Capsaicina: l’inferno in bocca
Capsaicina : La molecola infernale
La capsaicina (8-metil-N-vanillil-6-nonenamide) è un protoalcaloide, ovvero un alcaloide che non possiede un anello eterociclico azotato nella propria struttura chimica. Si presenta come una sostanza incolore ed inodore. Già… è un po’ schiva.
È presente, in concentrazioni variabili, nei frutti di piante del genere Capsicum, in particolare nella placenta, l’organo biancastro preposto allo scambio metabolico tra frutto e seme ed attaccato alla parte interna del frutto, dove sorregge ed avvolge i semi. A questo genere appartengono i peperoni e i peperoncini, prodotti ben noti alle nostre tavole e che vedono le loro origini in Sud America. Solo nel 1493 furono importati in Europa da Cristoforo Colombo, finendo per diffondersi rapidamente in tutto il mondo (che evidentemente non vedeva l’ora, quasi fossero l’ultimo modello di iPhone).
La capsaicina è una delle sostanze direttamente responsabili della piccantezza, una percezione sensoriale di bruciore alle mucose paragonabile a quello che si avverte se veniamo a contatto con alte temperature. Avete presente quando non avete soffiato abbastanza sulla minestra? Ecco. Quando mangiamo un peperoncino, la capsaicina si lega ad alcuni recettori posti sui neuroni di terminazioni nervose libere del nervo trigemino e collocati in diversi punti del cavo orale, che agiscono come dei canali membranici, ovvero regolano il passaggio degli ioni tra l’esterno e l’interno della cellula: i recettori TRPV1 (transient receptor potential vanilloide).
La V di TRPV1 sta per molecole vanilloidi, come la capsaicina, che si lega a questa proteina. Avendo la forma ideale per interagire con questi recettori, la capsaicina agisce proprio come una chiave, aprendo il canale nella membrana cellulare e permettendo di conseguenza l’immissione di ioni calcio, che causano la trasmissione di un segnale elettrico che raggiunge il cervello, elaborato come dolore. L’effetto di dolore e bruciore è quindi del tutto virtuale e non lascia lesioni né di tipo infiammatorio, né caustico. Lo stesso fenomeno di attivazione dei recettori TRPV1 si verifica quando questi vengono termicamente stimolati oltre i 43° C. [1]
La scala di Scoville
La piccantezza dei peperoncini viene generalmente misurata mediante la scala di Scoville. [2]
Questa scala empirica prende il nome dal suo ideatore, il chimico statunitense Wilbur Lincoln Scoville, e fissa arbitrariamente a 16.000.000 SHU (Scoville Heat Units) il valore massimo, corrispondente alla capsaicina pura. Come tutti sappiamo il classico peperone, sia esso rosso, giallo o verde, non è per nulla piccante e infatti ha valore zero sulla scala di Scoville.
Il peperoncino jalapeño, un cultivar originario del Messico, si assesta tra i 2500 e gli 8000 SHU, dunque una piccantezza moderata; il nostrano peperoncino diavolicchio calabrese, tra i 30000 e i 75000 SHU, è di piccantezza medio-alta; il temibile habañero, un Capsicum chinense che, come il nome fa intendere, si ritiene sia originario della capitale cubana L’Havana, riporta un valore compreso tra i 100000 e i 400000 SHU, una piccantezza molto alta che pochi di voi tollereranno. Al 2020, in cima alla classifica troviamo il Pepper X, con un’intensità di 3.180.000 SHU: così piccante da non poter essere utilizzato con facilità in cucina. [3]
Sebbene la scala di Scoville sia ancora oggi molto utilizzata, si preferisce adottare un metodo meno anacronistico per quantificare la piccantezza, cioè attraverso la cromatografia liquida ad alta prestazione, la quale permette di determinare quanti alcaloidi responsabili della piccantezza, tra cui la capsaicina, sono presenti in una certa quantità di peperoncino.
Proprietà e controindicazioni della capsaicina
Il peperoncino è rinomato per il suo contenuto di diverse sostanze benefiche per l’organismo, tra cui un’elevata quantità di vitamina C (229 mg su 100 g di prodotto fresco) e buone concentrazioni di carotenoidi, niacina e sali minerali. Tuttavia, i benefici maggiori sono collegati proprio alla presenza di capsaicina (eh già… le cose che ci fanno bene molto spesso ci fanno anche soffrire un po’! Ve lo ricordate l’antibiotico in sciroppo che prendevate da bambini? Che schifo, dai).
