Trasferimento di geni da piante a insetti
Poche settimane fa, sulla prestigiosa rivista scientifica Cell è stato pubblicato un importante articolo. Una ricerca ha dimostrato il primo caso di trasferimento genico da una pianta a un insetto (Bemisia tabaci).
Cosa vuol dire?
Che è stato trovato un gene di una pianta all’interno del genoma di un insetto. Semplice. Ma perché la notizia ha fatto tanto scalpore fra i ricercatori?
Vediamolo insieme, immergendoci in questo studio.
Bemisia tabaci
Bemisia tabaci è un insetto che, nel gergo tecnico, viene definito una spina al culo, se lo si trova in un campo coltivato. Gli inglesi lo chiamano “whitefly”, mosca bianca, e il nome della specie deriva dal fatto che fu individuata per la prima volta in Grecia, nel 1889, sul tabacco. La mosca bianca del tabacco, si è poi scoperta non essere ghiotta solo di tabacco, ma di tante altre piante.
Pochi anni dopo, infatti, Bemisia tabaci fu ritrovata negli USA, su una piantagione di patate dolci. Per questo alcuni hanno preso a chiamarla mosca bianca della patata dolce. A metà degli anni ’80 un ceppo particolarmente patogeno mise a rischio le piantagioni di Stelle di Natale (Euphorbia pulcherrima) in Florida. E fu quindi chiamata mosca bianca delle Stelle di Nat… No scherzo, a questo giro niente cambio di nome.
Parlando di Bemisia, dovete immaginarvi un insettino di 0.9 mm, piccolissimo. A occhio nudo sembra un moscerino. Dalle analisi filogenetiche ci si è accorti che, pur essendo morfologicamente indistinguibili, si ha a che fare con un complesso di circa 40 specie che presentano differenze genetiche le une dalle altre.
Il centro di origine della specie è probabilmente l’area dell’India e del Pakistan. L’insetto è a suo agio in climi tropicali/subtropicali. Probabilmente il trasferimento di piante ornamentali in aree con climi temperati ne ha favorito la diffusione. La sua forte adattabilità ha, poi, fatto il resto, anche se l’insetto resta suscettibile alle basse temperature che possono essere letali sia per gli adulti che per le ninfe.
I danni alle colture
Attualmente, i maggiori problemi si hanno su pomodori, zucche, cetrioli, melanzane, fagioli, cotone, oltre alle già citate Stelle di Natale e tabacco. In realtà la specie è estremamente polifaga e si adatta a più di 600 piante ospiti differenti. L’insetto ha un apparato boccale pungente-succhiante ben sviluppato con cui si nutre della linfa della pianta ospite.
Gli stadi larvali, per svilupparsi, hanno bisogno di molte proteine, Bemisia consuma quindi grosse quantità di linfa, che in realtà contiene per lo più alte percentuali di zucchero. Gli zuccheri in eccesso vengono secreti sotto forma di melata, in quantità relativamente copiose. Se la popolazione è molto estesa, il consumo di linfa può interferire con lo sviluppo della pianta. Le innumerevoli punture alle foglie possono, in alcuni casi, far appassire e cadere le foglie stesse. L’appassimento delle foglie ha conseguenze poi anche sullo sviluppo della pianta e dei frutti. Altri sintomi registrati sono la comparsa di macchie clorotiche, l’ingiallimento e la malformazione dei frutti.
La melata stessa può essere un problema, rendendo pianta e frutti appiccicosi e favorendo l’insorgenza di colonie di funghi. Ultimo, ma non per importanza, l’insetto può essere vettore di virus come il TYLCV (Tomato yellow leaf curl virus) nei pomodori.
A rendere le cose più complicate, c’è il fatto che Bemisia è molto resistente sia alle molecole comunemente rilasciate dalle piante per difendersi dagli insetti, come i glicosidi fenolici, che agli insetticidi di sintesi.
Insomma, come dicevo prima, una spina al culo!
Lo studio del gruppo di ricerca cinese
Data la problematicità del patogeno, sono molti i gruppi di ricerca che lo stanno studiando per trovare un modo efficace per contrastarlo. E studia oggi, e studia domani, a un certo punto è saltata fuori una cosa un po’ strana. Nel genoma di Bemisia tabaci salta fuori un gene “inaspettato”.
[Sul come è stato trovato, vi rimando ad alcuni dettagli tecnici a fine articolo].
C’era, quindi, una corrispondenza con un gene tipico di alcune piante che non era mai stato trovato in nessun altro insetto.
“Mario, ma che hai starnutito sui campioni dopo aver mangiato pane e pomodoro?”
“No, Ripaltina, siamo un gruppo di ricerca cinese, qui non mangiamo pane e pomodoro.”
“Ok, daje”
Fatti, quindi, tutti gli accertamenti del caso, i ricercatori hanno confermato la presenza di un gene chiamato BtPMaT1. Si ipotizza che il gene BtPMaT1, nelle piante, neutralizzi alcuni composti tossici in modo che possano essere accumulati in una forma innocua all’interno della pianta stessa.
Questo gene spiegherebbe come mai Bemisia può nutrirsi di così tanti ospiti diversi, riuscendo a eludere le difese che le piante hanno sviluppato per tenere lontani gli insetti. L’insetto neutralizza i composti tossici usando lo stesso gene che permette alle piante di accumularli!
