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Diabete e obesità in ottica evolutiva

Oggi tratteremo un grande problema della società attuale: l’obesità, correlata al diabete di tipo II. In particolare, vedremo le ipotesi evolutive che cercano di spiegare la grande diffusione di questa “epidemia”.

La recente epidemia di diabete di tipo II e obesità, diffusasi in un breve intervallo di tempo, riflette un cambiamento ambientale. La presenza di obesità e diabete di tipo II è aumentata drammaticamente dall’inizio del millennio. Nel 12.008 EU (2008 d.C.), per la prima volta nella lunga storia dell’Homo sapiens, il numero di persone obese sulla terra ha superato il numero di persone che soffrono di fame e malnutrizione.

L’obesità non è solo un problema degli adulti: attualmente il sovrappeso o l’obesità colpiscono uno su dieci bambini o adolescenti in tutto il mondo, e uno su cinque in Europa. È noto che l’obesità può danneggiare la salute; infatti, spesso è associata a diverse malattie croniche come malattie cardiache, ictus, ipertensione.

L’obesità è correlata anche con il diabete di tipo II, una delle malattie metaboliche più gravi con conseguenze disastrose a lungo termine come cecità, nefropatia o amputazione degli arti inferiori.

Queste condizioni sono completamente nuove nell’evoluzione dell’Homo sapiens?

I recenti tassi straordinariamente elevati potrebbero indicare che obesità e diabete mellito (di tipo II) siano fenomeni eccezionalmente recenti. In realtà abbiamo prove sufficienti per considerare l’emergere dell’obesità su base individuale già dal Paleolitico superiore. Nonostante questo, durante la preistoria l’obesità era una condizione molto rara.

Ora però ci chiediamo: perché si sono evolute queste condizioni specifiche? Come affermò Dobzhansky, “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Di fatti, l’evoluzione è il paradigma centrale della scienza biologica e per questo l’obesità e il diabete di tipo II devono essere considerati nel quadro dell’evoluzione umana.

Medicina evolutiva

A questo proposito si collega la medicina evolutiva. Anche perché un approccio esclusivamente biochimico non riesce a spiegare adeguatamente il dilagare delle malattie croniche “della civiltà” come l’arteriosclerosi, il diabete mellito, l’obesità o l’ipertensione.

Il concetto di medicina evolutiva o darwiniana fu formalizzato nei primi anni Novanta dal biologo evoluzionista Williams e dallo psichiatra Nesse. È una disciplina che unisce biologia evolutiva, medicina clinica e discipline biomediche sperimentali.

Si basa su tre punti chiave:

1) La selezione naturale agisce sul successo riproduttivo dell’organismo (chiamato fitness) e non sulla sua salute o longevità;

2) La storia evolutiva in sé non causa malattie, ma ha un impatto sul rischio di contrarne in un particolare ambiente (come quello attuale caratterizzato da sedentarietà);

3) L’essere umano vive ora in un ambiente diverso da quello nel quale la nostra specie e i nostri antenati si sono evoluti.

Evolutionary mismatch

Da queste basi deriva il concetto di “discordanza evolutiva” o evolutionary mismatch (Wiki [eng]). Uno squilibrio legato a un tratto che, dopo essersi evoluto e trasmesso per generazioni in un particolare ambiente, diviene disfunzionale se posto in un altro.

Per il 99% della sua storia evolutiva, Homo sapiens ha seguito uno stile di vita da cacciatore-raccoglitore caratterizzato da un’elevata attività fisica e una dieta molto diversa dall’attuale. L’alimentazione era basata su un maggior introito di alimenti a elevata densità energetica e migliore qualità, in buona parte di origine animale. Il pool genetico di Homo sapiens è stato quindi modellato dalla selezione naturale e sessuale verso un adattamento ottimale a questi ambienti e circostanze della vita.

I tassi così alti di diabete mellito e obesità sono il risultato di una discrepanza tra l’ambiente di selezione e adattamento evolutivo della nostra specie e i nostri recenti stili di vita, caratterizzati da sedentarietà e abitudini alimentari scorrette. Ricordiamoci che una dieta considerata oggi equilibrata in realtà si discosta molto da quella dei cacciatori-raccoglitori paleolitici.

Studio

Uno studio incrociato randomizzato di 3 mesi in soggetti con diabete di tipo II, ha dimostrato che una dieta paleolitica sembrerebbe migliorare il controllo della glicemia rispetto a una dieta convenzionale per il diabete. La dieta paleolitica è basata principalmente su alimenti come carne magra, pesce, frutta, verdure, ortaggi, uova e noci.

