Anna Bågenholm: “risuscitata” dopo un arresto cardiaco in ipotermia
“Risuscitare dopo la morte” non è il titolo che vi aspettereste di trovare su un portale di divulgazione come Missione Scienza. Non giungete a conclusioni affrettate e lasciatemi spiegare. L’articolo che vedere nella foto in basso (qui il link) riporta questo titolo “Resuscitation from accidental hypothermia of 13.7°C with circulatory arrest”. Ora, il termine “resuscitation” non deve trarre in inganno. Bisognerebbe tradurlo con un termine tecnico tipo “rianimazione” e non con un verbo biblico come “risuscitare”.
Ma di cosa parla questo articolo? Vediamolo insieme, perché la storia che racconteremo ha dello straordinario.
La storia
Anna Bågenholm, nata nel 1970 a Vänersborg, in Svezia, è una studentessa di medicina con l’obiettivo di diventare un chirurgo ortopedico. Nel 1998, si sposta a Narvik, in Norvegia, dove diventa assistente chirurgo presso l’ospedale della città. La vita di Anna va a gonfie vele: una carriera promettente nonostante la giovane età, aurore boreali che ogni tanto illuminano il cielo, un gruppo di amici con cui alleviare lo stress post lavoro.
Narvik è vicino Tromsø, nel Nord della Norvegia, ed è circondata da montagne non troppo alte su cui è possibile sciare. Anna è una esperta sciatrice, del resto quando sei nato a nord e ti trasferisci a nord del nord, sciare è un po’ come andare in bici per un olandese. O come nuotare per chi fosse nato a Pantelleria. Come lei, anche i suoi amici.
Come dicevamo, spesso, dopo lavoro, Anna si svaga, a volte anche sciando con i suoi amici. Il 20 maggio del 1999 è uno di quei giorni. Anna si vede con Marie e Torvind, e insieme vanno a sciare nel solito posto a due passi da Narvik. Quello che doveva essere un pomeriggio relax, di routine, si sarebbe trasformato, di lì a breve, in una tragedia che avrebbe scritto una pagina importante della medicina.
L’incidente
Anna e colleghi, da bravi scandinavi cresciuti a brød (pane), burro e ambiente non congeniale alla vita umana, sono ottimi sciatori. Ogni tanto si concedono un fuori pista, dove sanno di poterselo permettere. Avendolo fatto molte altre volte, avendo padronanza del luogo e approfittando della neve fresca, si avventurano per il classico tragitto. In un punto con una certa pendenza, nei pressi di una cascata, Anna perde il controllo degli sci e scivola.
Panico.
Anna scivola e cade di testa, in basso non ci sono rocce, il che probabilmente le salva la vita, ma c’è un ruscello congelato con uno strato superficiale di ghiaccio di circa 20cm. La neve attutisce un po’ la caduta, ma non abbastanza da impedire ad Anna di rompere lo strato di ghiaccio e di finire per metà nel ruscello. Gli amici si fiondano sul luogo, di Anna si vedono solo le gambe che si agitano, in una scena che, in un altro contesto, sarebbe anche comica.
Sono le 18:20 circa, lei è cosciente e sta più o meno bene, riesce a respirare perché c’è una bolla d’aria sotto alla lastra di ghiaccio, ma l’acqua gelida le sta inzuppando i vestiti. Gli amici provano a tirarla dalle gambe ma niente, Anna è intrappolata e non si muove di un centimetro. Le gambe sono fuori ma il busto è scivolato sotto lo strato di ghiaccio, in una posizione a L, e la giacca si deve essere impigliata in qualcosa, forse delle rocce. Alle 18:27 arriva la chiamata ai soccorsi, i quali si attivano.
Alle 19:00, dopo 40 minuti passati a mollo in un ruscello ghiacciato, Anna va in arresto cardiaco ipotermico e smette di muoversi.
I soccorsi
La squadra di soccorso riesce ad arrivare sul luogo solo alle 19:39, 80 minuti dopo la caduta. Il corpo esanime di Anna viene liberato dal ghiaccio usando appositi strumenti, i soccorritori esaminano la donna che è clinicamente morta. Cominciano subito con la RCP (rianimazione cardio polmonare) e alle 19:56 arriva un’eliambulanza su cui Anna viene fatta salire dopo aver subito una intubazione endotracheale.
La destinazione è l’ospedale di Tromsø, a un’ora di volo di distanza.
