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Déjà vu: “Questo articolo l’ho già letto!”

Tra le esperienze più strane che ci possono capitare nella nostra vita, trova posto sicuramente il “déjà vu”.

Avere la sensazione di aver già visto una scena o addirittura vissuta (in tal caso però si parla di déjà vecu) può essere molto destabilizzante. C’è stato un periodo della mia vita in cui anch’io soffrivo spesso di déjà vu. Ve ne racconto uno:

Ero a una festa con la mia famiglia ed eravamo fuori da un ristorante sul ciglio di una strada. Tutto d’un tratto ho la sensazione che una Peugeot grigia stesse per investire mia madre, senza però che nessuna macchina fosse visibile nei paraggi. Quindi spaventato tiro mia madre verso il marciapiede. Qualche secondo dopo svolta l’angolo una Peugeot grigia che sfrecciando ci passa davanti. Mi sentivo molto strano, perché ero certo di non aver visto né sentito prima la macchina (in quanto non aveva ancora girato l’angolo) ed ero spaventato dalla forte sensazione di soprannaturalità che vivevo. In realtà, seppur inconsciamente, è molto probabile che avevo sentito il rumore della macchina. Nonostante questo, la mia fallace memoria aveva eliminato questo particolare. Il mio cervello aveva indotto un falso ricordo e mi era rimasta solo una vaga sensazione di famigliarità.

Infatti, la particolarità del déjà vu è proprio la sua imprevedibilità. Vivendolo pensiamo di essere davvero in grado di prevedere il futuro. O forse, come in Matrix, c’è stata “una modifica della matrice della simulazione in cui viviamo”.

Ma, ahimè, nulla di tutto questo è reale. La colpa è del nostro cervello che ci sta facendo un brutto scherzetto.

Infatti, è bene sottolineare come il déjà vu è una sensazione e non un vero e proprio falso ricordo. Quindi, come tutte le sensazioni e le emozioni, nient’altro sono che chimica e impulsi elettrici (che, anche se deprimente dirlo, sono alla base della nostra minuscola esistenza).

Ma chi è vittima dei déjà vu?

Secondo Alan S. Brown, professore di psichiatria al Columbia University Medical Center, a sette persone su dieci è capitata già questa esperienza. Inoltre, sembrerebbe che i bambini non siano soggetti ai déjà vu, probabilmente perché il loro cervello non è ancora del tutto sviluppato. Pazienti con patologie psichiatriche o epilettiche sembrano essere maggiormente predisposti.

Un aneddoto molto inquietante riguarda un certo Mr. Pharrel, riportato da alcune pagine (come CICAP) ma senza una vera e propria fonte (quindi prendetelo molto con le pinze). Mr. Pharrel, secondo questa storia, era un paziente di Chris Moulin, esperto psicologo che ha studiato molti casi di déjà vu cronico. Vi cito direttamente la storia raccontata dal CICAP:

“Quando il signor Pharrel, arzillo ottantenne, fu contattato dal dottor Chris Moulin, neuropsicologo della Leeds University, per una visita presso il suo istituto in Inghilterra, si rifiutò di andarci. La ragione era semplice: lui in quella clinica c’era già stato e non aveva intenzione di tornarci. Quando gli fecero notare che non ci aveva mai messo piede, Pharrel descrisse con dovizia di particolari gli incontri che aveva avuto con lo specialista e perfino l’arredamento dello studio. Dettagli che si rivelarono corretti anche se, in realtà, lui in quel posto non c’era davvero mai stato”.

Teorie per spiegare il déjà vu

Diversi scienziati hanno tentato di spiegare questo strano fenomeno, infatti esistono diverse teorie. Ma possiamo ritenere come più affidabili gli studi che utilizzano tecniche, come l’elettroencefalogramma, che ci permettono di capire quale area del cervello si sta attivando nel momento stesso in cui viviamo il déjà vu.

Il problema principale di questi studi è proprio l’imprevedibilità del déjà vu. Infatti, visto che insorge casualmente e in modo inaspettato, non possiamo prevedere quando si manifesterà. Questa particolarità limita di molto le capacità di studiare questo fenomeno, ma con l’ausilio di tecniche di ultima generazione (come elettroencefalogramma sempre più precisi) e l’aiuto fornito da pazienti con déjà vu cronico, siamo arrivati a grandi scoperte.

Iniziamo parlando delle principali (e ancora oggi non confutate) prime teorie, per poi parlare di una più recente scoperta.

Alan S. Brown, nel suo libro, descrive trenta spiegazioni scientifiche del déjà vu, che è però possibile classificare in quattro gruppi: teorie neurologiche, del processamento duale, attenzionali, basate sulla memoria.

