Una lumaca che fa la fotosintesi: Elysia chlorotica

Era il lontano 2015 quando un giovane Giovanni, su un’altrettanta giovane Missione Scienza, scriveva un post su Elysia chlorotica.

Oggi torniamo sull’argomento per diverse ragioni:

  • per smentire quello che affermai ormai anni fa;
  • perché Elysia chlorotica è troppo figa e merita di essere approfondita.

Il gasteropode che fa la fotosintesi

Elysia chlorotica è un gasteropode.

“Gastechè?”

Un gasteropode, l’ordine che comprende chiocciole, lumache e altri molluschi, con e senza guscio. In particolare, Elysia chlorotica è una lumaca marina, appartenente al superordine dei Sacoglossi. La si trova nelle acque della East Coast americana, in acque poco profonde, mentre rappa contro le lumache marine della West Coast.

Potrei essermi inventato questa ultima cosa.

Elysia chlorotica ha un aspetto stupendo. Il suo verde intenso la rende molto simile a una foglia…

E per certi versi lo è!

Il gasteropode deve il suo colore verde alla presenza di cloroplasti. Sì, esatto, gli stessi presenti nelle piante!

Vi chiederete: “come diavolo ci sono finiti dei cloroplasti all’interno delle cellule di una lumaca marina?”

Già nel 1970 fu dimostrato come questi venissero “rubati” durante il processo digestivo all’alga Vaucheria litorea, uno dei principali alimenti di Elysia chlorotica. In realtà, questo fenomeno, che prende il nome di “cleptopastidia”, non è una prerogativa della specie, ma di tutto l’ordine dei Sacoglossi.

La cosa inspiegabile di Elysia chlorotica è che può sopravvivere fotosintetizzando per ben 12 mesi [eng]!

La fotosintesi permette alla lumaca di sopravvivere qualora si trovasse in un ambiente privo di alimenti, dandole un grosso vantaggio rispetto ad altri esseri viventi.

Il punto qual è?

I componenti dei cloroplasti, durante le reazioni di fotosintesi, si possono danneggiare. Per mantenerli attivi occorrono tutta una serie di geni, contenuti nel nucleo dell’alga Vaucheria litorea, che codificano per le cosiddette proteine plastidiche.

Ma di nuclei dell’alga, all’interno della lumaca, non c’è traccia.

Come è possibile che l’animale riesca a sfruttare, all’interno delle cellule del proprio tratto digerente, i cloroplasti per così tanto tempo?

Elysia chlorotica
Esemplare di Elysia chlorotica. © Fonte.

È qui che avevo sbagliato anni fa…

La notizia che ho riportato nel post di inizio articolo si è dimostrata errata.

Basandomi sulla pubblicazione [eng] del professor Pierce, e citando le sue stesse parole, avevo parlato del “primo trasferimento orizzontale fra due organismi pluricellulari”.

Diversi gruppi di ricerca, infatti, avevano avanzato questa ipotesi con delle prove anche abbastanza convincenti. L’idea è che, in un modo ancora da comprendere, oltre ai cloroplasti, la lumaca avesse “rubato” anche dei geni dal nucleo dell’alga, e che questi permettessero il corretto funzionamento e mantenimento dei plastidi.

Analisi sul genoma di lumache adulte, con tecniche come la PCR o la qRT-PCR, sembravano sostenere questa ipotesi.

Analisi sul trascrittoma (analisi dei geni espressi) di adulti attivamente fotosintetici ha invece dato risultati discordanti. E anche quando si rilevava la presenza di un mRNA corrispondente a un gene dell’alga, questo era presente in singola copia, un po’ pochino per parlare di una corretto e funzionale trasferimento di geni orizzontale.

A tagliare la testa al toro, ci ha pensato un gruppo di ricerca americano con una bellissima pubblicazione [eng]. Date le evidenze discordanti ottenute analizzando lumache adulte, probabilmente dovute anche alla presenza dei cloroplasti stessi, il gruppo si è dedicato a estrarre il materiale genetico presente nelle uova della lumaca.

Le uova, non fecondate, non essendosi mai nutrite di alghe, non possono contenere cloroplasti o residui di materiale genetico dell’alga.

Dall’analisi del genoma e del trascrittoma delle cellule germinali non risultano geni dell’alga presenti e tanto meno espressi.

Elysia chlorotica
Elysia chlorotica che fa il pieno di alghe e cloroplasti. © Fonte.

 

Il mistero rimane

Siamo tornati al punto di partenza. Come si spiega la longeva attività dei cloroplasti in Elysia chlorotica?

Ancora non lo sappiamo, ma ci stanno lavorando [eng]! E noi non vediamo l’ora di aggiornare questo articolo appena sarà possibile.

Nel frattempo, però, un nuovo primo caso di trasferimento orizzontale fra organismi pluricellulari è stato documentato. Ve ne abbiamo parlato in un nostro recente articolo sul Bemisia tabaci.

Il primato verrà mantenuto o verrà smentito anche questa volta?

Noi di Missione Scienza saremo qui a raccontarvelo.

Giovanni Cagnano

Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby. Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato :)

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