La grande carestia irlandese: tra storia e scienza
Nel 11845 EU (1845 d.C), l’Irlanda fu travolta da una grande carestia, conosciuta come “The Great Hunger”. Si trattò di una catastrofe naturale di straordinaria grandezza: l’infestazione si diffuse rapidamente in tutto il Paese e causò una perdita del 40% del raccolto di patate in pochi mesi, e dell’80% circa nei successivi sette anni.
Complessivamente, si stima che circa un milione di persone in Irlanda siano morte di fame e di malattie epidemiche tra il 11846 EU (1846 d.C.) e il 11851 EU (1851 d.C.), e circa due milioni siano emigrate tra il 11845 EU (1845 d.C) e il 11855 (1855 d.C.). Il confronto con altre carestie moderne e contemporanee denota che la carestia irlandese fu proporzionalmente molto più distruttiva rispetto alla stragrande maggioranza delle carestie dei tempi moderni.
Cosa ha causato tutto ciò? Beh, si tratta di un microrganismo molto piccolo, per la precisione di un oomicete.
Ma andiamo per gradi…
Cosa sono gli oomiceti?
Sono microrganismi che fanno parte del regno dei Chromista, insieme ad alcune alghe e diatomee. Tuttavia, banalmente ed erroneamente, il termine “fungo” è spesso usato per indicare la maggior parte degli oomiceti.
Gli oomiceti possono essere distinti dai funghi in base a diverse caratteristiche:
- nella parete cellulare degli oomiceti sono presenti cellulosa, beta-glucani e idrossiprolina a differenza dei funghi che contengono chitina;
- le cellule del micelio degli oomiceti sono diploidi mentre quelle dei funghi sono aploidi;
- la riproduzione degli oomiceti avviene tramite fecondazione delle oospore che non vengono prodotte da funghi (questi ultimi producono ascospore, basidiospore o zigospore)
- le spore degli oomiceti sono dotate di due tipi di flagelli (uno posteriore e uno ciliato anteriore), le spore dei fungi generalmente non hanno flagelli;
- i mitocondri degli oomiceti presentano creste tubulari a differenza di quelle appiattite presenti nei mitocondri dei funghi.
Dove “vivono” gli oomiceti?
Praticamente ovunque. Sono tra le forme di vita eucariotiche più diffuse e prosperano in tutti i continenti (persino in Antartide), e in ecosistemi diversi come tundra, foreste pluviali, oceani e deserti.
Qual è il ruolo ecologico degli oomiceti?
Sono organismi saprofiti, cioè che traggono nutrimento dai resti di altri organismi. Questi organismi sono spesso i primi a insediarsi sui resti di altri e svolgono un ruolo importante nel ciclo di decomposizione, rendendo il materiale organico accessibile ai colonizzatori secondari.
Tuttavia, le specie di oomiceti più conosciute sono patogene per animali, diatomee, funghi, piante, alghe e persino altri oomiceti.
Quante specie di oomiceti esistono?
Attualmente le specie di oomiceti riconosciute e denominate sono più di 1.200, di cui più di 600 appartengono all’ordine delle Peronosporales. Tuttavia, considerando i recenti studi filogenetici e il numero di specie ospiti segnalate da regioni ben studiate, come il Nord America orientale o l’Europa centrale, sembra probabile che esistano più di 10.000 specie di oomiceti biotrofi obbligati e fitopatogeni.
Bene, una volta chiarito il concetto di oomicete, passiamo alle presentazioni. La causa della “grande fame irlandese” ha un nome. Un nome e un “cognome”: Phytophthora infestans.
Phytophthora infestans
È un oomicete, anzi è l’oomicete più conosciuto. Il nome del genere Phytophthora deriva dal greco φυτό–(phyto), che significa: “pianta” – più φθορά (phthora), che significa: “decadimento, rovina, perire”; “infestans” è il participio presente del verbo latino infestare. Da qui il nome Phytophthora infestans coniato nel 11876 EU (1876 d.C.) dal micologo tedesco Heinrich Anton de Bary.
La crescita e lo sviluppo di questo microrganismo sono favoriti in ambienti umidi e freschi: la sporulazione è ottimale intorno ai 12-18 °C in ambienti ad alta concentrazione di acqua, mentre la produzione di zoospore è favorita già a temperature inferiori a 15 °C.
Si tratta di un vero e proprio microrganismo giramondo, originario del Messico [ENG] (della zona degli altipiani della Valle di Toluca), ma che si può ritrovare praticamente ovunque!
Perché l’impatto dell’infestazione da Phytophthora è stato così devastante?
Una volta insediato nell’ospite (in questo caso la patata) si assiste alla formazione di aree scure sul tubero e conseguente necrosi dei tessuti circostanti. In particolare, i tessuti colpiti assumono un aspetto spugnoso che rende praticamente impossibile il consumo dei tuberi colpiti.
Inoltre, le aree colpite assumono colorazioni rossastre o bluastre e presentano lesioni che vanno a costituire l’habitat ideale per l’insediamento di batteri e funghi.
Durante la carestia irlandese, l’impatto è stato devastante a causa della rapida diffusione in diversi areali e della permanenza del patogeno nel terreno per diverso tempo, fattore che ha compromesso i raccolti anche negli anni successivi.
Nell’autunno del 11845 EU (1845 d.C.) andò perduto circa il 40% del raccolto e nell’anno successivo circa l’80%. I problemi maggiori cominciarono a verificarsi soprattutto nelle campagne, dove le patate rappresentavano la principale fonte di cibo per le famiglie.
Il 11847 EU (1847 d.C.) è ricordato oggi come il “Black 47” e segnò il momento peggiore della carestia: la mancanza di scorte, l’impossibilità di seminare nuove piante e la diffusione della “febbre da carestia” fecero aumentare il numero delle vittime fino a 66.000 (rispetto ai 6.000 del 11845 EU).
A questo c’è da aggiungere il fatto che a quell’epoca le tecniche e le pratiche di gestione e controllo di una fitopatia così grave non erano note e una situazione così imprevista e fuori controllo destabilizzò gli equilibri dell’intero Paese e dei rapporti con il Governo.
Lotta e prevenzione
Oggi per limitare l’incidenza di P. infestans sono state messe a punto diverse strategie di controllo, come ad esempio l’impiego di sementi sane e certificate, la rimozione di erbe spontanee che potrebbero ospitare facilmente il patogeno e, infine, le rotazioni colturali.
Sicuramente una corretta gestione agronomica e l’adozione di misure preventive permettono di limitare l’incidenza del patogeno, ma spesso è necessario l’uso di prodotti chimici per il controllo.
Attualmente, il focus di numerosi studi è lo sviluppo di cultivar resistenti (che presentano geni di resistenza a P. infestans) che rappresenta oggi uno degli obiettivi primari in termini di miglioramento genetico della patata.
Tuttavia, il breeding classico è un processo molto lungo e laborioso e pertanto l’aiuto delle biotecnologie per lo sviluppo di colture geneticamente modificate risulta fondamentale.
… tuttavia la normativa sugli OGM risulta ancora troppo stringente. PURTROPPO.
Fonti storiche
Irish Potato Famine – History Channel [ENG]
Great Famine – Encyclopedia Britannica [ENG]
Biotecnologa agraria, dottoranda in Patologia Vegetale. Disadattata appassionata di musica e biotech e aspirante divulgatrice per il piacere di far conoscere le meraviglie della scienza con tanta umiltà e una totale mancanza di autostima!