Non è assurdo?
Il trasferimento genico orizzontale
Quando del materiale genetico passa da un organismo a un altro, si parla di trasferimento genico orizzontale. Nei batteri, il fenomeno è molto comune e viene sfruttato largamente nell’ingegneria genetica e per far produrre, a colonie batteriche, sostanze utili all’uomo.
Il trasferimento di geni fra microrganismi e animali e fra microrganismi e piante è stato documentato più e più volte. Per esempio, in un insetto patogeno del caffè, Hypothenemus hampei, è stato trovato un gene di origine batterica che gli permette di “digerire” meglio i chicchi di caffè.
Come abbiamo menzionato, però, non era mai stato descritto un trasferimento orizzontale fra piante e insetti. Del resto, quando mangiamo carne, pesce e frutta, o anche solo respirando, assumiamo milioni di molecole di DNA estraneo che non modificano il nostro codice genetico.
Come ci è finito quel gene lì?
L’idea più plausibile avanzata è che sia intervenuto un terzo attore in questo trasferimento. Probabilmente, un virus all’interno della pianta, circa 35 milioni di anni fa, ha assorbito il gene BtPMaT1 e, dopo l’ingestione da parte di una mosca bianca, il virus deve aver infettato l’insetto e integrato il gene vegetale nel genoma delle mosche bianche.
Le probabilità che una cosa del genere accada sono infinitesime, ma non uguali a zero.
E la natura ha a disposizione tutto il tempo che esiste e miliardi di individui di mosche bianche. Quindi eccoci qui, 35 milioni di anni dopo, a parlarne.
Una volta acquisito, dato il forte vantaggio che il gene conferisce all’individuo che lo porta, si è subito affermato nella popolazione.
Ma non finisce qui!
Per testare quanto questo gene fosse cruciale per Bemisia tabaci, i ricercatori hanno creato una pianta di pomodoro capace di indurre il silenziamento del gene negli insetti. Per farlo, hanno fatto esprimere, nella pianta, una molecola di RNA capace di silenziare il gene BtPMaT1. Quando hanno fatto mangiare queste piante a Bemisia, gli insetti non riuscivano più a rendere innocue le tossine della pianta che, espletando la loro funzione, hanno fatto registrare il 100% di mortalità!
Non è stupendo?
Come si analizzano i genomi?
Per i più curiosi di voi, volete qualche dettaglio tecnico su come hanno fatto i ricercatori a trovare questo gene?
Per capire meglio come questo sia successo, serve fare un piccolo discorso su come si sequenzia un genoma e come si analizzano i dati. In pratica, cosa fa un bioinformatico.
Di solito, un laboratorio prepara i propri campioni in piastre da 96 pozzetti, estrae il DNA, ne quantifica la concentrazione, eventualmente uniforma tutti i campioni alla stessa concentrazione. A questo punto spedisce la, o le, piastre a un’azienda che si occupa solo del sequenziamento.
I sequenziatori moderni sequenziano piccolissime porzioni (frammenti) casuali di genoma, lunghe qualche centinaio di basi, e le trascrivono in un file di testo. In questo file, ogni riga corrisponde alla sequenza di un frammento (sto semplificando molto). Questi frammenti non sono sequenziati in ordine, quindi il file di testo è come se contenesse per ogni riga delle parole a caso di un libro.
Tramite l’utilizzo di computer molto potenti, e di software realizzati ad hoc, dopo le prime operazioni di filtraggio, per pulire il file dalle sequenze dubbie e di bassa qualità, si cerca di risalire alla sequenza intera. Se qualcuno lo ha già fatto in passato, bene, si usa come base il genoma di riferimento già sequenziato e si mappano su di esso le sequenze ottenute. Altrimenti bisogna ricreare la sequenza originale facendo un misto fra un tetris e un puzzle, sfruttando il fatto che casualmente le porzioni distali di alcuni frammenti si sovrappongono.
Ottenuta una sequenza di qualità più o meno buona, abbiamo finito?
Ma certo che no!
Dopo il mappaggio avviene l’annotazione. In questa fase, si prendono le sequenze di geni noti, di cui si sa la funzione, e si cercano similarità nel genoma ottenuto. Per esempio, se io dovessi sequenziare il mio genoma e facessi un’annotazione, vedrei che, in una determinata posizione, il software riconosce una sequenza che è molto simile a quella dell’insulina degli scimpanzè. Ma non solo, di solito ci sono più risultati (“hit”), in ordine di similarità (omologia) di sequenza. Quindi al secondo posto avrei il gene dell’insulina del gorilla, poi quello dell’orango, poi del suino, del ratto, del cane e infine la roba più distante, tipo quella del pollo.
Potrei quindi affermare, con una certa sicurezza, di aver trovato, nel mio genoma, il gene dell’insulina.
Seguendo questo processo, è stato identificato, in Bemisia, il gene BtPMaT1.
Se questo tipo di argomenti ti interessa, potrebbe piacerti il nostro articolo sul legame tra intelligenza e DNA, dove parliamo di bioinformatica e di come si associano i geni a dei caratteri.
Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby.
Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato 🙂
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