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Chiarimenti sulla farina di grillo: sfatiamo i luoghi comuni sulla chitina

Degli insetti nell’alimentazione ne avevamo già parlato, ma, viste le recenti disposizioni europee in tema di “novel food”, riteniamo sia necessario fare qualche chiarimento per arginare la deriva antiscientifica che, comprensibilmente, si è susseguita alla notizia.

Sono circolate molte fake news originate principalmente dal timore che questi ingredienti possano essere nascosti negli alimenti che abitualmente consumiamo e nello specifico sono stati sollevati numerosi sospetti nei confronti di una sostanza in particolare: la chitina.

Da martedì 24 gennaio di quest’anno è stata autorizzata la vendita sul mercato di “farina di grillo”. Propriamente dobbiamo chiamarla: polvere parzialmente sgrassata di Acheta Domesticus (grillo domestico). In questo caso particolare è bene insistere sul nome proprio dell’ingrediente perché la disposizione di legge è quella di indicarla in questo modo sulle confezioni.

Le etichette

Iniziamo subito a sfatare un paio di luoghi comuni circolati recentemente a riguardo:

  • Non sarà dichiarata con una sigla «incomprensibile» (come scritto nel paragrafo precedente).
  • Se presente, deve essere riportata in etichetta; non sarà quindi «nascosta» negli alimenti.

In generale, è bene sapere che le informazioni riportate in etichetta sono normate da una legge (REGOLAMENTO (UE) N. 1169/2011 (pdf)), ogni ingrediente aggiunto a un alimento deve essere riportato secondo istruzioni chiare e univoche.

Non esiste un limite al di sotto del quale è possibile omettere l’inserimento di derivati di insetti.

Nel caso specifico della farina di grilli, è un altro regolamento UE ad aumentare gli obblighi di chiarezza, imponendo di indicare in etichetta che tale ingrediente può provocare reazioni allergiche (verso chi già ha allergie a crostacei, molluschi o acari). Per questo motivo, se impiegata nel prodotto, troveremo la farina di grilli anche nell’elenco degli allergeni.

Maledetta chitina?

La vulgata che sicuramente ha guadagnato più attenzioni tra tutte è che i grilli siano sostanzialmente veleno poiché contengono chitina.

Nominare una molecola esotica porta diffidenza; una caccia alle streghe dei nostri giorni guidata dalla paura dell’ignoto. Sforziamoci allora di conoscere questa molecola.

Cos’è questa chitina?

Chimicamente parlando è un parente strettissimo della cellulosa: entrambe si ottengono collegando insieme molecole di zucchero per farne una catena. Nell’immagine possiamo vedere la differenza tra lo zucchero della cellulosa (glucosio) e quello della cheratina (N-acetil-D-glucosammina). Queste catene sono considerate “fibre”.

La cellulosa normalmente la conosciamo come una fibra morbida (cotone), al contrario la chitina è rigida (carapace dei crostacei). A distinguerle è la capacità della chitina di rinforzarsi collegandosi con le altre fibre vicine come se fossero le due fettucce di una cerniera.

Il dente di questa cerniera è un cosiddetto “gruppo funzionale” presente su ogni molecola nella catena. Semplificando, possiamo concludere che la chitina è cellulosa con la capacità di saldarsi a sé stessa.

Questo legame tra l’altro è lo stesso che troviamo in un’altra fibra con proprietà abbastanza simili: la cheratina (che costituisce le nostre unghie).

Confronto tra glucosio e N-acetil-D-glucosammina
Confronto tra glucosio (sinistra) e N-acetil-D-glucosammina (destra) in cui sono evidenziati i gruppi funzionali: acetile (in rosso) e amminico (in blu).

L’essere umano può digerire la chitina?

La presenza di questa fibra nella nostra alimentazione non è una novità e, per questo, non è motivato l’allarmismo che vi si è generato intorno.

Producendo l’enzima chitinasi si potrebbe dire che, a differenza della cellulosa, la chitina è digeribile ma in realtà non viene degradata così efficacemente da restituire un beneficio metabolico diretto.

Agisce nell’intestino appunto come fibra (con tutti i vantaggi noti) e svolge attività di prebiotico essendo sfruttata dalla flora batterica che, così, si rinforza.

L’enzima chitinasi si trova anche nelle piante e, in linea teorica, sarebbe possibile favorire la digestione della chitina associandola ad esempio a: fagioli, banane, castagne, kiwi, avocado, papaya o pomodori.

