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Le prove dell’evoluzione dell’uomo pt.2 – Orecchie

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta delle tracce che l’evoluzione ha lasciato sul nostro corpo, con il secondo articolo di questa rubrica, che riguarda nientepopodimeno che le nostre orecchie! Per chi se lo fosse perso, nel primo articolo abbiamo parlato del coccige, della perdita della coda nelle grandi scimmie e dei denti del giudizio.

Bellissima ricostruzione dell’albero filogenetico dell’uomo e dei suoi antenati, pubblicato in un articolo di Focus. Qui in versione ingrandita.

L’estate evoluzione addosso (semicit.)

Il corpo umano è pieno di parti che non hanno nessuno scopo pratico, sono strascichi di un processo evolutivo, che plasma costantemente un organismo nel corso del tempo. Queste strutture vengono definite “organi vestigiali”, un tempo utili ai nostri antenati, ma che, con l’evoluzione, sono regredite, lasciando solo una traccia. In latino, la parola “vestigium” significa, per l’appunto, impronta. Quando parliamo di antenati, non ci riferiamo necessariamente ai nostri antenati più prossimi, tipo l’uomo di Neanderthal, ma anche a specie ben più antiche, specie anatomicamente molto diverse da noi.

Muscoli delle orecchie

Vi sarà capitato di vedere un cane che “drizza” le orecchie quando sente un rumore che lo incuriosisce; o, nei documentari della National Geographic, ci sono sempre riprese di mammiferi di qualsiasi specie che, immersi nel loro habitat, muovono costantemente le orecchie per carpire il minimo indizio della presenza di un predatore.

Noi umani abbiamo perso questa funzione, non riusciamo a muovere le orecchie come i nostri amici a quattro zampe; non muoviamo il padiglione auricolare quando focalizziamo la nostra attenzione, né pieghiamo indietro le orecchie durante le incazzature o quando ci spaventiamo.

E no, quel vostro amico che riesce a fare micromovimenti con le orecchie non rappresenta un’eccezione.

Tuttavia, la scienza ci dice che il sistema per il controllo dei movimenti dell’orecchio è rimasto più o meno intatto nel cervello umano.

Ma come?

Pur avendo perso la quasi totalità della mobilità dei nostri padiglioni auricolari, abbiamo comunque conservato parte dei muscoli necessari a muoverli. In particolare, ne abbiamo tre estrinseci all’orecchio (auricolaris anterior, superior e posterior) e uno intrinseco, transversus auriculae, l’unico muscolo rimastoci per arricciare di qualche millimetro il bordo esterno del padiglione auricolare, quando gli occhi vengono ruotati con forza da un lato.

Ci siete? So che ci avete provato.

Struttura muscolare della faccia. Notate la posizione di auricolaris anterior, superior e posterior. Fonte.

Studi su questo argomento ci sono ormai da più di un secolo. Una review del 2015 ha fatto un sunto di quanto si sa a riguardo e ha evidenziato tre “prove” di questo meccanismo vestigiale.

Prova 1

Suoni bruschi, o intensi, innescano potenziali di azione nelle fibre dei muscoli dell’orecchio, in particolare del muscolo auricolaris posterior. Cosa vuol dire? Che conserviamo un riflesso che si attiva involontariamente in situazioni di pericolo/agguato (riflesso post-auricolare). Come quando allontaniamo la mano da qualcosa che scotta, senza che il comando venga pensato, ma, appunto, di riflesso. Il riflesso post-auricolare si attiva 8-12 millisecondi dopo aver udito lo stimolo sonoro e rappresenta una delle risposte più veloci a stimoli esterni che abbiamo.

Tuttavia, per quanto veloce, non è abbastanza per determinare alcun movimento fisico dei padiglioni auricolari.

Le ragioni sono diverse:

  • la risposta attiva solo una decina di unità motorie (costituite da un motoneurone e da tutte le fibre muscolari da esso innervate);
  • la leva che può esercitare il tendine del muscolo è molto bassa, poiché esso si inserisce proprio alla base del padiglione auricolare.

