Dante e la scienza – Parte 1
Tutti quelli che studiano italiano conoscono Dante.
C’è chi lo appezza per la sua filosofia politica, c’è chi lo apprezza per la sua maestria poetica.
C’è poi chi, per colpa di un sistema scolastico inadatto, lo reputa solo qualcosa di noioso fatto a scuola.
Ma qui non siamo né su “missioneletteratura” né su “missionefilosofia” (anche se, se fosse esistito missionescienza nella Firenze a cavallo del XIII o XIV secolo, probabilmente si sarebbe chiamata proprio “missionefilosofia”, visto che la differenza tra filosofia e scienza come la intendiamo noi è tale dal XVII secolo), quindi oggi parleremo di Dante e la scienza, analizzando le sue conoscenze scientifiche.
Com’era lo stato della scienza nel medioevo?
Prima di parlare di Dante e la scienza, è meglio parlare di come fosse la scienza durante il Medioevo. Siamo portati a pensare che il periodo medievale sia stato un periodo buio per la scienza, anche se sappiamo esistesse una grossa produzione scientifica, soprattutto nell’ambito matematico.
Bisogna, però, ricordare che, mentre la matematica (formata da aritmetica e geometria, anche perché l’analisi matematica è nata solo nel ‘600) faceva parte delle arti del “quadrivio” nel mondo medievale, altre “scienze”, come la fisica, facevano parte del “trivio”, perché ancora non separate dalla filosofia.
Abbiamo poi l’astronomia, che era divisa dal resto della scienza, considerata materia a sé stante, e piazzata, come la matematica, tra le arti del “quadrivio”. Dobbiamo quindi ricordare che alcuni concetti della scienza moderna non c’entrano più molto con la scienza e filosofia di quel periodo.
La scienza di Dante
Bisogna fare una distinzione quando si parla di quello che Dante ha scritto.
Esistono sono alcuni trattati di scienza, nel Convivio, o che sarebbero dovuti essere scritti ma alla fine non furono scritti, e cose scritte nella Commedia.
Non dobbiamo dimenticare che, anche se a noi è rimasta la figura di Dante esclusivamente come di uno scrittore, quasi mistico, in realtà è più corretto pensare a lui come ad un filosofo, la sua conoscenza spaziava tutte le conoscenze del periodo. Dante era ben allenato in tutte le arti del trivio e del quadrivio.
Non ci deve, quindi, impressionare la sua conoscenza scientifica e tecnologica.
Il Convivio
Il Convivio era inteso come un’opera che spaziasse tutto lo scibile umano del periodo.
A noi non è rimasto molto, Dante non lo completò mai, per dedicarsi alla scrittura della sua Commedia, che poi ha preso il posto del Convivio con la sua scrittura epica e allegorica.
Bisogna sempre ricordare, però, la radicale differenza fra il Convivio e la Commedia. Il convivio, infatti, come dice la parola, riprende la parola latina “convivium” che vuol dire banchetto, in questo caso di sapienza. Doveva infatti essere un’opera enciclopedica sul sapere del tempo, incentrato maggiormente sulla filosofia.
Si può immaginare che una parte di filosofia naturale, aritmetica e geometria sarebbero stati presenti. Come già detto però, non rimane nulla oltre ai primi quattro trattati (dei quindici di cui sarebbe dovuto essere composto), che dovevano essere accompagnati da delle parti scritte in poesia (le canzoni), che unite avrebbero formato l’opera completa.
La Divina commedia
Dante interruppe la scrittura del Convivio per scrivere la sua Commedia.
Probabilmente molto di quello che avremmo trovato negli altri libri del convivio ha trovato modo di essere comunque espresso, in forma diversa, in quest’altro componimento.
Difatti, non bisogna dimenticare che la Commedia, oltre alla salvezza dell’anima data dalla teologia, dà anche una grande importanza alla salvezza dell’uomo dato dalla ragione, rappresentato da Virgilio, che può arrivare però solo al paradiso terrestre.
Consiglio di seguire attraverso la versione elettronica e gratuita (il copyright è scaduto da qualche secolo) della Divina Commedia di Wikisource
L’inferno
Nell’Inferno, Dante ci parla della prima parte del suo viaggio.
