Avremo mai un vaccino contro HIV?

Negli ultimi mesi il tema dei vaccini ha riempito le prime pagine di quotidiani nazionali e internazionali. L’enorme impegno scientifico, umano ed economico messo in campo ha permesso lo sviluppo da parte di aziende farmaceutiche non di un solo vaccino, bensì di una moltitudine di vaccini per SARS-CoV-2, i quali si differenziano per il principio attivo ma si accomunano per lo scopo: riportarci nuovamente a una vita di comunità e di condivisioni. La vaccinazione limiterebbe infatti non solo il numero di contagi, e quindi di malati, ma anche la circolazione del virus. Proprio per questa ragione, il vaccino rappresenta in questo momento l’unico strumento di speranza e di riscatto per l’intera umanità. Il passato ci insegna come virus terribili, come il vaiolo, siano stati del tutto debellati proprio grazie allo sviluppo di un vaccino.

Ma come fa il vaccino a debellare un virus? Il vaccino è un vero e proprio farmaco che può essere composto da alcune porzioni del virus o dall’equivalente non patogeno del virus stesso. La somministrazione del vaccino cerca infatti di mimare l’infezione da parte del virus, evocando una risposta immunitaria, principalmente rappresentata dagli anticorpi, che blocca e inattiva il virus e protegge l’individuo.

Immaginiamo una comunità di persone non vaccinate. Il virus entra a contatto con uno dei componenti della comunità, il quale si infetta, sviluppa degli anticorpi e a sua volta contagia altri individui. Il virus continua a circolare e a contagiare sempre più persone, che non potranno riammalarsi perché già infettate e perciò protette, fino a che tutti gli individui della comunità sono stati infettati. A questo punto, il virus non trova più ospiti suscettibili, perché sono tutti protetti, e scompare. Se applichiamo questo scenario in un contesto di epidemia o pandemia, come quella che stiamo vivendo in questo momento, la vaccinazione ha proprio l’obbiettivo di restringere il numero di individui contagiabili e perciò indurre la scomparsa del virus.

Vaccini come quelli contro i virus del morbillo e della rosolia hanno diminuito drasticamente la circolazione di questi virus e l’incidenza delle infezioni. Tuttavia, numerosi tentativi, fino ad ora vani, sono stati fatti per la realizzazione di un vaccino contro HIV (acronimo per Human Immunodeficiency Virus), virus che causa la patologia denominata AIDS (dall’inglese Acquired ImmunoDeficiency Syndrome, ovvero Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) e che è responsabile di milioni di infezioni e di decessi all’anno. Come suggerisce il nome, questo virus infetta esclusivamente l’essere umano e porta alla lenta e graduale distruzione del sistema immunitario dell’individuo contagiato, il quale non è più in grado di difendersi da patogeni che quotidianamente incontriamo e che normalmente non ci causano malattie (da qui appunto l’AIDS).

Per capire il motivo degli insuccessi nello sviluppo di un vaccino contro HIV, è necessario conoscere la biologia di questo virus. Conosciamo più nel dettaglio HIV. HIV è un virus di forma sferica dalle dimensioni molto piccole (si parla infatti di nanometri, ovvero 0,000000001 metri!) ed è formato da un involucro esterno composto da lipidi (ovvero i grassi biologici), dal quale protrudono due proteine chiamate glicoproteina 41 e glicoproteina 120. Queste due proteine sono necessarie al virus per infettare le cellule bersaglio del sistema immunitario, principalmente i linfociti T CD4 positivi e i macrofagi. Se immaginiamo di tagliare a metà questo virus, troviamo una struttura di forma conica chiamata capside, in cui sono presenti il genoma virale, che contiene le informazioni per generare nuovi virus all’interno della cellula infettata, e una proteina, chiamata trascrittasi inversa, in grado di produrre copie del genoma virale che verranno impacchettate nei nuovi virus (Figura 1).

Figura 1. Struttura del virus

Una volta entrato nella cellula, HIV rilascia il proprio patrimonio genetico che si va a inserire permanentemente nel DNA della cellula infettata, diventando parte integrante di esso. Questa è una caratteristica esclusiva di HIV, non condivisa da altri virus, ed è il motivo per cui l’infezione può essere controllata ma non del tutto eradicata: per questa ragione si dice che “di HIV non si guarisce mai”. Ed è proprio a questo punto che il virus si replica e genera miliardi di virus identici, i quali vengono rilasciati nel circolo sanguigno e infettano altre cellule, propagando così l’infezione che porta alla distruzione delle cellule infettate del sistema immunitario e quindi allo stato di immunodeficienza.

