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L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

L’eruzione del Vesuvio del 10.079 EU (79 d.C.) è uno degli eventi catastrofici più conosciuti in ambito storico. Gli effetti collaterali furono molti: le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis furono distrutte. Molti abitanti non ebbero via di scampo. Le città non furono mai ricostruite e nel tempo si perse la loro memoria. Solo nel 113° secolo EU (XVIII secolo d.C.), le città romane di Pompei ed Ercolano furono riscoperte e portate alla luce.

[Nota: in questo articolo, come ormai d’abitudine, utilizziamo la datazione temporale in formato Era Umana, EU, perché riteniamo che permetta di meglio comprendere gli avvenimenti passati come parte della storia umana, la cui data convenzionale di inizio è fissata al 10.000 a.C.]

La data

La presunta data dell’evento è il 24 ottobre del 10.079 EU (79 d.C.), anche se inizialmente si pensava fosse il 24 agosto. Questo per via di una lettera di Plinio il Giovane, in cui scrisse, riferendosi all’eruzione: nonum kal septembres, che si può tradurre con “nove giorni prima delle Calende di settembre”, ovvero il 24 agosto.

Molti indizi archeologici sembrano però indicare che l’evento sia avvenuto in autunno. Tra questi, un’iscrizione a carboncino in una casa di Pompei che recita: “Il 17 ottobre lui indulse al cibo in modo smodato”. Il carboncino non avrebbe resistito sino all’estate successiva, per questo si assume che la scritta risalga a una sola settimana prima dell’eruzione del Vesuvio.

Gli eventi

La storia dell’eruzione è stata descritta da due lettere di Plinio il Giovane, nipote di Plinio il Vecchio, su richiesta di Caio Cornelio Tacito, alcuni anni dopo. Nelle lettere racconta la morte dello zio Plinio il Vecchio e le dinamiche della catastrofe. Egli viveva con la madre presso lo zio, lungo il golfo di Napoli.

Alcuni anni prima dell’eruzione ci furono una serie di terremoti. Il più intenso probabilmente nel 9938 EU (62 a.C.), terremoto che causò il crollo di alcune abitazioni. I segni delle riparazioni si osservano in molte case riportate alla luce in seguito all’eruzione.

Inoltre, l’analisi dei sedimenti prodotti nelle città di Pompei ed Ercolano ha permesso di studiare meglio la dinamica dell’eruzione pliniana o esplosiva, che si è distinta in tre fasi.

Fase di apertura freatomagmatica

La prima è la fase di apertura freatomagmatica. Intorno l’una del 24 ottobre (o agosto?), una serie di esplosioni fece sussultare la popolazione che viveva in prossimità del vulcano Vesuvio. Queste deflagrazioni determinarono la riapertura del camino vulcanico, con una grande immissione di cenere vulcanica.

Fase pliniana principale

La seconda fase, detta pliniana principale, perdurò sino alle 8 di mattina del 25 ottobre. Un’imponente colonna di gas, ceneri e pomici occupava il cielo oscurato. Frequenti terremoti scuotevano le strade delle città. A Pompei le pomici, ovvero rocce vulcaniche derivanti da un improvviso raffreddamento del magma, formarono un deposito di diversi metri di spessore!

Nel corso della notte l’attività sembrava ormai finita, e molte persone fecero ritorno a casa. Purtroppo non fu così: nella mattina del 25 ottobre si assistette al collasso della colonna eruttiva e alla formazione di flussi piroclastici turbolenti.

Fase freatomagmatica

L’ultima fase durò sino alla tarda mattinata del 25 ottobre e fu caratterizzata dalla deposizione di flussi di ceneri e pomici di origine freatomagmatica. In totale, si stima che nel corso dell’eruzione furono emessi dai 3 ai 4 km cubi di magma, con una portata di 40 mila metri cubi al secondo.

La distruzione delle città

Dalla lettera scritta da Plinio il Giovane a Caio Cornelio Tacito:

[…] Mi volgo indietro: una fitta oscurità ci incombeva alle spalle e, riversandosi sulla terra, ci veniva dietro come un torrente.

 

“Deviamo, le dico, finché ci vediamo ancora, per evitare di essere fatti cadere sulla strada dalla calca che ci accompagna e calpestati nel buio”. Avevamo fatto appena a tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c’è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in ambienti chiusi. Avresti potuto sentire i cupi pianti disperati delle donne, le invocazioni dei bambini, le urla degli uomini […]

Il dipinto “L’ultimo giorno di Pompei”, di Karl Pavlovič Brjullov (11.830-11833 EU, 1830-1833 d.C.). © Fonte

Le città prima dell’eruzione

Le città romane furono cancellate, le campagne e i vitigni furono ricoperti di cenere e piogge acide. I fenomeni che interessarono le città furono però diversi. Ma facciamo un passo indietro.

La mattina del 24 ottobre, quando nulla era ancora successo, la città di Pompei accoglieva 20 mila abitanti. La campagna era ricca di vigneti e caratterizzata da un suolo scuro molto fertile, segno delle precedenti eruzioni.

Ercolano era invece una cittadina più piccola, di soli 5 mila abitanti: una delle mete preferite dai ricchi romani. Vi erano grandi ville e terme.

Stabia era un tranquillo insediamento dove, probabilmente, morì Plinio il vecchio. A differenza di Pompei ed Ercolano, il ripopolamento e la ricostruzione della città avvennero subito dopo.