Teorie neurologiche

Secondo questa teoria, il déjà vu è dovuto semplicemente a una crisi epilettica breve e circoscritta che riguarda la corteccia paraippocampale.

“Paraippoccccheee???”

Tranquilli, nulla di astruso. La corteccia (o giro o circonvoluzione) paraippocampale nient’altro è che la parte più interna della corteccia cerebrale, quella più vicina al sistema limbico (parte più antica del cervello, importante per le emozioni, per la memoria ecc.).

corteccia paraippocampale
Ecco evidenziata in giallo la corteccia paraippocampale che, come dice il nome stesso, circonda l’ippocampo (in blu). © Fonte

Quest’area del cervello, tra le tante funzioni, risulta essere molto importante per codificare informazioni e reperire dati dalla memoria che riguardano le scene ambientali. Quindi ci permette di:

  • Riconoscere il luogo/la scena che osserviamo
  • Immagazzinare i dati relativi al luogo/scena nella nostra memoria a breve termine
  • Reperire informazioni dalla nostra memoria a lungo termine per confrontarle con quelle che osserviamo, in modo tale da farci capire se il luogo/scena osservato/a ci è famigliare o no.

La stimolazione (attraverso un elettrodo o per l’epilessia) di quest’area porterebbe proprio ad allucinazioni visive di luoghi e situazioni.

Questa teoria neurologica collega proprio all’iperattivazione di quest’area il fenomeno del déjà vu, definendolo semplicemente come un’allucinazione. Tale considerazione spiegherebbe la causa del déjà vu cronico, presente in pazienti che sperimentano il déjà vu giornalmente.

Teoria del processamento duale

Secondo questa teoria, il déjà vu è dato dall’interazione di due aree del nostro cervello.

La prima area coinvolta è quella che ha come funzione il passaggio di informazioni contenute nella memoria a lungo termine a quella a breve termine. In pratica funziona come un sistema che pesca ricordi e li fa riaffiorare in mente.

La seconda area coinvolta, invece, ha come funzione quella di collegare il ricordo a una sensazione di famigliarità.

Secondo la teoria del processamento duale, quello che succede è che la prima area si disattiva momentaneamente, non pescando più nessun ricordo, la seconda area invece è attiva. Quindi non essendoci nessun ricordo che effettivamente sta passando nella memoria a breve termine, resta solo una sensazione di famigliarità che è appunto quella che determina la sensazione di déjà vu.

Teoria attenzionale

La terza teoria che potrebbe spiegare il fenomeno del déjà vu ha a che fare con le aree del cervello deputate a una importante capacità cognitiva: l’attenzione.

Come attenzione si intende la capacità di selezionare e mettere a fuoco gli stimoli rilevanti. Esistono diversi tipi di attenzione che coinvolgono diverse aree del nostro cervello. Ma non ci dilungheremo su questo perché non è lo scopo dell’articolo.

Un’improvvisa interruzione della continuità dell’attenzione porterebbe al riprocessamento dell’informazione. L’interruzione farebbe dimenticare la presenza dell’informazione, mentre permarrebbe il senso di famigliarità.

ASPEEE… NON HO CAPITO…

Facciamo un semplice esempio. Siamo in giro per strada e casualmente, mentre la nostra testa sta pensando alla peperonata che abbiamo mangiato a pranzo, ci passa davanti una ragazza. Noi non la guardiamo nemmeno, perché la nostra testa sta solo in fissa con la peperonata. Quindi, mentre la ragazza ci passava davanti agli occhi, la nostra attenzione è stata interrotta dalla peperonata.

Magari il giorno dopo ci capita di andare a un bar e ritrovare questa ragazza. La guardiamo e pensiamo: “Cavolo ma l’ho già vista da una parte, chissà dove”.

Quello che è successo è quindi molto simile a quello che questa teoria vuole dirci. Nonostante non ricordiamo un evento vissuto perché la nostra attenzione è stata interrotta, resta la sensazione di famigliarità che ci fa cadere nel déjà vu.

“DANNATA PEPERONATA!!!”

Nuova teoria basata sulla memoria

Tra le teorie proposte questa sicuramente è la più particolare, perché addirittura considera il déjà vu come un segno che il sistema di controllo della nostra memoria funziona bene. Per di più è la teoria più attuale e accreditata, basata infatti su studi elettroencefalografici di ultima generazione.

Akira O’Connor, tra gli ideatori di questa teoria, con il suo team ha ideato una tecnica per indurre dei falsi ricordi. Si tratta di un giochino molto semplice, che vi invito a fare proprio ora.

Io vi scriverò una lista di parole, voi poi dovete coprirla e vi chiederò quali parole sono presenti nella lista.