Inoltre, l’organismo è in grado di adattarsi a questa alimentazione e se necessario aumenta la produzione di chitinasi. In definitiva, l’importante è capire che la chitina è digeribile (anche se in quantità irrisorie) e affermare il contrario è sostenere il falso.

Favorisce l’insorgenza di malattie?

L’altra affermazione che come una catena di S. Antonio scorrazza libera sui social è che questa sostanza sia appetitosa per “cancro, parassiti, funghi e quasi tutto ciò che causa malattie”.

Come abbiamo visto, è appetitosa per i batteri della flora intestinale ed è bene nutrirli per evitare malattie. Riguardo a parassiti e funghi, è commercialmente impiegata nei bendaggi e come filo di sutura per le ferite proprio perché protegge da infezioni, micosi e stimola persino la guarigione.

Infine, sono in corso studi che ne prevedono l’uso terapeutico contro i tumori, il meccanismo esula da questo articolo e i risultati non sono ancora tali da poter stabilire un protocollo sanitario da illustrare, però sono evidenza del fatto che la chitina non è promotrice del cancro.

D’altro canto, anche senza scomodare gli studi più recenti, se questa sostanza fosse veramente il terreno di coltura ideale per ogni patologia, come si spiegherebbe la sopravvivenza di insetti e crostacei?

E se volessimo evitare la chitina?

Pure evitando i grilli, la chitina arriva nel piatto anche attraverso:

  • Crostacei

Persino rimuovendo il carapace non si deve pensare di aver rimosso la chitina: è contenuta anche nella polpa stessa. Si stima che il contenuto vada dall’1% dei gamberetti fino al 4% dei granchi o delle aragoste, valori del tutto paragonabili al tenore di chitina ammesso nella farina di grilli (fissato tra il 4% e l’8,5%). [1, 2]

  • Funghi

In questi alimenti, in generale, il componente principale è acqua (che può arrivare all’80% del totale). Ragionando sul secco possiamo trovare casi in cui la chitina raggiunge il 7% (è il caso del gambo dell’Agaricus Bisporus che ha bisogno di questo particolare rinforzo per poter emergere dal sotto bosco). [3]

  • Calamari, polipi e seppie

Nuovamente, è presente in parti che non si mangiano (come il “becco”) ma è contenuta anche nella pelle e nei tentacoli, che normalmente non si scartano.

  • Molluschi e lumache (sia di mare che di terra)

In generale nei bivalvi è presente come rinforzo nella conchiglia da cui può essere estratta durante la cottura (c’è chi riutilizza l’acqua di cottura delle cozze e chi mente). Nel caso delle lumache è stata rilevata anche nella radula, una particolare “lingua” in cui sono presenti “denti” di chitina con cui l’animale raccoglie il cibo (una versione più abrasiva della lingua dei gatti).

Ingrandimento 40x La chitina nella radula (lingua di una lumaca)
Ingrandimento 40x della radula di una lumaca d’acqua dolce da cui si vede la chitina che costituisce le strutture “a pettine”. © Fonte

È doveroso precisare che in tutti i casi le quantità in gioco sono minime e influenzate dalla stagionalità, età, specie, dieta e fattori genetici dell’animale o fungo in questione.

Riportare ogni singolo caso è impossibile, ma in prima approssimazione va ammesso che l’ingestione di chitina in quantità simili o superiori a quelle che incontriamo con questo novel food è già una possibilità nella nostra cultura gastronomica.

Il fratello “sano” della chitina

La chitina viene raccolta, dagli scarti dei frutti di mare, per essere trasformata in un’altra sostanza: il chitosano.

La reazione di conversione avviene in ambiente fortemente basico (condizione che normalmente non si verifica durante l’ingestione) e modifica drasticamente il gruppo funzionale discusso in precedenza per ottenere proprietà opposte: invece di una spiccata resistenza meccanica, si ricava una fibra solubile (in soluzioni anche solo debolmente acide).

Dal punto di vista della sicurezza alimentare, questa sostanza è attualmente venduta come integratore proprio perché sicuro se assunto nei dosaggi indicati.

La sua peculiarità è quella di legarsi alle molecole di grasso e colesterolo, limitandone l’assorbimento. Per questa ragione è associato alle diete per la perdita di peso e il trattamento dell’obesità.

L’effetto collaterale è che può causare malassorbimento: essendo alcune vitamine liposolubili, queste resterebbero intrappolate dal chitosano insieme al grasso invece d’esser assimilate.