Come accade in ogni attacco proveniente dall’esterno, il nostro corpo non rimane inerte a questi eventi e cerca di combattere l’infezione producendo una risposta immunitaria, principalmente mediata da anticorpi che riconoscono le glicoproteine 41 e 120. Questo virus però ha un grande talento, ovvero quello di non farsi riconoscere dagli anticorpi.

Ma come fa HIV a eludere la risposta immunitaria dell’individuo? Immaginiamo di essere invitati a una festa in maschera e decidiamo di indossare i panni del coraggioso Spiderman. Arrivati all’evento e salutati gli altri invitati, tutti riconoscono la maschera e sanno di poter contare sull’intervento dell’uomo ragno in caso di problemi di ordine pubblico. Durante la festa però, ci stanchiamo di questo travestimento e ci trasformiamo in Homer Simpson. Gli ospiti della festa non incontrano più Spiderman e vedono comparire un simpatico padre di famiglia dalla maglietta bianca e blu jeans, ma non sono a conoscenza del fatto che sotto la maschera si trova la stessa persona che prima indossava la stampa di un ragno nero sul petto.

HIV fa proprio questo, ovvero cambia continuamente aspetto per non farsi riconoscere dal sistema immunitario. Nelle fasi iniziali dell’infezione, l’individuo produce anticorpi che riconoscono HIV e riesce a contenere la produzione di nuove particelle virali. Quello che succede è che la trascrittasi inversa del virus ha come caratteristica principale quella di non essere molto precisa nel copiare il genoma virale e inserisce delle mutazioni che si traducono in una modifica dell’aspetto esteriore dei nuovi virus, in particolare dell’aspetto delle glicoproteine 41 e 120, le quali non vengono più riconosciute dagli anticorpi (Figura 2).

Figura 2. Illustrazione della mutazione della glicoproteina 120

Queste mutazioni però non devono modificare funzioni importanti per la sopravvivenza del virus, bensì alterare il vestito del virus in modo che questo risulti agli occhi dell’individuo infettato come “mai visto”. Le nuove particelle virali generate sono quindi lo stesso virus nell’essenza, ma un virus nuovo nell’aspetto e per questo motivo non riconosciuto dagli anticorpi. Come conseguenza, la risposta immunitaria suscitata non risulta efficace nell’eliminare il virus, il quale continua incessante a moltiplicarsi e ad infettare.

Questa capacità da parte di HIV di cambiare continuamente e instancabilmente maschera ha rappresentato e rappresenta ancora un grandissimo ostacolo allo sviluppo di un vaccino efficace e protettivo. La storia della medicina insegna che, a pochi mesi dalla scoperta del virus, la comunità scientifica fu travolta da un’ondata di ottimismo per la realizzazione del vaccino contro HIV, ma a quasi 40 anni da questo evento ancora nessun candidato è stato approvato.

Ad oggi, la ricerca scientifica si sta focalizzando sullo sviluppo di due categorie di vaccini, una a scopo profilattico, che ha quindi il fine di prevenire l’infezione, e una a scopo terapeutico, che ha come obiettivo quello di curare il paziente già infettato. Questi vaccini sono composti da alcune porzioni del virus HIV e mirano a suscitare anticorpi in grado di proteggere dall’infezione o controllare l’infezione in individui già contagiati. I risultati di questi studi clinici non sono però molto incoraggianti, in quanto evidenziano una bassa efficacia del vaccino nello sviluppo di una risposta immunitaria protettiva.

Recentemente, è stata identificata una nuova strategia basata sulla somministrazione non di porzioni del virus, bensì di anticorpi specifici che riconoscono parti del virus che non possono subire alterazioni in quanto essenziali per la sopravvivenza di HIV. Attendiamo i risultati di uno studio clinico iniziato nei primi mesi del 2020 basato sulla somministrazione in pazienti infettati da HIV di farmaci antivirali in combinazione con un anticorpo che riconosce la glicoproteina 120, con la speranza che questo approccio sia efficace nell’eliminazione del virus o quantomeno possa contribuire a migliorare le condizioni di salute dei milioni di individui contagiati nel mondo.

 

Fonti:

  1. The structural biology of HIV-1: mechanistic and therapeutic insights, Nature Reviews Microbiology, 2012
  2. https://www.historyofvaccines.org/content/articles/development-hiv-vaccines
  3. https://www.iavi.org/

 

Francesco Cilenti

Mi sono laureato in Biotecnologie Mediche, Molecolari e Cellulari all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e sto svolgendo il PhD in Medicina Molecolare con indirizzo Immunologia e Oncologia nello stesso istituto. Ho deciso di entrare a fare parte del team di Missione Scienza per raccontare e condividere con i lettori la mia passione per la scienza, sempre divertendomi!

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