La molecola è usata come analgesico in unguenti a uso topico e nei cerotti transdermici per alleviare il dolore (dopo un’intensa attivazione dei recettori TRPV1, questi vengono successivamente inattivati e si verifica una desensibilizzazione della terminazione nervosa nei confronti dello stimolo che la ha inizialmente eccitata), come rubefacente per nevralgie (richiama l’afflusso di sangue nella zona in cui viene applicata migliorando il microcircolo e riducendo l’infiammazione) e come vasodilatatore per la prevenzione delle malattie cardiocircolatorie (o per dare una spintarella alle vostre mediocri performance sessuali). [4]
Ricordiamoci che l’assunzione di capsaicina attraverso l’alimentazione è sconsigliata a chi presenta patologie del sistema gastrointestinale, quali ulcere o reflusso gastroesofageo, oppure a chi ne è allergico. Se non avete questi problemi, fate comunque attenzione a non esagerare! Come insegna Paracelso, è la dose a fare il veleno: una quantità di 190 mg di capsaicina per kg di peso corporeo è stata ipotizzata letale per l’uomo. [5]
Cosa fare se hai la bocca in fiamme
Hai mangiato per sbaglio un pezzo di peperoncino nascosto a tradimento nel piatto di pasta preparato da una tua zia calabrese? Hai la bocca in fiamme?
Ti starai chiedendo come fare a fermare il bruciore!
Non ti azzardare a bere dell’acqua, non hai un vero incendio in bocca!
La capsaicina è scarsamente solubile in acqua, per cui non farai alto che smuoverla un po’ sulle tue mucose ed enfatizzare i suoi effetti. Il rimedio giusto è il latte. Essendo un alimento ricco di lipidi, questi riescono a solubilizzare e a trasportare via la capsaicina, mentre le caseine provvederanno a legarla a sé, inattivandola.
Se non avete del latte va bene anche dell’olio (un solvente apolare, insomma!), magari mangiato insieme a del pane che contribuirà a rimuovere il proto-alcaloide per azione meccanica. Oppure potresti scegliere di resistere ed allenarti giorno dopo giorno, in modo da desensibilizzare i tuoi recettori. È questo il segreto dei grandi campioni che ogni anno partecipano a diverse competizioni di mangiatori di peperoncino piccante in tutto il mondo.
I peperoncini preferiscono gli uccelli
È stato appurato che gli uccelli non risentono affatto degli effetti irritanti della capsaicina. Anzi, essi considerano i frutti di peperoncino una vera e propria leccornia! Secondo un’affascinante ipotesi, i peperoncini si sono evoluti nel corso degli anni fino a decidere chi potesse cibarsi dei suoi frutti e chi no.
A differenza dell’apparto digerente dei mammiferi, quello degli uccelli non danneggia i semi ingeriti e, inoltre, il loro spargimento attraverso le feci avviene in una zona geografica più ampia, aumentando le probabilità di trovare condizioni ambientali favorevoli alla loro germinazione. [6] Monito per i maschietti: il titolo del paragrafo non va assolutamente letto metaforicamente! Se maneggiate dei peperoncini, pulitevi e lavatevi accuratamente le mani prima di andare in bagno!
Fonti:
[1] Yang, Fan, and Jie Zheng. “Understand spiciness: mechanism of TRPV1 channel activation by capsaicin.” Protein & cell vol. 8,3 (2017): 169-177. doi:10.1007/s13238-016-0353-7
[2] https://diavolopiccante.it/content/37-scala-di-scoville-aggiornata
[3] https://www.dailymail.co.uk/news/article-4922654/Pepper-X-set-break-record-world-s-hottest-pepper.html
[4] Fattori, V; Hohmann, M. S.; Rossaneis, A. C.; Pinho Ribeiro, F. A.; Verri, W. A. (2016). “Capsaicin: Current Understanding of Its Mechanisms and Therapy of Pain and Other Pre-Clinical and Clinical Uses”. Molecules. 21 (7): 844. doi:10.3390/molecules21070844. PMC 6273101. PMID 27367653.
[5] http://npic.orst.edu/factsheets/archive/Capsaicintech.html
[6] Jordt S-E and Julius D (2002) Molecular basis for species-specifig sensitivity to “hot” chili peppers. Cell 108: 421-430
Da bambino volevo fare il paleontologo. Da adolescente il fisioterapista. Oggi mi ritrovo con una laurea magistrale in Scienze Chimiche, ma non chiedetemi come abbia maturato questa scelta. Fatto sta che ora lavoro come analista chimico. E anche se non sono diventato un paleontologo, la curiosità del bambino per indagare sulle origini di tutte le cose non mi ha mai abbandonato. Nel tempo libero pratico arti marziali (e vado dal fisioterapista).