Le parole da ricordare sono:

  • Confetto
  • Acido
  • Zucchero
  • Amaro
  • Buono
  • Cioccolata
  • Cuore
  • Ciambella
  • Mangiare
  • Torta
  • Soda
  • Miele
  • Piacevole
  • Gusto
  • Vaniglia

Ora coprite l’elenco. Tra le parole dette c’era Cioccolato? Miele? Zucchero?

Avete letto qualche parola con la d?

No?

Sicuri sicuri?

C’era la parola “dolce”?

Se avete risposto si vi ho fregato. Andate a rivederle e magicamente non troverete la parola “dolce”. Anche se magari in un primo momento quando vi ho chiesto se avevate letto qualche parola con la “d” la vostra risposta è stata “no”; quando vi ho chiesto se avete letto la parola “dolce” non l’avete trovata famigliare?

Vi ho indotto quindi un falso ricordo, una sensazione basata sull’aver già visto qualcosa ma che in realtà non c’era. Anche se c’è gente che potrebbe giurare di aver letto “dolce”.

È proprio con questa tecnica che O’Connor ha indotto falsi ricordi ai suoi pazienti. Non di certo per divertimento, ma per studiarne l’elettroencefalogramma.

Se osservassimo l’elettroencefalogramma di questi pazienti, basandoci sulle teorie dette prima, potremmo essere sicuri che l’area del cervello che si sta attivando in questo momento sarà sicuramente relativa ai ricordi (come l’ipotalamo). Invece no, nessun’area relativa ai ricordi era attiva.

In realtà a essere attiva era un’altra area, sita a livello della corteccia prefrontale e deputata al processo decisionale. È come se quest’area stesse controllando i nostri ricordi, per vedere se c’è qualche errore di memoria. Quindi, pescando tra i nostri ricordi sta cercando di trovare informazioni per comprendere se la parola che crediamo di avere letto l’abbiamo effettivamente letta o no.

Quest’area sembrerebbe essere importante proprio per risolvere i conflitti tra ciò che abbiamo sperimentato e ciò che abbiamo realmente vissuto.

Per di più, il déjà vu nient’altro è che un falso ricordo. Abbiamo la sensazione di avere già visto una scena, che magari era molto simile a scene già viste, e quando si palesa davanti a noi pensiamo “cappero, però questa l’ho già vista”. E invece no, dannata fallacità della memoria.

Quindi durante il déjà vu ci sarebbe una risoluzione dei conflitti tra le informazioni contenute nel nostro cervello. Per cui, paradossalmente, è un segnale che il sistema di controllo della memoria del nostro cervello funziona bene e che è meno probabile che ricordiamo male gli eventi. Infatti, è come se, mentre abbiamo un déjà vu, questo sistema ci dicesse “ehi ma vedi che questa scena non l’hai davvero già vista, è solo la tua impressione”.

Fallacità della memoria

Ma la nostra memoria è comunque fallace, le informazioni in essa immagazzinate non sono mai totalmente corrette. Ed è per questo che ci è sembrato di leggere la parola precedente (dolce), ma in realtà non l’abbiamo letta.

L’errore in cui siamo caduti è un fenomeno chiamato priming. Esso consiste in un cambiamento che interviene nell’elaborazione di uno stimolo in conseguenza di un precedente incontro con lo stesso stimolo o uno simile, a prescindere dal fatto che si abbia o no consapevolezza dell’incontro originario.

Il priming, inoltre, dimostra che informazioni che si sono presentate in precedenza sono sempre in grado di influenzare il comportamento successivo, anche se questi effetti sfuggono completamente alla nostra consapevolezza.

Quindi, anche se il nostro cervello in un certo momento sembra non raccogliere informazioni lo sta invece facendo. Motivo per cui, anche se guardiamo solo distrattamente una pubblicità in TV, essa ci sta entrando in testa e influenzerà le nostre scelte.

I ricordi, anche quelli di cui si è completamente certi, sono spesso errati. Questo fenomeno ci fa capire anche quanto siamo tutti fragili alla disinformazione.

Déjà vu e farmaci

Se non sono abbastanza queste teorie, sappiate che è possibile indurre déjà vu anche con farmaci.

Sono stati riportati casi di pazienti che, dopo aver assunto farmaci in associazione, hanno sperimentato questa esperienza. Un esempio è un paziente che, per alleviare i sintomi influenzali, ha assunto in associazione Amantadina e Fenilpropanolamina.

Il paziente trovò l’esperienza del déjà vu molto interessante, tanto da finire il trattamento con questi farmaci e riportare il caso agli psicologi per scriverlo come caso di studio.

