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Fossili viventi

Introduzione

Il termine “fossile vivente” fu utilizzato per la prima volta da Charles Darwin nella sua opera più famosa, L’origine delle specie (11.859 EU, 1859 d.C.).

Questa espressione viene utilizzata per descrivere una specie attualmente vivente conosciuta allo stato fossile, che nel tempo è rimasta quasi del tutto invariata dal punto di vista morfologico. I “fossili viventi” hanno quindi caratteristiche simili a quelle dei loro antenati che vivevano sul nostro pianeta milioni di anni fa, e spesso sono sopravvissuti a diverse estinzioni di massa.

Caratteristiche

In alcuni casi, i fossili viventi sono caratterizzati da una bassa diversità rispetto al passato. Uno degli esempi più famosi è il Ginkgo biloba, già esistente sul nostro pianeta 270 milioni di anni fa.

Questa rappresenta l’unica specie attualmente vivente di un gruppo di piante largamente diffuso nel passato, le Ginkgophyta. Talvolta, i fossili viventi hanno una distribuzione molto limitata rispetto l’areale dei loro antenati, e spesso sono anche rari o in via di estinzione.

Il Ginkgo biloba è una gimnosperma, unica sopravvissuta della divisione Ginkgophyta, un raggruppamento di piante molto diffuso in passato. © Fonte: PawełMM (CC-BY-SA-3.0)

L’importanza dei fossili viventi

Molti scienziati ritengono che il termine “fossile vivente” sia poco accurato o addirittura fuorviante.

D’altro canto, però, evidenzia come l’evoluzione non avvenga sempre in ogni aspetto che caratterizza una specie. Ci ricorda come, una volta, alcuni gruppi di organismi erano diffusi su tutto il pianeta, mentre oggi li ritroviamo esclusivamente in zone remote.

Inoltre, ci offrono una finestra sul passato, utile per comprendere la storia evolutiva del nostro pianeta e le relazioni tra le varie forme di vita in ere remote.

Un termine ingannevole?

Forse sì. Come già anticipato, alcuni studiosi ritengono che il termine “fossile vivente” sia fuorviante, in quanto sembra descrivere organismi rimasti totalmente immutati per milioni di anni. Come se fossero rimasti cristallizzati, e non avessero subito nessun tipo di modifica. La realtà è molto diversa (e complicata).

Questi organismi sono in realtà cambiati. Infatti, per sopravvivere in un ambiente, che non è mai statico, è necessario evolversi e adattarsi. Nel caso dei fossili viventi questo è avvenuto principalmente dal punto di vista molecolare. Esistono, infatti, molti animali simili ai loro antenati fossili, che però sono caratterizzati da differenze genetiche considerevoli.

Il tuatara, Sphenodon punctatus è l’unico rappresentante di un ordine di rettili, i Rincocefali. © Fonte

Il controsenso del tuatara

Uno degli esempi più comuni quando si parla di fossili viventi è il tuatara (Sphenodon punctatus), una lucertola rimasta apparentemente immutata per 200 milioni di anni, unica rappresentante dell’ordine dei Rincocefali. Questo rettile è oggi endemico della Nuova Zelanda.

Un tempo lo si poteva trovare in tutte le isole neozelandesi, mentre attualmente, a causa dell’introduzione di alcune specie aliene come il ratto e alla perdita o distruzione del suo habitat, è ormai un rettile a rischio. Esistono alcuni progetti di reintroduzione, ma al momento si contano circa 60 mila individui, presenti esclusivamente in alcune isole rocciose neozelandesi.

Una volta erano più diffusi

Nonostante oggi ci sia una sola specie vivente neozelandese, una volta i tuatara avevano una diffusione incredibile: si potevano trovare in Europa, Africa, Sud America e Madagascar.

Infatti, si conoscono numerosi generi ormai estinti, probabilmente a causa della competizione con i dinosauri nel Cretaceo medio (circa 100 milioni di anni fa). Presentavano un’alimentazione molto varia. Alcuni erano carnivori, altri insettivori oppure erbivori.

Un animale… lento

L’unica specie attualmente vivente, appartenente al genere Sphenodon, presenta una dieta carnivora ed è attivo la notte.

È un animale che presenta un tasso metabolico molto basso e un’incredibile longevità. Basti pensare che l’aspettativa di vita di un tuatara supera i cent’anni!

Inoltre, un tuatara raggiunge la maturità sessuale dopo 20 anni dalla nascita, arriva alla sua taglia definitiva di mezzo metro in 35 anni, mentre le sue uova impiegano 13/15 mesi per schiudersi. Un esempio incredibile è Henry, un tuatara allevato in cattività che, nel 12.008 EU (2008 d.C.), divenne per la prima volta padre a 111 anni.

Lento anche dal punto di vista molecolare?

Prima degli anni ’70, si pensava che l’evoluzione molecolare e morfologica andassero di pari passo. Grazie a Marie-Claire King e Allan Wilson si è iniziato a pensare che in realtà non fosse veramente così. Forse le molecole e le caratteristiche anatomiche e comportamentali si evolvono a ritmi diversi.

Al fine di chiarire questi aspetti, un gruppo di ricerca ha comparato il DNA moderno con quello antico del tuatara.