Alimenti presenti e assenti nella dieta paleolitica. Vediamo la totale assenza di bevande dolcificate, dolci, prodotti ottenuti dai cereali e vari tipi di grassi. © Fonte

Nei grafici seguenti osserviamo come la dieta neolitica (prima o dopo quella convenzionale) abbia apportato miglioramenti oltre che alla glicemia (glicata) anche a fattori di rischio cardiovascolare, come trigliceridi, lipoproteine ad alta densità e pressione arteriosa.

Lo studio: metà delle persone analizzate hanno iniziato con una dieta convenzionale per il diabete per tre mesi e per i tre seguenti hanno seguito la dieta paleolitica (cerchi pieni) e l’altra metà ha invece iniziato direttamente con la dieta paleolitica (cerchi vuoti). La dieta neolitica ha apportato miglioramenti della glicata e altri fattori di rischio cardiovascolare. © Fonte

Ipotesi evolutive

Nel corso degli anni sono state proposte alcune ipotesi evolutive per andare a spiegare queste condizioni: ne vedremo alcune, quelle che ho ritenuto più importanti.

Il genotipo parsimonioso

La prima spiegazione evolutiva del diabete di tipo II e dell’obesità umana fu fornita da James Neel negli anni ’60. Egli formulò la teoria del “Genotipo Parsimonioso (pdf)”, primo modello evoluzionista nel campo delle malattie metaboliche, che spiegava l’elevata incidenza di obesità e diabete tipo II con la persistenza di un genoma ancestrale risparmiatore.

Questo genotipo parsimonioso si sarebbe evoluto sotto la pressione selettiva degli innumerevoli cicli di abbondanza/carestia che hanno caratterizzato gran parte della storia umana.

Cosa significa?

Semplicemente che un’alta frequenza di periodi di carestia e fame causava una maggiore sopravvivenza (e successo riproduttivo) degli individui con geni che conferivano la capacità di immagazzinare energia in modo più efficiente. L’obesità e il diabete mellito sarebbero quindi interpretati come sintomi di benessere.

Il passaggio a uno stile di vita moderno caratterizzato dal consumo di una grande quantità di cibi ricchi di energia e una riduzione dell’attività fisica avrebbe poi reso dannoso un genotipo una volta adattivo.

Neel però non ha indicato quando nella nostra evoluzione potrebbero essersi verificati i cicli proposti di carestia. Si pensa che in realtà i fenomeni più importanti siano comparsi con l’avvento dell’agricoltura, un cambiamento molto recente se si considera la durata della nostra storia evolutiva. Di conseguenza questi cicli non avrebbero avuto frequenza, intensità o durata sufficienti per esercitare un’adeguata pressione selettiva a favore del genotipo parsimonioso.

Il fenotipo parsimonioso

Durante gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 è stata introdotta un’ipotesi alternativa, quella del fenotipo parsimonioso (Wikipedia [eng]). Gli epidemiologi britannici Barker e Hales hanno proposto l’idea che fattori di stress ambientale, come la malnutrizione nella prima infanzia e in particolare nell’utero, potrebbero influenzare lo sviluppo di obesità e diabete di tipo II nel corso della vita.

Questa ipotesi postula che i neonati a basso peso alla nascita abbiano meccanismi parsimoniosi per l’accumulo di grasso e il risparmio di glucosio. Questa ipotesi è stata estremamente influente, anche se una recente meta-analisi non è riuscita a supportare le sue previsioni.

Altre ipotesi correlate all’obesità

Esistono altre ipotesi molto interessanti che sono principalmente correlate all’obesità, la quale sappiamo essere correlata con il diabete mellito.

I punti di intervento

Qualsiasi scenario che postula un vantaggio selettivo per l’obesità a causa di geni parsimoniosi deve spiegare perché solo una parte della popolazione sembra aver ereditato questi geni parsimoniosi.

Per cercare di trovare una nuova spiegazione all’obesità, John R. Speakman si fa portavoce di un nuovo scenario evolutivo, che sottolinea l’importanza giocata dal rilascio della predazione.

Cosa??

Partiamo dall’inizio. Negli animali sembra esserci un sistema di regolazione del peso corporeo controllato da due punti di intervento: uno superiore e uno inferiore. Al di sopra e al di sotto di questi, gli animali “intervengono” per riportare la loro massa corporea in un intervallo accettabile.