Alla base di questo effetto sembrerebbe esserci l’azione di alte dosi di dopamina nelle aree temporali mediali del cervello, che ne determina una crisi epilettica parziale. Queste aree sono infatti deputate alla memoria dichiarativa, ovvero quella accessibile alla consapevolezza. Essa contiene sia le memorie di episodi della vita sia quelle relative al bagaglio generale dell’individuo. Si contrappone alla memoria procedurale, ovvero la capacità di ricordare come si svolge un compito. Volete saperne di più su come funziona la nostra memoria? Leggete questo articolo.

Déjà vu e paranormale

Le teorie paranormali a riguardo, ovviamente, si sprecano. Il fenomeno del déjà vu viene spesso strumentalizzato al fine di provare diverse tesi pseudoscientifiche.

Ad esempio Ian Stevenson, psichiatra canadese e professore alla Virginia School of Medicine, nel suo libro “Twenty Cases Suggestive of Reincarnation“ (1974) sosteneva che alcuni casi potevano essere la prova concreta della reincarnazione.

Remo Bodei, professore italiano di Filosofia e docente dell’università UCLA di Los Angeles, ma sfortunatamente morto nel 2019, nel suo libro “Piramidi di tempo. Storie e teoria del déjà vu” (2006) afferma:

In termini religiosi ha dato luogo all’idea della trasmigrazione delle anime, una metempsicosi dove in un lampo ci ricordiamo di vite trascorse. Ed era un atteggiamento condannato dalla Chiesa, Sant’Agostino diceva che era una trappola del demonio.

e ancora:

Aristotele sosteneva che quelli che dicevano di aver vissuto esperienze precedenti erano dei pazzi, mentre Nietzsche lo considerava un ritorno all’uguale. Noi viviamo le stesse esperienze in una circolarità enorme: accettiamo il passato senza rimpianti e guardiamo al futuro con innocenza. Per Freud non era una pura illusione, ma una reale fantasia radicata nell’inconscio.

Sì ma potevano impegnarsi un po’ di più con queste strampalate teorie. Ma sì, magari c’ha ragione il film Matrix: “i déjà vu sono dovuti a delle modifiche della matrice in cui viviamo”. O magari esistono universi paralleli e il déjà vu ne è la prova.

Ma sentiamo che ne pensa Michio Kaku, fisico statunitense e noto divulgatore scientifico.

Quanto è vero il principio del Rasoio di Occam:

A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire.

Infatti, invece che farci fantasie sulla reincarnazione e il déjà vu, la risposta è tanto semplice: “Il nostro cervello ci vuole prendere in giro”.

Conclusione

(tratta da: Remo Bodei “Piramidi di tempo” Editore: Il mulino)

“Il rapporto con il tempo è ambiguo e il fenomeno del déjà vu rende più visibile la caducità della vita, l’idea della morte. Noi tutti vorremmo rivivere i momenti belli e cancellare quelli tristi, ma con la logica sappiamo che ciò non è possibile – spiega Bodei – Il déjà vu è un lampo senza preavviso che può apparire in momenti di tensione emotiva, in situazioni di stress o di cali di energie. Con questo fenomeno vogliamo mettere in discussione la linearità e l’irreversibilità del tempo. Ma questo modello lo possiamo smontare: il tempo è come una retta su cui scorre un filo indivisibile che è il presente, che si lascia alle spalle il passato e ha davanti il futuro. La realtà può diventare uno spazio aperto dove tutto può sempre succedere. I filosofi Plotino e Boezio dicevano che l’eternità non è infinita, è pienezza di vita che può essere colta anche in momenti discontinui, dove si spalanca un’esistenza diversa, una luce di speranza, si tratta solo di riflettere sulla struttura del tempo.”

Il colpo che il déjà vu assesta al nostro concetto di tempo è di quelli da far tremare i polsi, perché come conclude splendidamente Bodei,

“Basta una sola ripetizione per dimostrare che il tempo è un inganno”

Fonti

Teorie neurologiche: Spatt, J. (2002). Déjà vu: possible parahippocampal mechanisms. The Journal of neuropsychiatry and clinical neurosciences14(1), 6-10.

Teoria del processamento duale: Ross, Brian H. (2010). The psychology of learning and motivation. Vol. 53. London: Academic Press

Memoria e déjà vu: Urquhart, J. A., & O’Connor, A. R. (2014). The awareness of novelty for strangely familiar words: a laboratory analogue of the déjà vu experience. PeerJ2, e666. link: https://peerj.com/articles/666/

Déjà vu e farmaci: Bancaud, J., et al. (1994). Anatomical origin of déjà vu and vivid ‘memories’ in human temporal lobe epilepsy. Brain117(1), 71-90. doi: 10.1093/brain/117.1.71

Tommaso Magnifico

Sono Tommaso Magnifico, studente di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Bari e Socio Mensa (The high IQ society). Scrivo articoli specialmente riguardati la medicina in tutte le sue sfaccettature: dal pronto intervento alla psicologia. Potere alla scienza!!!

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