Pompei, Stabia ed Ercolano

I fenomeni che riguardarono le città di Pompei e Stabia durante l’eruzione del Vesuvio furono diversi rispetto quelli che colpirono Ercolano. Nel primo caso, i danni maggiori furono causati dalle scosse di terremoto e dalla pioggia incessante di cenere, lapilli e pomici.

A Ercolano, la storia fu diversa. Sino ad alcuni decenni fa si pensava che tutti gli abitanti si fossero salvati perché la città non fu colpita dalla prima fase. Infatti, le ceneri arrivarono dopo 12 ore.

Però, prima a Ercolano e successivamente a Pompei arrivò un flusso piroclastico, una nuvola di ceneri molto calda (da 200 a 500 °C) in rapido movimento (da 100 a 300 km/h), con un basso contenuto di ossigeno, ma ricco di vapore surriscaldato e altri gas vulcanici. In queste condizioni, sopravvivere è impossibile.

La triste sorte degli abitanti di Ercolano

Probabilmente le vittime di Ercolano non si resero conto di morire. Come evidenzia un recente studio, la loro morte fu probabilmente improvvisa. Le prove suggeriscono, infatti, che la loro dipartita sia avvenuta per la rapida vaporizzazione dei fluidi corporei dovuta al calore estremo. Il sangue, trasformato in vapore, avrebbe fatto deflagrare il cranio.

Nell’immagine possiamo vedere le crepe e l’annerimento dei crani delle vittime di Ercolano. © Fonte

Il cervello vetrificato di Ercolano

Una ricerca coordinata da Pier Paolo Petrone ha scoperto la presenza di materiale cerebrale vetrificato nel corpo di una vittima di Ercolano. La scoperta è straordinaria! Vi spiego perché.

In ambito archeologico, sono pochissimi i resti contenenti materiale cerebrale. L’unico caso riguarda i tessuti saponificati: in ambienti particolari, gli acidi grassi si trasformano in sapone. Ma resti di cervello vetrificato non sono mai stati trovati in contesto archeologico o forense.

Il fenomeno della vetrificazione in ambito archeologico riguarda esclusivamente materiale di origine vegetale, come il legno carbonizzato. La sua formazione avviene normalmente tra i 310 e 510 °C, intervallo che comprende le temperature che si verificarono a Ercolano.

Come avviene la vetrificazione?

Normalmente, la vetrificazione è un processo determinato da una liquefazione seguita da una veloce solidificazione. Basti pensare all’ossidiana, il vetro vulcanico amorfo derivante da un rapido raffreddamento della lava.

È veramente cervello?

All’interno del materiale vetrificato sono state trovate proteine che si trovano nei tessuti cerebrali (corteccia cerebrale, cervelletto, amigdala e ipotalamo), ma anche trigliceridi e acidi grassi che si rinvengono nei capelli. Queste sostanze non sono state trovate nelle ceneri adiacenti al corpo o nel carbone proveniente dal sito archeologico.

I neuroni conservati

La ricerca non si è fermata e, nel 12.020 EU (2020 d.C.), è stato pubblicato un nuovo articolo inerente a questo caso. Grazie all’utilizzo della microscopia elettronica a scansione e uno strumento di elaborazione delle immagini è stato possibile descrivere la presenza di strutture tipiche del sistema nervoso centrale.

A 2000 anni dall’eruzione del Vesuvio, il processo di vetrificazione ha permesso di conservare le strutture cellulari del tessuto neuronale. Questi risultati sono stupefacenti! La conservazione del materiale nervoso vetrificato implica che è stato concesso tempo per il rapido raffreddamento prima della sepoltura “finale” sotto ulteriori metri di detriti piroclastici caldi.

Quindi, probabilmente, i flussi piroclastici che investirono Pompei ed Ercolano nel corso dell’eruzione del Vesuvio non furono continui.

A, immagine al SEM di assoni cerebrali. B, assoni del midollo spinale (verde) e corpi cellulari (giallo). © Fonte

Conclusioni

L’eruzione esplosiva del Vesuvio fu un evento catastrofico che portò alla morte di migliaia di persone. Un evento che potrebbe ripetersi, come sostiene lo stesso Petrone: «il rischio c’è ed è in costante aumento, anno dopo anno: il Vesuvio ha una storia eruttiva che dimostra come ogni 2000 anni circa il vulcano abbia dato luogo a eruzioni pliniane, dunque di tipo esplosivo, le più devastanti».

Per fortuna, a differenza di 200 anni fa, oggi disponiamo di mezzi che possono aiutarci a predire questi eventi.

Erika Heritier

Mi chiamo Erika, sono laureata in Scienze dei Sistemi Naturali all'Università di Torino e mi diverto a scrivere. Mi piace creare nuovi contenuti originali: grafiche, video, articoli al fine di spiegare la scienza in modo semplice ai "non addetti ai lavori". Le scienze della natura sono interessanti, ricche di piccoli segreti e misteri da portare alla luce. Conoscere la natura significa anche rispettarla e migliorare il proprio rapporto con l'ambiente, in modo da cambiare, di conseguenza, la nostra società.

Un pensiero su “L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

  • Articolo meraviglioso 👏👏 mi ha scioccato e commosso nello stesso tempo. Grazie a tutti voi di missione scienza per le perle che ci donate 💖

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