Il punto di intervento superiore è regolato dal rischio di predazione; quello inferiore dal rischio di fame. © Fonte

Il punto di intervento inferiore è impostato dalla pressione di selezione relativa al rischio di fame, quindi dalla possibilità di affrontare carenze di cibo. Quello superiore è regolato da una pressione selettiva relativa al rischio di predazione. Un animale che accumula più grasso sarà più facilmente predato.

Ma cosa succede 1,8 milioni di anni fa?

Gli esseri umani si distaccano dal rischio di predazione, evolvendo prima di tutto un comportamento sociale e, in seguito, l’utilizzo di strumenti in pietra e del fuoco. La predisposizione genetica all’obesità è vista quindi come conseguenza dell’assenza di selezione guidata dalla predazione, che avrebbe alzato sempre di più il punto di intervento superiore.

Nel suo studio, Speakman cerca di modellizzare la situazione e, in breve, vede che il modello si avvicina alla condizione reale osservata nell’anno 2000. Nonostante siano state effettuate alcune semplificazioni, la parametrizzazione del modello si traduce in una distribuzione prevista di fenotipi dell’obesità che è abbastanza concordante con la distribuzione attuale.

L’esposizione climatica

Un’ultima ipotesi, formulata abbastanza recentemente, è quella dell’esposizione climatica. Alcuni gruppi etnici sono caratterizzati da una maggiore prevalenza di obesità rispetto ad altri (per esempio i Pima).

Ergo, un unico principio evolutivo non può spiegare la predisposizione genetica all’obesità, perché le pressioni evolutive affrontate dagli antenati di ogni gruppo etnico sono state molto diverse. Queste sono state determinate dalla migrazione iniziata quando i primi sapiens lasciarono l’Africa.

Arriviamo al dunque…

Il postulato è che, in popolazioni che si sono evolute in climi rigidi, l’adattamento al freddo abbia favorito geni per la resistenza a basse temperature con l’attività della UCP1. Questa è una proteina di disaccoppiamento che permette un utilizzo a lungo termine dei grassi per la generazione di calore. È correlata a un alto metabolismo basale e alla resistenza all’obesità.

Il contrario si osserva nelle popolazioni in cui gli antenati non avevano bisogno dell’attività di UCP1 perché si trovavano in un clima mite. Queste sono quindi caratterizzate da una maggior propensione per l’obesità quando esposte a vita sedentaria e dieta ipercalorica.

In questa immagine osserviamo l’importanza delle pressioni evolutive affrontate dalle popolazioni nel corso della colonizzazione delle terre emerse. Geni per l’adattamento al freddo; BAT (tessuto adiposo bruno) efficiente; funzione della proteina UCP; metabolismo basale elevato = resistenza a obesità. © Fonte

Conclusioni

Gli attuali tassi molto alti di obesità e di diabete di tipo II, osservabili in tutto il mondo, sono le conseguenze di una profonda discrepanza tra l’ambiente di adattamento evolutivo e i nostri recenti modelli di stile di vita caratterizzati da una dieta ipercalorica e una ridotta attività fisica.

L’obesità e il diabete di tipo II, come abbiamo visto, sono il risultato del dialogo tra genotipo e ambiente. Di conseguenza esiste una base genetica che può spiegare la predisposizione a queste sindromi, che in qualche modo si sono evolute durante la nostra storia evolutiva. Questa non inizia 200-300 mila anni fa con la comparsa dell’Homo sapiens, ma alcuni milioni di anni prima, con la comparsa dei primi ominini bipedi.

Nel corso del tempo sono state formulate diverse ipotesi per spiegare l’evoluzione delle basi genetiche di obesità e diabete mellito, ma non esiste ancora una teoria accettata da tutti.

Erika Heritier

Mi chiamo Erika, sono laureata in Scienze dei Sistemi Naturali all'Università di Torino e mi diverto a scrivere. Mi piace creare nuovi contenuti originali: grafiche, video, articoli al fine di spiegare la scienza in modo semplice ai "non addetti ai lavori". Le scienze della natura sono interessanti, ricche di piccoli segreti e misteri da portare alla luce. Conoscere la natura significa anche rispettarla e migliorare il proprio rapporto con l'ambiente, in modo da cambiare, di conseguenza, la nostra società.

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