Chi respinge la farina di grilli a volte usa questa argomentazione per confondere le acque. La pericolosità deriva solamente dall’uso improvvisato dell’integratore.

In condizioni normali è una molecola altrettanto sicura ma, soprattutto, è il prodotto di una reazione di laboratorio. Le quantità presenti in insetti o crostacei sono del tutto trascurabili.

Sola dosis venenum facit

Questo adagio latino ci ricorda che, spesso, di una sostanza è la dose a fare un veleno. Per quanto concerne la farina di grilli, questa basterebbe come risposta alla maggior parte delle obiezioni.

Vale per la chitina e vale in generale anche per le proteine (il costituente principale di questo nuovo ingrediente): una dieta iperproteica affatica i reni. L’equilibrio nella dieta non è mai da trascurare.

Per queste ragioni è sempre consigliabile imparare a leggere le etichette degli alimenti. L’ideale sarebbe anche prendere l’abitudine di leggerle mentre si fa la spesa.

La composizione che troveremmo in etichetta della farina sgrassata di grilli è la seguente:

Composizione su 100 g

Sostanza minimo massimo
Proteina grezza 74,0 g 78,0 g
Grassi 9,0 g 12,0 g
Umidità 3,0 g 6,0 g
Fibra grezza 8,0 g 10,0 g
Chitina 4,0 g 8,5 g
Ceneri 0,0 g 5,6 g

La norma fissa anche quanto ne può essere usato in ciascun prodotto finale e, come vediamo dalla tabella sotto, le quantità ammesse sono davvero minime. Per questo motivo la EFSA (l’autorità europea per la sicurezza alimentare) ne ha autorizzato l’immissione.

Condizioni alle quali il nuovo alimento può essere utilizzato

Categoria dell’alimento specificato Livelli massimi (g / 100 g)
Pane e panini multicereali; cracker e grissini 2
Barrette ai cereali 3
Premiscele per prodotti da forno (secche) 3
Biscotti 1,5
Prodotti a base di pasta 1
Prodotti a base di pasta (secchi) 0,25
Prodotti a base di pasta farcita (secchi) 3
Salse 1
Prodotti trasformati a base di patate 1
Piatti a base di leguminose e di verdure 1
Pizza 1
Siero di latte in polvere 3
Prodotti sostitutivi della carne 5
Minestre e minestre concentrate o in polvere 1
Snack a base di farina di granturco 4
Bevande tipo birra 0,1
Prodotti a base di cioccolato 2
Frutta a guscio e semi oleosi 2
Snack diversi dalle patatine 5
Preparati a base di carne 2

Il risultato quantitativo è che l’apporto di chitina da questa fonte sarà necessariamente minimo: anche nel caso peggiore (prodotti sostitutivi della carne con un 5% di farina in cui il contenuto di chitina è al massimo) parliamo di 425 mg per 100 g.

Praticamente girando in moto a casco aperto è più probabile fare il pieno di chitina.

L’allevamento dei grilli

Il protocollo produttivo di queste farine segue dei processi ben definiti tra cui un periodo di digiuno per i grilli, necessario a evitare le loro feci nella farina, e una sgrassatura parziale che rimuove anche parte degli ormoni.

Ha fatto notizia l’ecdisterone prodotto dai grilli, altra sostanza disponibile come integratore (solitamente negli articoli per body builder). Lo producono, per esempio, anche le rane e arrivano in tavola senza clamore.

Le probabilità di avere effetti spiacevoli (in nessun caso gravi) da questo ormone sono isolate ai casi di abuso degli integratori. Al momento, nelle farine sgrassate non ne viene rilevata nemmeno la presenza.

L’alimentazione di questi insetti negli allevamenti è strettamente controllata poiché da questa dipende il valore nutritivo ottenuto alla fine e quindi il guadagno per il produttore.

Tipicamente vengono alimentati con frutta e verdura, pane e altri prodotti derivati dai cereali. È possibile che sia inserita nella loro alimentazione una parte di sottoprodotti alimentari, come la melassa o il malto d’orzo.

Si evitano alimenti di derivazione animale, così come si evitano le carcasse e i rifiuti in generale, perché potrebbero introdurre nell’allevamento dei batteri.

Non c’è garanzia migliore per noi consumatori del fatto che pratiche scorrette potrebbero causare un danno economico al produttore.

Il vantaggio ambientale

In molti si chiedono quale sia il motivo per dover discutere degli insetti come alimento. La risposta banale è: nessuno è obbligato a mangiarli, ma non c’è motivo di vietarne la vendita. Se poi il mercato deciderà di non gradire questo articolo, i produttori chiuderanno gli allevamenti senza bisogno di proteste.