L’ipotermia viene classificata in base alla temperatura corporea. Una ipotermia lieve si verifica con temperature del corpo nel range 32–35 °C, è moderata quando si scende a 28–32 °C, grave a 20–28 °C e profonda sotto i 20 °C. La temperatura misurata su Anna, appena arrivata in ospedale, alle 21:10, è di 14,4 °C.
Come per tutta la durata del viaggio, la RCP non si interrompe mai, mentre si prepara la macchina cuore-polmone (bypass cardiopolmonare), che permette la circolazione extracorporea e sostituisce le funzioni cardio-polmonari. Alle 21:50 il macchinario è in funzione e la temperatura di Anna è di 13,7 °C, una delle temperature corporee più basse mai registrate in un essere umano con ipotermia accidentale.
“Anna, alzati e cammina” semicit.
Alle 22:00 succede una cosa inaspettata, in cui il dottor Gilbert, autore del paper da cui abbiamo preso i dati di questa storia, sperava. Ci sono dei segnali di ripresa. Comincia la fibrillazione ventricolare, che si converte in un battito cardiaco dopo 15 minuti. La temperatura rettale rimane bassa, 14,2 °C, ma la temperatura faringea ed esofagea sono arrivate rispettivamente a 25,0 °C e 31,5 °C. Verso mezzanotte la temperatura di Anna è stabile sui 36 °C, il bypass cardiopolmonare viene sostituito da un ossigenatore extracorporeo a membrana (ECMO).
La donna viene trasferita in terapia intensiva dopo 9 ore di rianimazione. Ci rimarrà per 28 giorni, durante i quali si verificheranno una serie di disfunzioni a diversi organi e subirà una tracheotomia. Fra le cose che destano più preoccupazione c’è polineuropatia, il malfunzionamento simultaneo di molti nervi periferici in tutto il corpo. Dopo il 28° giorno Anna viene trasferita nell’ospedale della sua città. Questa volta entra nei corridoi, a lei tanto familiari, da paziente e non da dottore. Rimarrà in terapia intensiva fino al 60° giorno dopo l’incidente, per poi passare in riabilitazione.
A 5 mesi di distanza le condizioni di Anna sono molto migliorate, a livello cognitivo è completamente ristabilita ma a livello fisico rimangono delle paresi parziali agli arti superiori e inferiori.
Ci vorrà quasi un anno prima che la vita di Anna torni a una parziale normalità. Eccola in una conferenza a proposito del suo incidente in cui fa un racconto più dettagliato dell’accaduto.
Come ha fatto a sopravvivere?
Quando il nostro corpo raggiunge una temperatura inferiore ai 25 ℃, di una cosa potete star certi, è in arrivo un frizzantissimo arresto cardiaco. Una volta che il cuore smette di battere, se non si interviene entro qualche minuto, il corpo, inesorabilmente, muore. Eppure Anna è rimasta 40 minuti in arresto cardiaco prima che i soccorsi cominciassero a praticare la RCP. Come è possibile?
Paradossalmente, il freddo è quello che ha quasi ucciso la donna ma che l’ha anche salvata. In situazioni normali, con una temperatura di 37 °C, il cervello comincia a subire danni irreversibili se privato dell’ossigeno per più di venti minuti. Le bassissime temperature di Anna, però, hanno portato a un progressivo rallentamento del metabolismo del corpo, che probabilmente ha permesso al cervello di resistere con molto meno ossigeno.
L’intuizione del dottor Gilbert è stata quella di non darsi per vinto. Di non dichiarare il decesso prima di aver fatto un tentativo di salvarla facendo gradualmente risalire la temperatura corporea.
Grazie a questo, e ad altri casi simili, ci sono nuovi protocolli per il trattamento delle ipotermie accidentali e un motto:
Nobody is dead until warm and dead – (Nessuno è morto, finché non è caldo e morto)
Plant Breeder di mestiere, divulgatore per hobby.
Nato sotto una foglia di carciofo e cresciuto a orecchiette e cime di rape, sono sempre stato interessato alla genetica. Ho studiato biotecnologie agrarie e, dopo un erasmus in Danimarca, ho proseguito con un industrial PhD nella stessa azienda sementiera presso cui stavo scrivendo la tesi. Dal 2019 sono rientrato in Italia e lavoro attivamente come plant breeder, realizzando varietà di ortaggi che molto probabilmente avete mangiato 🙂