Prova 2

Diversi test hanno dimostrato che in seguito a un rumore alle nostre spalle, verso destra o verso sinistra, istintivamente giriamo gli occhi e la testa verso il suono. Nel fare questo, il riflesso di cui parlavamo prima si attiva in maniera molto forte, facendo registrare dei picchi nell’elettromiografia (EMG). Se, però, ruotiamo la testa mantenendo gli occhi fissi su qualcosa di fronte a noi, il riflesso non si attiva. Questo fenomeno è legato a ciò che osserviamo negli animali: in risposta ad un suono brusco alle proprie spalle, una volpe volta la testa e gli occhi verso il lato di provenienza del suono e tira indietro l’orecchio corrispondente. Un’altra risposta nell’EMG si ha anche per il transversus auricolae, che fa arricciare di poco bordo del padiglione auricolare.

Prova 3

Un’ulteriore prova di questo riflesso deriva da uno studio in cui a dei partecipanti veniva chiesto di leggere un testo e, a intermittenza, venivano riprodotti dei suoni a bassa intensità da un altoparlante, nascosto alla loro sinistra. I suoni riprodotti erano quello del rumore dei tasti di una tastiera, il canto di uccelli, di un liquido che viene versato.

Le registrazioni EMG hanno mostrato una rapida attivazione del muscolo auricolaris posterior sinistro, anche se i partecipanti continuavano indisturbati la lettura del testo assegnato. Lo stimolo registrato indica che l’orecchio, inconsciamente, stava cercando di indirizzarsi verso lo stimolo sonoro, anche se la testa e gli occhi erano fissi sul testo.

Questa figura mostra l’attività EMG del muscolo auricolaris posterior. Durante la misurazione, è stato riprodotto un rumore con uno speaker nascosto alle spalle e alla sinistra dei volontari. Il grafico mostra un picco proprio in prossimità del suono, come se il partecipante stesse tentando di muovere indietro l’orecchio sinistro per allineare il suo asse acustico con la sorgente sonora. Fonte.

La questione da un punto di vista evolutivo

Considerando che né i rettili né i mammiferi che depongono le uova (ornitorinco ed echidna) hanno padiglioni auricolari, i circuiti che fanno muovere il padiglione auricolare devono essersi evoluti successivamente. I marsupiali, dall’opossum nordamericano (Didelphis virginiana) al wallaby australiano (Macropus eugenii), hanno padiglioni auricolari perfettamente mobili. Questa distribuzione geografica suggerisce che tali sistemi cerebrali potrebbero essersi evoluti nei marsupiali primitivi, forse circa 150 milioni di anni fa.

Esemplare di Didelphis virginiana.

I padiglioni auricolari mobili sono, a quanto ne sappiamo, universali tra i mammiferi placentati, ad eccezione delle specie marine, delle specie sotterranee e delle scimmie antropomorfe (per esempio bonobo, balene e talpe). Quando abbiamo cominciato a perderli?

Sebbene essi siano presenti nelle proscimmie (il sottordine delle Prosimiae), che includono lorisidi e lemuri, cambiamenti significativi nel sistema uditivo sono verosimilmente iniziati 30-50 milioni di anni fa. Le orecchie sono diventate via via più corte, più larghe e posizionate più lateralmente. In generale, la loro dimensione rispetto a quella della testa è diminuita, la muscolatura associata è degenerata e sono diventate meno mobili. Con il tempo, un condotto uditivo ossuto e rigido ha iniziato a sostituire quello cartilagineo.

Potrebbe essere stato cruciale, per questi cambiamenti, il passaggio da uno stile di vita prevalentemente notturno a uno diurno, in cui la vista giocava un ruolo sempre più importante rispetto all’udito.

Conclusione

Chi lo avrebbe mai detto che c’erano così tanti retroscena dietro a quell’amico che sa muovere le orecchie. Volete sapere come attivare i vostri muscoli associati all’orecchio?

Beh, potete farlo semplicemente concentrandovi e provando a muovere anche voi le orecchie. Oppure girate lo sguardo e la testa verso destra o sinistra. Sentite che qualcosa succede nell’orecchio? No? Allora provate a portare la mano sullo sterno, a palmo aperto, e a toccarla con il mento piegando la testa in basso. La sentite quella strana sensazione a livello delle orecchie? Fateci sapere!

Giovanni Cagnano

Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby. Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato :)

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