Quindi, in questa parte, ci parla di alcune conoscenze che hanno a che fare con la Terra, i suoi abitanti e le sue “viscere”, per esempio la gravità, la precessione degli equinozi, i venti, le frane, gli specchi, le macchine militari, l’acciarino per il fuoco, gli occhiali, le dighe, la cantieristica navale, i mulini.
Anche se, quando parla delle trovate tecniche, le cita senza soffermarsi troppo sulla loro “ingegneria”.
Vediamo alcuni degli esempi più significativi:
Canto Nono
Nel canto Nono, Dante ci descrive un vento forte, possiamo ipotizzare un ciclone, che lui incontra, dicendo che questo vento che sente è come un vento “impetuoso per li avversi ardori”, ossia causato dalle temperature diverse nel cerchio.
Noi sappiamo che il vento viene formato da una differenza di pressione, che spesse volte è causato da una differenza di temperatura tra i vari strati dell’atmosfera
Canto Dodicesimo
Nel canto dodicesimo, scopriamo che Dante deve aver visto una frana, o i suoi effetti, a sud di Tento, vicino all’Adige.
Ce la descrive abbastanza bene paragonandola al luogo impervio in cui si trova nell’opera. Oltretutto, ci fornisce una spiegazione della frana abbastanza vicina alla realtà, poiché ci dice “di qua da Trento l’Adice percosse/o per tremoto o per sostegno manco”, che possiamo parafrasare con “da questo lato di Trento distrusse [il letto de] l’Adige/per un terremoto o per la mancanza di sostegno”.
Anche se non sono solo queste due le cause delle frane, questi possono essere considerati i maggiori fattori scatenanti dei casi di frane fino all’inizio dell’età industriale, prima che l’agricoltura intensiva portasse a un maggiore impoverimento del terreno.
Canto Trentaduesimo e Trentaquattresimo
Nel canto trentaduesimo, Dante ci indica che si sta avvicinando al centro della Terra come “al posto a cui tendono tutti i pesi” (vv73-74), mentre nel trentaquattresimo, parla del punto di passaggio dal centro della terra, con il relativo cambiamento di gravità.
In realtà la forza di gravità che tira giù i corpi attaccati alla terra era cosa ben nota dall’esperienza, ma mal spiegata dalla scienza del tempo.
Infatti, almeno nell’interazione tra i pianeti, veniva considerata (fino anche a Copernico, sarà Galileo a dare la spiegazione puramente meccanicistica) potere dell’amore di Dio o del Logos, come poi anche Dante scriverà nel Paradiso, dicendo “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (ultimo verso della commedia).
Comunque Dante, passando il centro della Terra, ci spiega proprio il cambiamento della direzione della forza di gravità, che deve sempre puntare verso il centro.
Canto Trentatreesimo
Sappiamo che gli occhiali non sono una scoperta recente.
Difatti, anche Eco, nel suo libro “il nome della rosa” (ambientato nel 1327), ci descrive Guglielmo di Baskerville che usa gli occhiali per leggere.
Gli occhiali vengono infatti datati e localizzati a Pisa a partire dal 1290, e nel 1301 a Venezia c’erano già dei regolamenti delle gilde dei produttori di occhiali.
Dante ce ne parla nel canto trentatreesimo dell’Inferno. La nozione di aumentare la grandezza di qualcosa di scritto con lenti era cosa nota da tempo. Plinio racconta che Nerone leggeva attraverso uno smeraldo tagliato, abbiamo, poi, evidenza di “pietre da lettura” sin dall’anno mille, che non erano altro che pietre tagliate a forma di lenti con lo scopo di ingrandire.
Dante li cita nel canto trentatreesimo, per analogia alle lacrime che si ghiacciano sugli occhi, dovuto al freddo di quella zona dell’Inferno.
Nella seconda parte, si parlerà del purgatorio e del paradiso, soffermandoci sull’astronomia medievale e dantesca.
Sono studente di ingegneria aeronautica full time, e altrettanto full time posso perdermi a parlare di tutto lo scibile umano, con una predilezione per i mezzi veloci o che hanno un grosso motore, per arrivare fino a cose che non c’entrano granché, come la filosofia o la letteratura.