Una giustificazione però per preferirli come fonte di proteine c’è ed è il vantaggio ambientale. Questo vantaggio non è immediatamente visibile.

Possiamo intuirlo misurando quant’è la parte “utile” dell’animale (ossia quanto resta tolti gli scarti come peli, ossa e nervi):

Animali allevati

Parte utile
(minimo – massimo)

OVINI ed EQUINI 50 % – 60 %
BOVINI 50 % – 65 %
SUINI 55 % – 70 %
POLLAME e CONIGLI 70 % – 80 %
PESCI ed INSETTI 80 % – 90 %

Una graduatoria più raffinata sulla resa del mangime (quanta “carne utile” si ottiene nutrendo l’animale con 1 kg di mangime) rimescola un po’ la situazione.

Animali allevati

Resa per 1 kg di mangime

EQUINI 155 g
OVINI 220 g
CONIGLI 285 g
INSETTI 330 g
POLLAME, BOVINI e SUINI 400 g
PESCI 500 g

Tutti i valori considerati fin qui sono approssimazioni e generalizzazioni: l’industria dell’allevamento ha selezionato le razze con le migliori rese e mangimi in grado di massimizzare il rendimento (e il profitto).

Quali parametri evidenziano che gli insetti siano più sostenibili di altri animali?

Principalmente il consumo di terreni e di acqua: un allevamento di grilli occupa 100 volte meno terreno e consuma 300 volte meno acqua rispetto a un allevamento di pollame con simile produttività.

A sfavore degli insetti, per fare un bilancio ambientale completo, la farina di grilli somma all’impatto dell’allevamento quello dei processi da attuare per trasformare gli animali in farina, sgrassarla e poi impiegarla nel prodotto (ultraprocessato) che troviamo a scaffale.

Analizzando nel dettaglio la sostenibilità si scopre che deriva da molti fattori diversi, per esempio bisognerebbe considerare anche le emissioni di gas serra o la quantità di deiezioni.

Non suggerirei di fare una classifica basandola sui dati esposti qui sopra. Basti sapere che studi a riguardo ne sono stati fatti e il risultato è che insetti e pesci generalmente sono fonti di carne più sostenibili del pollame che a sua volta ha ancora qualche vantaggio rispetto ai mammiferi (poi ognuno scelga liberamente cosa acquistare in base anche alla propria sensibilità verso l’ambiente).

Le proteine “vegane”

Qualcuno si domanda, saggiamente, perché non preferire le proteine vegetali ai grilli. L’impatto in termini di sostenibilità di queste proteine è davvero al minimo.

Le proteine vegetali (in forma grezza nell’alimento intero oppure raffinate come seitan e isolato proteico di soia) hanno un impatto ancora più leggero sull’ambiente.

Il loro punto debole deriva dal fatto di non essere complete di tutti gli amminoacidi essenziali. Problema che si risolve variando gli ingredienti dei nostri piatti.

Come le nostre nonne ci insegnano, pasta e fagioli “è un piatto completo”. Unire legumi e cereali (nella giornata, non necessariamente nella stessa cucchiaiata) è una garanzia nutritiva che funziona da secoli.

Conclusione

Smontiamo tutte le teorie allarmistiche: Nessuno ci vuole obbligare a mangiare insetti. Nessuno li vuole nascondere nei nostri alimenti. Nessuno rischia di avvelenarsi mangiandoli.

Smontiamo anche quelle troppo entusiaste: Mangiando insetti non salveremo il pianeta.

Razionalmente la sintesi della notizia è questa: l’EFSA ha analizzato questo alimento esotico e l’ha valutato sicuro per l’alimentazione umana. Da fine gennaio, l’unico cambiamento è che adesso possiamo decidere di acquistare questo alimento.

Siamo tutti un po’ più liberi di scegliere le nostre abitudini e restare onnivori, vegani o insettivori secondo le nostre preferenze o anche solo di provare qualcosa di nuovo e poi decidere, in base al nostro gusto, se ripetere o no l’esperienza.

 

Fonti.

[1] Comparison of the Proximate Composition and Nutritional Profile of Byproducts and Edible Parts of Five Species of Shrimp.

[2] Determination of proximate and mineral contents of crab (callinectes amnicola) living on the shore of ojo river, lagos, nigeria.

[3] Chitin content of cultivated mushrooms Agaricus bisporus, Pleurotus ostreatus and Lentinula edodes.

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