Come l’uomo influenza la vita: agricoltura, città e biodiversità

La vita è dappertutto. La variabilità di esseri viventi in un certo ambiente, detta biodiversità, è uno degli elementi più importanti per il nostro pianeta. La varietà di specie, infatti, preserva la vita e la stabilità degli habitat. Inoltre, alla specie umana fornisce i cosiddetti benefici ecosistemici, ovvero vantaggi offerti dalla natura, che includono:

  • supporto alla vita (tramite fotosintesi, cicli nutritivi, formazione del suolo);
  • approvvigionamento (produzione di materiali di cui usufruiamo, come materiali da costruzione, alimenti e acqua potabile);
  • regolazione dell’ambiente (ad esempio del clima e per quanto riguarda la diffusione delle malattie);
  • valori culturali (sensazione di connessione con la natura, bellezza e altri elementi di benessere umano).

Quindi, preservare la biodiversità sarebbe positivo non soltanto per le specie più vulnerabili e per favorire la sensibilizzazione sul tema, ma anche dai punti di vista della salute, economico e sociale. Tuttavia, al momento stiamo assistendo a una riduzione di biodiversità, dovuta all’impatto umano, e in particolare a:

  • crisi climatica;
  • sovrasfruttamento delle risorse;
  • crescita della popolazione;
  • urbanizzazione e industrializzazione dell’agricoltura;
  • deforestazione ed espansione agricola, con conseguente perdita di habitat;
  • cambiamenti nella gestione del suolo e dell’acqua;
  • caccia e bracconaggio (in particolare in Africa).

Agricoltura e città sono tra le principali responsabili di questi effetti negativi. Scopriamo come impattano e in che modo è possibile migliorare la situazione.

La biodiversità in agricoltura

Da quando i nostri antenati inventarono l’agricoltura tutto cambiò. Aumentò la disponibilità di cibo e, di conseguenza, anche la popolazione. Piccoli appezzamenti di terreno sfamarono un numero sempre maggiore di persone e gli animali domestici sostituirono la selvaggina come principale apporto di carne. Così si diffusero più facilmente le prime epidemie, perché un gruppo di ospiti numeroso e ravvicinato è una condizione favorevole per i patogeni. Iniziò ad avere un peso anche il nostro impatto sulla Terra.

Secondo Lorenzo Ciccarese (autore principale di diversi rapporti IPCC, National Focal Point italiano dell’IPBES e Responsabile dell’Area per la Conservazione delle Specie e degli Habitat presso l’ISPRA), sono cinque i principali fattori che causano la perdita di biodiversità nel mondo:

  • la distruzione degli habitat, maggiore problema per la biodiversità;
  • l’invasione di specie aliene (o invasive), ovvero animali, vegetali e altri organismi che non sono originari del luogo e si diffondono senza controllo provocando seri danni agli ecosistemi. Sono considerate la seconda maggior minaccia alla biodiversità;
  • l’inquinamento;
  • la crisi climatica;
  • l’eccessivo prelievo di risorse dalla natura.

Per almeno quattro di questi cinque fattori, l’agricoltura è la principale responsabile. In diversi rapporti si evidenzia che almeno l’80% della perdita di diversità fra le specie viventi dipende dall’agricoltura.

L’agro-biodiversità

È importante anche l’agro-biodiversità, ovvero la varietà e variabilità di piante e animali domestici coinvolti nei sistemi di coltura, allevamento, silvicoltura o acquacoltura, le specie forestali e acquatiche che vengono usate come alimenti, ma anche gli organismi che vivono all’interno e intorno a questi sistemi. Da queste dipendono servizi ecosistemici vitali sia per la salute umana sia per la sostenibilità, come l’impollinazione e la creazione di habitat per la fauna. La perdita di biodiversità nei campi coltivati, inoltre, è un problema per le coltivazioni e gli animali allevati, poiché se vengono colpiti da un patogeno la diversità genetica della specie rende più probabile che esistano organismi in grado di resistervi.

Secondo un report della FAO del 2019, delle 6000 specie vegetali oggi coltivabili se ne producono solo 200, mentre il 66% della produzione agricola globale è rappresentata solo da nove specie. Si sta verificando, quindi, una forte perdita anche di agro-biodiversità.

Conciliare agricoltura e biodiversità

Il problema si prospetta sempre più grande, dal momento che in futuro dovremo far fronte a una crescente richiesta di alimenti che necessiteranno di grandi quantità di energia per essere prodotti. Attualmente, molti Paesi si stanno mobilitando in funzione della conservazione della biodiversità utilizzando politiche agricole e alimentari volte alla conservazione. Mirano a ristrutturare gli attuali sistemi di produzione alimentare e aumentare la resa dei raccolti in modo sostenibile, evitando i problemi tipici dell’agricoltura industriale (erosione, disarticolazione dei cicli biogeochimici del fosforo e dell’azoto, desertificazione). 

Ma, come dichiarato da Ciccarese, «nessuna politica di conservazione della natura può essere portata avanti in maniera isolata», bensì deve spingere verso «pratiche sostenibili in tutti gli ambiti della società e con il diretto coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali e sociali». Non basta, quindi, agire a livello istituzionale e industriale, ma bisogna implementare la cooperazione tra le scienze esatte e le scienze umanistiche e sociali, il cui contributo è altrettanto fondamentale nel delineare soluzioni e nel concepire politiche adeguate ed efficaci. È sempre più importante, infatti, lavorare per l’educazione a una corretta alimentazione in tutto il mondo. In particolare, è importante ridurre gli sprechi di cibo e modificare le abitudini di dieta degli individui.

