimo sindacale.

Se lo ami lo annaffi (e ci parli).

Fonti:

[1] Gustav Fechner, Nanna (Soul-life of Plants) – 1848

[2]Plant gene responses to frequency-specific sound signals https://link.springer.com/article/10.1007/s11032-007-9122-x

[3] It’s True You Really Should Tao lk tYour Plants https://www.thespruce.com/should-you-talk-to-your-plants-3972298

[4] Soundwave stimulation triggers the content change of the endogenous hormone of the Chrysanthemum mature callus

[5] Advances in Effects of Sound Waves on Plants. Journal of Integrative Agriculture 2014, 13(2): 335-348

[6] Should You Talk to Your Plants to Help Them Grow?  https://www.youtube.com/watch?v=auA7cEUzPQI

Emanuele Falorio

Laureato in biotecnologie, lavoro da anni nel settore dell'industria alimentare. NERD da molto prima che facesse fico;  appassionato di divulgazione scientifica da quando mi ci sono ritrovato dentro per puro caso. Scrivo per Missione Scienza ad orari improbabili quindi mi scuso per tutti refushi e gli erorri di battitura, è già un miracolo che non mi sia mai addormentato sulla tastieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee

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