Biossido di titanio, E171, nanoparticelle e altre storie
Utilizzato da almeno 50 anni come additivo alimentare con la sigla E171, il biossido di titanio è una polvere di colore bianco che viene aggiunta ai cibi per renderli più appetibili alla vista.
Classico è l’esempio dei confetti, a cui viene aggiunto per farli apparire più bianchi dei denti degli attori nelle pubblicità di dentifrici. Oltre a loro, lo ritroviamo in caramelle, salse, prodotti a base di pesce e formaggio, zuppe, brodi e creme spalmabili. Ma non fermiamoci solo ai prodotti alimentari.
Il biossido di titanio trova spazio anche in un’ampia gamma di prodotti farmaceutici e cosmetici, come creme solari, dentifrici e compresse.
Come possiamo essere certi della sua sicurezza?
Certo, assumere qualcosa che si chiama BIOSSIDO DI TITANIO è figo, ma forse meglio approfondire un po’ il discorso.
Il biossido di titanio in breve
Il biossido di titanio, noto anche come titania, è un composto chimico che si presenta sotto forma di polvere cristallina bianca. Ha formula chimica TiO2. Grazie al suo alto indice di rifrazione, è stato storicamente usato come pigmento e colorante bianco, ma negli anni successivi ha trovato anche impiego come filtro solare, fotocatalizzatore e semiconduttore.
Impiego nell’industria alimentare
L’impiego del biossido di titanio come additivo E171 è autorizzato nell’UE in base all’allegato II del regolamento (CE) n.1333/2008 in 48 diverse categorie di alimenti. Poiché la legislazione non prevede una quantità massima consentita, le aziende alimentari devono utilizzarlo seguendo le buone pratiche di fabbricazione, utilizzandone solo la quantità necessaria per raggiungere lo scopo previsto.
Qual è questo scopo? Sbiancare gli alimenti.
Utile? Probabilmente no, ma l’occhio vuole la sua parte e mettere dei confetti giallastri nelle bomboniere del tuo matrimonio potrebbe risultare poco gradito ad amici e parenti.
Negli anni sono stati dedicati molti studi all’E171 che ne hanno evidenziato le caratteristiche di tossicità. Nel vecchio continente, solo la Francia lo ha bandito, nel 2020, basandosi su un parere dell’ANSES, l’agenzia nazionale francese per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione.
L’agenzia aveva infatti evidenziato che, con i dati scientifici disponibili, era impossibile eliminare l’incertezza sull’innocuità dell’additivo alimentare. Aveva così raccomandato di “limitare l’esposizione dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente nel quadro di un approccio graduale, favorendo specialmente dei prodotti sicuri ed equivalenti in termini di funzione e di efficacia”.
E nel resto d’Europa com’è la situazione?
L’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha solo fornito un parere alla Commissione Europea. Questo parere, non proprio positivo, è stato fornito dopo aver passato in rassegna tutti gli studi tossicologici condotti a riguardo. Questi studi concordano sull’impossibilità di escludere il rischio di genotossicità a seguito dell’ingestione di biossido di titanio.
Anche se l’assorbimento di particelle è solitamente basso dopo l’ingestione, nel tempo queste possono accumularsi nell’organismo. Il parere dell’EFSA rappresenta una base di partenza che le autorità deputate a gestire il rischio sanitario — dalla Commissione Europea fino agli Stati membri — possono utilizzare per assumere eventualmente decisioni in materia di regolamentazione.
Medicinali e prodotti cosmetici
Cosa succede al di fuori del settore alimentare?
Abbiamo visto che il biossido di titanio è impiegato anche in prodotti farmaceutici. La Commissione ha confermato che esiste un legame giuridico diretto tra l’uso negli alimenti e nei prodotti farmaceutici, in quanto solo i coloranti approvati come additivi alimentari possono essere impiegati nei medicinali. La Commissione, quindi, sta valutando l’impatto di un divieto del biossido di titanio insieme all’EMA, l’agenzia europea per i medicinali, che dovrebbe esprimersi per un’eliminazione graduale.
Il biossido di titanio si trova anche in alcuni prodotti cosmetici, come creme solari e spray per capelli. L’Unione Europea è già intervenuta in questi ambiti per regolamentarne l’uso. Entrerà in vigore a ottobre, infatti, il regolamento (UE) n. 2020/217 che prevede di inserire un’avvertenza di pericolo sui prodotti che contengono il biossido di titanio in forma liquida o solida. Questa necessità nasce dal fatto che, dopo anni di studi, la Commissione europea ha deciso di classificare il biossido di titanio come cancerogeno di categoria 2 per inalazione. Non sono stati riscontrati invece effetti cancerogeni per esposizione orale e cutanea.
Nanoparticelle e i rischi aggiuntivi
Con nanoparticelle intendiamo sostanze in cui almeno una delle tre dimensioni fisiche misura poche decine di nanometri (1 nm = 0,000001 mm). Se stai provando a immaginare quanto possano essere piccole, beh… dovrai fare un grosso sforzo! Se può darti una mano, sappi che il diametro del fusto di un capello è circa mille volte più grande.
Cos’hanno di speciale queste nanoparticelle?
È stato scoperto che molte sostanze di cui si conoscevano tutte le caratteristiche presentano proprietà diverse in scala nanometrica. Come se fosse poco, sembra che possano mutare in modo significativo anche nell’ambito della scala nanometrica, quando vengono modificate anche leggermente forma e dimensioni. Ciò vale anche per il biossido di titanio: se i rischi dell’E171 in quanto tale sembrano appurati, quelli delle nanoparticelle sono ancora tutti da dimostrare.
Sulle nanoparticelle di biossido di titanio sappiamo, grazie a uno studio dell’istituto di ricerca pubblica francese INRAE, che sono in grado di passare attraverso la placenta delle donne incinte e raggiungere i feti. Gli scienziati hanno, infatti, riscontrato la presenza di biossido di titanio in tutte le 22 placente delle donne incinte che hanno potuto studiare.
Fonti
I link in questo articolo rimandano ai seguenti siti:
EUR-Lex, il portale del diritto dell’Unione Europea
Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare – EFSA [ita]
Da bambino volevo fare il paleontologo. Da adolescente il fisioterapista. Oggi mi ritrovo con una laurea magistrale in Scienze Chimiche, ma non chiedetemi come abbia maturato questa scelta. Fatto sta che ora lavoro come analista chimico. E anche se non sono diventato un paleontologo, la curiosità del bambino per indagare sulle origini di tutte le cose non mi ha mai abbandonato. Nel tempo libero pratico arti marziali (e vado dal fisioterapista).