Infatti, è essenziale il contributo di ognuno per realizzare questo cambiamento. Azioni che fanno la differenza includono:

  • ridurre il consumo dei prodotti animali e di alimenti molto elaborati;
  • seguire diete più varie ed equilibrate;
  • comprare alimenti a chilometro zero e di stagione, coltivare in casa (anche solo piante aromatiche in vaso), acquistare direttamente dalle aziende agricole locali o aderire a un gruppo di acquisto solidale (GAS);
  • comprare anche frutta e verdura “brutte”;
  • conservare gli alimenti nel modo appropriato. Per esempio, pomodori e patate non vanno tenuti in frigo; alcuni vegetali vanno separati, perché alcuni (come pere, pomodori, pesche e banane) producono etilene, una sostanza che porta alla maturazione altri, come mele, patate e frutti di bosco.
  • Regolare le porzioni sia quando si compra sia quando si cucina;
  • mangiare prima quello che scade prima, riutilizzare gli avanzi;
  • usare app come Too Good To Go, che consentono di acquistare cibi in scadenza, che potenzialmente andrebbero buttati, a prezzi vantaggiosi.
  • Compostare quello che rimane.

La biodiversità in città

Gli spazi verdi urbani filtrano le sostanze inquinanti presenti nell’aria, purificano l’acqua, regolano il microclima della zona e riducono i rumori. Inoltre, dagli studi emerge che una maggiore biodiversità comporta maggiori benefici psicofisici sugli esseri umani che lo frequentano, in termini di miglioramento dell’umore, della socialità e delle prestazioni cognitive nonché di riduzione di problemi cardiovascolari e respiratori.

Tendiamo a pensare che la biodiversità nelle città si limiti ai parchi, ai giardini, ai prati, ma in realtà le forme di vita si trovano ovunque, anche se le aree urbane sono gli ambienti più modificati dall’uomo e questi cambiamenti determinano alterazioni nelle specie che è possibile trovare. L’urbanizzazione comporta:

  • riduzione degli habitat;
  • inquinamento luminoso (che altera le abitudini di animali notturni o che si orientano grazie alla luce);
  • inquinamento dell’aria e dell’acqua;
  • aumento delle temperature locali (Urban Heat Island Effect);
  • cambiamenti nel suolo, nell’acqua, nell’aria e nel clima;
  • aumento nel numero di specie invasive. Non tutti gli organismi tollerano le zone urbane; alcune, però, vi prosperano, poiché tollerano meglio le risorse qui disponibili e le variazioni dovute agli umani. Spesso tra queste vi sono specie non del luogo (che, per esempio, sono più tolleranti alle acque inquinate) o potenzialmente portatrici di malattie.

Così, spesso, l’urbanizzazione si traduce in una riduzione della biodiversità locale. Tuttavia, l’impatto delle città sulla biodiversità non si limita soltanto a dove queste si trovano: le città occupano il 2% della superficie terrestre, ma consumano il 75% delle risorse del nostro pianeta.

Ridurre l’impatto delle città sulla biodiversità

È possibile ridurre l’impatto dell’urbanizzazione sulla biodiversità grazie a una serie di accortezze, come pianificazioni urbanistiche mirate (zonizzazione, densità e altezza degli edifici), promozione e maggiore connessione di spazi verdi (parchi, ma anche vasi di fiori sui balconi, tetti “green”, orti) e blu (laghetti, fiumi, coste) e una migliore distribuzione delle risorse. Alcuni suggerimenti per i singoli cittadini sono:

  • coltivare piante e orti nei giardini, sui balconi, sui tetti;
  • compostare, riciclare, riutilizzare e rivendere o regalare dove possibile;
  • comprare oggetti di maggiore qualità, che dureranno più a lungo, ammortizzando quindi l’impatto ambientale dovuto alla produzione e al trasporto;
  • limitare l’uso di stufe a legna e camini ed evitare di bruciare rifiuti;
  • usufruire di energie rinnovabili;
  • spegnere luci e oggetti elettronici inutilizzati, preferire i ventilatori ai condizionatori;
  • quando possibile, preferire mezzi di trasporto sostenibili o andare a piedi;
  • aderire a iniziative per la riduzione dell’impatto ambientale delle città simili a quelle presenti qui.

Fonti

Le Bionaute

Siamo Maria Chiara Nastasi, Jolanda Serena Pisano e Altea Pasqualotto, tre Dottoresse Magistrali in Etologia laureate presso l’Università di Torino. Ci chiamiamo Bionaute perché amiamo viaggiare tra le meraviglie della scienza; un viaggio in cui vogliamo coinvolgere quante più persone possibile. Jo scrive da anni, per siti e associazioni no profit. Attualmente, oltre che per le Bionaute, è una medical writer e produce contenuti divulgativi per aziende e piattaforme di comunicazione della scienza online, tra cui Dove e Come mi Curo e BioPills. Sta frequentando il Master in Comunicazione della Scienza e dell'Innovazione Sostenibile dell'Università Milano-Bicocca e un tirocinio come ricercatrice nell'ambito della comunicazione sanitaria presso l'Istituto Mario Negri. Chiara ha lavorato come guida e divulgatrice scientifica in progetti per la valorizzazione ecoturistica e attraverso convegni scientifici, presentando anche i propri lavori. Infatti è coinvolta da anni nella ricerca e attualmente sta lavorando a due articoli scientifici e ne ha uno in pubblicazione. Altea si è avvicinata alla divulgazione frequentando il corso di divulgazione scientifica "Il rasoio di Occam" a Torino; ha messo in pausa la divulgazione per dedicarsi allo studio dell'etologia ma continuando a mantenere la passione per la comunicazione della scienza.

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