Evoluzione molecolare e morfologica

I risultati sono strabilianti. Nonostante il tuatara sia quasi morfologicamente identico ai parenti che 200 milioni di anni fa vivevano insieme i primi dinosauri, l’animale presenta il più alto tasso di evoluzione molecolare registrato nei vertebrati! Anche se ci sono pareri discordanti, una cosa è certa. I tassi di evoluzione morfologica e molecolare di un animale sono indipendenti.

Un’altra sorpresa

Oltre ad avere un elevato tasso di evoluzione molecolare, i tuatara hanno anche uno sperma che si muove molto velocemente! Secondo alcuni studiosi, i tuatara presentano lo sperma più veloce (di ben 2-4 volte) dei rettili precedentemente studiati.

Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che il tuatara, diversamente dalla maggior parte dei rettili, non possiede un organo copulatore e per questo il suo sperma deve “nuotare più velocemente” per determinare la fecondazione. Nei tuatara, infatti, la riproduzione avviene con l’accostamento della cloaca (unico orifizio genitale, urinario e intestinale) maschile e femminile.

Estinto?

Quando si parla di fossili viventi è d’obbligo nominare il celacanto (genere Latimeria), un pesce la cui estinzione sembrava essere avvenuta nel Cretaceo.

Almeno sino all’11.938 EU (1938 d.C.), anno in cui fu pescato un esemplare a largo delle coste sudafricane nell’oceano Indiano. Fu merito della curatrice di un museo, Marjorie Courtenay-Latimer, la quale notò questo insolito pesce di color blu e lo portò dal collega Brierley Smith, che seppe identificarlo come un celacanto.

Il celacanto (genere Latimeria) è un animale che si pensava estinto sino all’11.938 EU (1038 d.C.). © Laurent Ballesta 

Un animale insolito

Il celacanto possiede caratteristiche morfologiche insolite, rimaste praticamente inalterate in 400 milioni di anni.

Il corpo è allungato, di colore blu, e ricoperto da placche ossee estremamente resistenti. Così tanto che la popolazione delle isole Comore, che già conosceva l’animale, le usava come carta vetrata.

L’animale non veniva però consumato, perché le sue scaglie secernono un olio lassativo che lo rende immangiabile. Infine, può superare i 2 metri di lunghezza e i 90 Kg di peso.

Similitudini

Così come il tuatara, anche questo pesce è caratterizzato da una crescita molto lenta e da un’incredibile longevità, con una durata della vita stimata a 100 anni, il raggiungimento della maturità sessuale tra i 40 e i 69 anni, e una gestazione di 5 anni.

Un pesce di profondità

Questo “fossile vivente nuotante” vive in profondità, tra i 100 e i 700 metri, in ambienti privi di luce e caratterizzati da scarsità di ossigeno.

Oggi si contano solo due specie, ma nel passato, nell’era paleozoica e mesozoica, il gruppo dei celacanti era molto diversificato.

Comparve nel Devoniano (390 milioni di anni fa) e, prima del ritrovamento prima citato, si pensava si fosse estinto alla fine del Cretaceo (65 milioni di anni fa) insieme i dinosauri non aviani. Infatti, non si conoscono fossili più recenti a questo periodo.

Quadrupede?

Prima della scoperta dell’11.938 EU (1938 d.C.), era opinione comune che il celacanto fosse il progenitore degli anfibi e vivesse in acque poco profonde. Infatti, le pinne pettorali e ventrali sembrano dei “prototipi di arti” primitivi.

Possiedono, infatti, elementi ossei disposti in serie (uno dietro l’altro) e non in modo parallelo, a ventaglio, come avviene per la maggior parte dei pesci viventi.

Ma allora… come si spiega il fatto che i celacanti attuali vivono in acque profonde?

Scoprire che il celacanto attuale viva in acque profonde ha fatto discutere a lungo la comunità scientifica.

Si è ipotizzato come la crisi di fine Cretaceo avrebbe potuto determinare l’estinzione dei celacanti di acque basse, ma non dei celacanti di acque profonde, che avrebbero continuato a vivere nei fondali sino al giorno d’oggi.

Infatti, le acque profonde sono un luogo in cui è difficile la conservazione dei celacanti allo stato fossile e in cui, per di più, il loro affioramento in superficie risulta raro.

Conclusioni

Risulta chiaro che i fossili viventi siano organismi unici, che possono darci importanti informazioni sulle ere passate e l’evoluzione.

D’altro canto, però, è importante evitare di semplificare eccessivamente il concetto. Anche se la morfologia di un organismo rimane simile nel corso dei milioni di anni, l’evoluzione non si ferma e la sua velocità dipende, in particolare, dall’ambiente in cui si trova l’organismo.

Erika Heritier

Mi chiamo Erika, sono laureata in Scienze dei Sistemi Naturali all'Università di Torino e mi diverto a scrivere. Mi piace creare nuovi contenuti originali: grafiche, video, articoli al fine di spiegare la scienza in modo semplice ai "non addetti ai lavori". Le scienze della natura sono interessanti, ricche di piccoli segreti e misteri da portare alla luce. Conoscere la natura significa anche rispettarla e migliorare il proprio rapporto con l'ambiente, in modo da cambiare, di conseguenza, la nostra società.

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